Contro il ricorso alla paura in ecologia

paura ecologiaLa paura penetra nel cuore dell’uomo nell’istante in cui si trova impedito di nascere a se stesso. Voglio dire che non abbandona i terrori inerenti all’universo animale se non per cadere nei terrori di una giungla sociale, dove è considerato un crimine comportarsi con la libera generosità di una natura umana.
L’economia distilla una paura essenziale nella minaccia che fa pesare sulla sopravvivenza dell’intero pianeta; da un lato si spaccia come garanzia di benessere, dall’altro si richiude come una trappola su ogni tentativo di scegliere una via diversa, che si tratti dell’indipendenza del bambino o dello sviluppo delle energie naturali.
La paura in quanto argomento economico, consiste nel chiudere porte e finestre quando il nemico è già in casa. Essa accresce il pericolo con la scusa di proteggersene. Suscitare lo spavento di una terra trasformata in deserto, di una natura sistematicamente assassinata, non è ancora un modo di murarsi, per morirvi, nel circolo vizioso della merce universale?
Distruggendo i bastioni della chiusura agraria per ricostruirli più lontano ai limiti della redditività, l’espansione mercantile ha riunito il gregge dei terrori al confine tra un universo moribondo e una natura da rivivificare.
Quel che è più terribile nella paura di morire, che istupidisce gli uomini fin nelle loro audacie suicide, è che si tratta originariamente di una paura di vivere. Trapassare, solcare la soglia della morte, è talmente insito nella logica delle cose che gli uomini ridotti agli oggetti che producono vi trovano paradossalmente più sicurezza e rassicurazione che nella risoluzione di cominciare a vivere e di prendere per guida i loro stessi godimenti.
La paura di una apocalisse ecologica occulta l’occasione offerta alla natura e alla natura umana.

Se vuoi approfondire:

vanviven

 

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LSD – Lucio Dalla

lucio dalla lsdIl beat italiano, il bitt per dirla meglio, nasce più o meno il 17 febbraio 1965, il giorno in cui l’avvocato Alberico Crocetta inaugura una sala da ballo in via Tagliamento, a Roma; avrebbe voluto chiamarla Peppermint, alla fine la chiamò Piper Club, anticipando d’istinto il Pied Piper e il Piper At The Gates of Dawn (Pink Floyd) che avrebbero suscitato poi emozioni in tutti gli innamorati della nuova musica. L’importante era un nome inglese, perché l’avvocato voleva trasferirvi un po’ della Swinging London, della moda estrosa di Carnaby Street, di quella musica beat, mod, garage e un po’ di psichedelica colorata alle erbe.
La droga è in effetti una realtà importante presso le nuove generazioni, anche se in quei giorni la stragrande maggioranza dei ragazzi beat si limita ad hashish e marijuana. Gli oppiacei sono poco diffusi mentre c’è molta curiosità per gli allucinogeni, dal peyote all’acido lisergico. Tanto che anche in Italia musica e droghe si mescolano assumendo connotazioni originali.
Nel 1966, Lucio Dalla è tra i primi ad incidere una canzone che parla di LSD, scritta con Sergio Bardotti.

LSD
La realtà scivola, scivola, scivola, scivola via
luci che paiono, paiono, paiono, paiono, nere
cuori che battono, battono, battono, battono, forte
voci che chiamano, chiamano, chiamano, chiamano me
stammi vicino non te ne andar
questo è il momento poi, poi capirai
vedo la notte viene da me
eccola è qui, eccola è qui, eccola è qui
La realtà scivola, scivola, scivola, scivola via
luci che paiono, paiono, paiono, paiono, nere
cuori che battono, battono, battono, battono, forte
voci che chiamano, chiamano, chiamano, chiamano me
stammi vicino non te ne andar
questo è il momento poi, poi capirai
vedo la notte viene da me
eccola è qui, eccola è qui, eccola è qui

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Internet: la merce sei tu.

zemin_cartoon

 

La città cablata non pare  discostarsi dalle logiche della vecchia città materiale. Le “autostrade elettroniche” sbandierate come strumenti di vera democrazia in realtà rappresentano, semplicemente, le infrastrutture di base indispensabili alla produzione post-industriale. Così come le vecchie autostrade di asfalto e cemento favorivano la circolazione – delle merci e dlle persone- necessaria all’industria manifatturiea, anche le nuove autastrade cablate devono garantire la circolazione e ala diffusione delle informazioni e delle idee, necessarie alla produzione materiale post-fordista. Questa rete universale di comunicazione, che sopprime radicalmente la distanza tra le cose, aumenta indefinitivamente la distanza tra le persone, negando la loro fisicità. Le persone circolano meno, mentre viaggiano le informazioni, ma queste persone sono ancora, come un tempo, isolate e rimangono semplici ricettori passivi di una comunicazione mercificata. Nella società dello spettacolo, dove lo sguardo non incontra che le merci ed il loro premo, anche l’atto stesso di guardare il video – ieri della tv, oggi del computer – si configura, immediatamente, come lavoro e come consumo. Come lavoro perchè tutte le conoscenze, le informazioni e le abilità indispensabili per utilizzare gli strumenti informatici rappresentano una sorta di corso di formazione permanente necessario a sviluppare tutte quelle attitudini funzionali alla produzione in epoca post-fordista. Sviluppando questo savoir fiaire, infatti, non solo ci autoaddestriamo al lavoro immateriale ma produciamo anche, direttamente, sapere e comunicazione, fondamentali materie prime della fabbrica post-industriale. Come consumo perché mentre rimaniamo, immobili ed isolati nelle nostre case-terminale davanti al monitor del computer, non solo utilizziamo merci, hardware e software, ma siamo anche immersi dentro l’enorme ipermercato immateriale, frequentato da  milioni di consumatori, rappresentato dalla stessa rete. […] Intanto, mentre si acquista tramite internet, uno speciale programma nascosto all’interno di Navigator -il più diffuso sistema di “navigazione” nella rete – scheda i nostri acquisti, le nostre curiosità, i nostri gusti, i nostri dati personali, il nostro numero della carta di credito, ecc. pronto a rivenderli alle banche dati.

La “libera” circolazione delle informazioni ha sostituito, nella società dello spettacolo, la “libera” circolazione delle merci materiali. E‘ per questo che molti difensori dell’astratta libertà di comunicazione (vedi ad es. la Electronic Frontier Foundation / EFF) vengono finanziati direttamente da società quali la At&t, Mci, Bell Atlantic, lbm, Sun Microsystems, Apple o Microsoft. “La spiegazione corrente sottolinea una convergenza di interessi: ogni ostacolo alla libertà di comunicare intralcerebbe anche lo sviluppo dei mercati di queste società. Ma se certe ditte, non particolarmente note per la loro battaglia in favore della libertà di espressione (…) possono appoggiare la lotta dell’EEF, è perché questa fondazione difende una “libertà di comunicare” che non valica la soglia dell’azienda”. Nella società dello spettacolo – dove i1 capitale è ad un tale grado di accumulazione da diventare immagine – l’informazioner e la comunicazione diventano merci nel momento stesso in cui entrano in circolazione. Internet, la rete planetaria di comunicazione, sopprime radicalmente la distanza tra le cose in un mondo in cui, ormai, tutto (oggetti e persone) è ridotto a cosa, a merce materiale e/o immateriale. Un mondo in cui l’unica socialità possibile è quella del consumo. Gli unici luoghi dove, oggi, è ancora permessa una parvenza di socialità, gli unici spazi, fisici, di aggregazione sono quelli commerciali e quelli del tempo libero mercificato. Ma nel momento in cui è possibile trascorrere il proprio “tempo libero” e/o acquistare qualsiasi cosa, via modem, stando seduti davanti al computer, si dissolve anche la fisicità di questi luoghi e gli strumenti telematici non fanno altro che approfondire quell’isolamento e quella “segregazione volontaria“, già sperimentati con la tv, per cui gli uomini sono dei semplici ricettori passivi di una comunicazione che ci raggiunge, come spettatori, comodamente a domicilio (“ce soir spectacle à la maison”). Un passività spettacolare che non viene minimamente intaccata dalla cosiddetta interattività della comunicazione telematica. L’apatia, l’inerzia, il disinteresse e la noia che caratterizzano, ormai, ogni fruizione spettacolare e che rischiano di compromettere le stesse necessità produttive, mercantili e di formazione del consenso che lo spettacolo persegue viene aggirata proprio attra-verso le nuove tecnologie. Esse tentano di proporre la nuova illusione di una partecipazione più diretta e coinvolgente, meno unidirezionale, più reciproca e scambievole, l‘illusione di una “nuova” comunicazione interattiva. La cosiddetta interattività dei prodotti multimediali e delle realtà virtuali si riduce a puro intrattenimento ludico; più coinvolgente che nel passato, ma sempre all’interno di una realtà fittizia e separata, più partecipativo ma soltanto come scelta tra opzioni prestabilite. Un’agire pseudo-interattivo e pseudocomunicativo che è tutto dentro la logica dello spettacolo. E‘ così che si ridà smalto alla soporifera industria dell’intrattenimento. Cinema e tv, musei e teatri ed ogni altro luogo del tempo libero mercificato ricevono nuova linfa dalle nuove tecnologie. Questa interattività del consumo spettacolare ha come scopo il tentativo di risvegliare l’interesse, sempre più sopito, dello spettatore-consumatore. Anche la comunicazione più personale (le chat), le piazze virtuali e gli altri spazi di dibattito pubblico interni alla rete, in questo processo, tendono drasticamente a diminuire assediata dal proliferare dell’enorme mall telematico, vero e proprio ipermercato immateriale planemrio. Quando poi una, sia pur residuale, comunicazione interpersonale sopravvive essa è condannata ad una marginalità ineffettuale che la riduce a semplice rumore di fondo del network Per quanto attiene, infine, alle garanzie di “libero accesso“ alla rete, anche qui valgono le regole della democrazia di mercato: l’accesso è garantito a chiunque sia in grado di pagarlo. Disparità economiche, geografiche (tra nord e sud del mondo) e culturali; dislivelli di reddito, di accesso, di norme e di regole, di connessione e di tariffe condizionano, infatti, pesantemente, la presunta democrazia di internet. Definitivamente esaurita l’epoca della sperimentazione, dei cyberpionieri, si apre, per internet, l’epoca del mercato. La festa è finita, comincia il business ! L’intreccio di lavoro, consumo e tempo libero mercificato — che mette in produzione l’intera esistenza e che riduce la vita a sopravvivenza — caratterizza ogni aspetto di questa società. E‘ una realtà che non lascia fuori niente, nemmeno la “Rete”. (Giuseppe Balsebre 1997)

 

 

 

 

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Nucleare, prima che sia troppo tardi

nucleareUn grosso interrogativo incombe: come farà a rifiutare il nucleare una società formata da individui che volenti o nolenti stanno ingurgitando veleni e tranquillanti, inquinando, depredando e violentando a ogni tappa delle loro esistenze quel complesso e armonioso sistema che la nostra lingua definisce natura; da uomini e donne allevati nella disciplina del consumo di merci e spettacoli, in formicai urbani sempre più grandi, spinti da sistemi di telecomunicazione perversi a vivere nel deserto virtuale disertando l’attività comune, repressi e depressi nel loro istinto di libertà, nel non potere più godere della possibilità di muoversi in un territorio familiare, benevolo e a disposizione di ognuno?
Quella atomica, bio-nano-tecnologica, cibernetica e digitale, è ormai la società della manipolazione della vita intera. Totalitaria, non ammette un altrove né alterità ma solo varianti superficiali di sé stessa e funziona nell’unico senso della produzione mercantile: le poche ipotesi alternative (come le cosiddette energie rinnovabili) non riguardano scelte di individui e comunità libere bensì prodotti di consumo circoscritti nel sistema del capitale. Tanto il nucleare quanto il sistema tecnico che lo precede e lo sostiene non lasciano più spiragli né possibilità di scelta e tra breve probabilmente non si saprà nemmeno che cosa sia una candela.
Con o senza nuove centrali, dunque, il nucleare è già qui tra noi. Impedirne la proliferazione nelle sue molteplici forme è comunque necessario, doveroso, non rimandabile.
Per riuscire nell’intento, bisogna iniziare praticare l’autogestione, la gratuità e l’azione diretta: non solo scontrandosi con le forze dell’ordine che necessariamente proteggeranno gli interessi dello Stato e dell’economia, ma provando a gestire le proprie vite e i territori che si abitano senza filtri istituzionali, senza gerarchie di esperti e senza che nessuno, seppur animato dalle migliori intenzioni, dica che cosa e come bisogna fare.

Se vuoi saperne di più:

belbeoch-cop

 

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Théophile Gautier. Sentivo il rumore dei colori

gautierIntorno a me v’erano cascate e valanghe di gemme di ogni colore, arabeschi e decorazioni incessantemente mutevoli, che non saprei paragonare se non al giochi del caleidoscopio; vedevo ancora l miei compagni, a momenti, ma sfigurati, per metà uomini e metà piante, con arie pensierose da ibis ritti su una zampa, da struzzi che agitavano ali cosi strane da farmi torcere dalle risa nel mio angolo e, per unirmi al divertimento dello spettacolo, da farmi lanciare dei cuscini per aria, per poi riprenderli e farli roteare con la destrezza di un giocoliere indiano. Uno di questi signori mi ha rivolto in italiano un discorso che Phaschisch, con la sua onnipotenza, rni ha tradotto in spagnolo. Le domande e le risposte erano quasi ragionevoli, e vertevano su cose indifferenti, come notizie di teatro e letteratura.

[…] Era appena trascorsa una mezz’ora quando ricaddi in preda all’haschisch. Questa volta la visione fu più complicata e più straordinaria. In un’aria confusamente luminosa volteggiavano con un formicolio incessante miliardi di farfalle, le cui ali frusciavano come ventagli, Giganteschi fiori dal calice di cristallo, enormi malverose, gigli d’oro e d’argento salivano e sbocciavano intorno a me con un crepitio simile a quello dei fuochi d’artificio. Il mio udito s’era prodigiosamente sviluppato; sentivo il rumore dei colori. Suoni verdi, rossi, blu, gialli, m’arrivavano a ondate perfettamente distinte. [m] Ero come una spugna in mezzo al mare: a ogni istante dei flussi di felicità mi attraversavano, entrando e uscendo dai miei pori, perché ero diventato permeabile e, fino al più piccolo capillare, in tutto il mio essere s’iniettava il colore dell’ambiente fantastico in cui ero immerso. I suoni, i profumi, la luce, mi giungevano attraverso una moltitudine di tubicini sottili come capelli in cui sentivo fischiare le correnti magnetiche.

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Una Baguette Lisergica

St.SpiritUn mattino di sole dell’agosto 1951, un villaggio del distretto francese della Gard, cambiò pianeta. Tutti gli abitanti di Pont Saint Esprit una ridente cittadina francese furono colpiti da un improvviso scoppio di allucinazioni.
Il panettiere locale aveva fatto il pane con una partita di farina segale infestata dall’ergot. L’intero paese sperimenta una settimana di passione e di delirio, c’è chi zappa il pavimento di casa per piantare le patate, chi bagna le begonie con la macchina da cucire, chi fa omini di neve impastando il letame dei cavalli, chi credendosi un jet si leva in volo dal pagliaio (una gamba rotta), chi vede struzzi nel carburatore della macchina, chi armato di picozza e corde scala la parete nord del proprio frigorifero, chi vede dei pterodattili in fiamme travestiti da infermieri, chi marcia nudo per le strade, chi fa il pesce nel Rodano, chi batte il record del mondo di velocità lanciato sulla propria bicicletta, persino gli animali domestici si comportano stranamente.
Il postino Leon Armunier stava facendo il suo giro nel sud della città francese di Pont-Saint-Esprit, quando è stato improvvisamente sopraffatto dalla nausea e da allucinazioni selvagge: “E ‘stato terribile. Ho avuto delle strane contrazioni come se il mio corpo si rimpicciolisse, poi il fuoco nella testa e serpenti che si avvolgono intorno alle mie braccia”. In preda a convulsioni Leon cadeva dalla bicicletta impacchettato con la camicia di forza veniva portato all’ospedale di Avignone nel reparto psichiatrico con altri tre adolescenti del suo stesso paese.
La saga del panettiere psichedelico provoca cinque morti e trecento persone fuori di testa per una settimana. Gli avvenimenti di Pont St. Spirit sono l’esempio più vicino a noi di quelle tragiche epidemie di ergotismo comuni nel medioevo nei paesi in cui si coltivava le segale. lsd french
Ma non tutti accettarono questa spiegazione. Alcuni anni dopo il giornalista investigativo americano Hank Albarelli sostenne in una sua inchiesta che i membri della Divisione Operazioni Speciali dell’Esercito degli Stati Uniti abbiano deliberatamente contaminato “prodotti alimentari locali” con dietilamina – la D in LSD -. Per misurare l’effetto del farmaco di nuova sintesi su civili francesi a Pont-Saint-Esprit, un piccolo paese sulle rive del fiume Rodano nel sud della Francia, nel mese di agosto 1951.
Albarelli è irremovibile sulle accuse alla Cia e all’esercito americano, è sicuro che la CIA sia dietro agli eventi orribili di Pont-Saint-Esprit, e che questi facessero parte di un programma sperimentale segreto. Tra la fine degli anni 1940 e 1970, la CIA ha testato LSD e altre droghe sui civili stranieri in Germania e in Russia, così come in Francia, e su 5.000 militari degli Stati Uniti. Alberelli asserisce che l’Agenzia Americana fosse convinta che LSD potesse eliminare la violenza nella mente delle persone, quindi l’idea era quella di bombardare i nemici con l’LSD in modo da renderli innocui e generare allucinazioni di massa e atti di follia.

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Dolcino. Guerrigliero e comunardo

Storia-02-FraDolcino-Portrait-2Lo specifico aspetto distintivo di Dolcino nell’arcipelago dell’eresia della prima riforma, è che non si limita alla predicazione di princìpi nuovi:
li mette in pratica davvero.
Così, a più riprese fonda (prima a Gattinara, poi sulla Parete Calva, infine sul Rubello) una vera e propria comune apostolica, nella quale gli ideali di una societa diversa non erano solo Vagheggiati ma concretamente vissuti. E tutto ciò mentre gli «atleti della fede», i crociati, l’attaccano da ogni parte.
Questa scelta pratica è originalissima, non trova altri riscontri. Possiamo immaginare quale fascino, risonanza ed enorme forza d’attrazione potesse avere per quel tempo una comune eretica che vive, si autosostiene, si difende e combatte riunendo migliaia di uomini e donne.
Essa, con l’embrione di una nuova organizzazione sociale di tipocomunistico, mostrava al mondo la credibilità e la fattibilità della proposta apostolica: non una chimerica aspettativa, ma un’effettiva realizzazione.
Questa specifica ed originale scelta di Dolcino pone la vicenda apostolica su un livello già più elevato rispetto all’infinita serie di esempi del ribellismo contadino: siamo già su un terreno più avanzato, più coscientemente e compiutamente rivoluzionario.
Engels infatti spiega: «Anche nelle cosiddette guerre di religione si trattò soprattutto di interessi positivi, materiali, di classe… L’opposizione antifeudale si manifesta lungo tutto il medioevo o come movimento mistico, o come eresia o come rivolta armata».
Sostanziata dalla concreta realizzazione della comune agricola e militare, nella vicenda dolciniana per la prima volta si sintetizzano questi tre diversi filoni dell’opposizione antifeudale: movimento mistico, eresia e rivolta armata si fondono in una sintesi esplosiva di teoria e prassi. La modernità di Dolcino emerge dunque anche dal punto di vista pratico.

All’interno di quest’aspetto dell’analisi, è opportuno soffermarci sulla scelta tecnica operata militarmente da Dolcino: la guerriglia, l’unica possibilità per fronteggiare eserciti invasori strutturati professionalmemte.
Nell’evolversi dei fatti d’aime di rilievo è la soluzione data al problema forse più grave cui in casi analoghi ci si trova di fronte: il problema della rappresaglia. Quando ventidue apostolici vengono trucidati in Vercelli, Dolcino risponde con una dura controrappresaglia: giustizia cinquanta nemici prigionieri. L’eventuale cedimento alla rappresaglia avrebbe del resto significato la sconfitta sicura. Anche per questo, oltre che per ottenere riscatti, Dolcino mostrerà grande attenzione alla necessita di fare prigionieri
Moderne risultano le altre misure adottate per il prosieguo della guerriglia armata: la sorpresa, la mobilità e lo sganciamento, i devallamenti.
Questa evoluta elaborazione militare distingue Dolcino, per esempio, rispetto a valdesi, albigesi, anabattisti. Per circa tre anni egli in questo modo alimenta la propria fama di imprendibile demonio. Corrado Mornese

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La libertà non può essere che la libertà dal lavoro

anarchia22“… Ora, in questo senso la società attuale, come la società dello spettacolo universale dell’ideologia, i comizi politici nelle piazze, la vita stessa degli individui, la vita dell’apparenza, è il nostro obiettivo, il nemico da battere, per far si che la rivoluzione sia l’instaurazione della vita reale, il superamento della fase della sopravvivenza e l’instaurazione della vita cosciente dell’uomo, l’unica vita possibile. In questo modo il discorso sull’ideologia si chiarisce.
Vediamo come anche il liberalismo può diventare ideologia nella misura in cui noi la riempiamo di contenuti. Il significato della parola libertà diventerebbe, se non la si riempie di contenuti storicizzati, un concetto metafisico realistico borghese. Questi contenuti quali sono? Oggi non si può presupporre la liberazione dell’uomo senza la sua liberazione dal lavoro, è chiaro. Il progetto di sviluppo capitalistico tende a lanciare la promessa, attraverso l’automazione, di un superamento parziale della brutalità dell’attività lavoratrice, ma il lavoro rimane sempre fondamentalmente il potere sull’uomo, il potere dell’economia e della politica come logica e ideologia di questa logica che l’uomo non domina mai.
Quindi, la libertà non può essere che la libertà dal lavoro, non può che prospettare i contenuti fondamentali, in senso positivo e senza prefigurazioni, come abolizione del lavoro, come instaurazione di un’attività liberata, come gioco che non per questo perde il suo significato e il suo senso. Proprio per questo, gli obiettivi massimi della rivoluzione diventano quelli di portare avanti l’illimitato per l’uomo stesso, di strappare dal cielo delle religioni i miti dell’eterno e dell’infinito per portarlo nella realtà pratica della vita umana. Ora è chiaro che questo non può avvenire senza superamento dell’economia e della politica, proprio perché l’economia è la legge ferrea dello sfruttamento come la politica è il gioco di quelle classi dominanti o di chi si incarna in esse …”

(Tratto dall’intervento di Edi Ginosa al convegno della FAI a Carrara, 1 e 2 novembre 1969)

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Jerry Rubin. Come essere un yippie

DownloadedFileEravamo sotto droga, quindi potevamo affrontare il problema logicamente:
È una rivoluzione giovane.
Youth, giovane, comincia per Y.
È una rivoluzione internazionale.
Dietro la Y mettici una I.
La fa gente che nella vita cerca significati, divertimenti, estasi: è una festa, un party.
Mettici una P.
Cosa viene fuori?
Youth International Party, partito internazionale della gioventu: YIP.
Paul Krassner balzò in piedi e urlò: «YIP…PIE! Noi siamo yippies!».
Era nato un movimento.
Tutti noi che quelluiltimo dell’anno, a New York, eravamo riuniti in quella stanza, capimmo subito che tra pochi mesi «yippie» sarebbe diventata una parola familiare.
Abbie, Anita, Paul, Nancy ed io cominciammo a saltare per la stanza, yippiando.
I ragazzi avrebbero accettato sul serio di cbiamarxi yippies?
[…] Lo slogan degli yippies è: «Sorgi e piantala con quella polpetta unta!».
La stampa perbene pensò che la « polpetta unta» fosse un’allusione a Lyndon Baines Johnson, e che noi volessimo farlo fuori.
Che risate: noi lo amiamo, LBJ. LBJ è stato il nostro fondatore, la nostra guida, il nostro guru. Dove saremmo adesso, senza di lui?
Tutti hanno la propria polpetta unta: esami, debiti, foruncoli. Gli yippies sono un movimento di partecipazione. Peressere un yippie non ci vogliono titoli ideologici. Scriviti il tuo slogan. Protesta per te stesso. Ogni uomo è l’yippie di se stesso.
Tutto quello che devi fare per essere un yippie, è essere un yippie.
Yippie e solo un pretesto per ribellarsi.
Se domandi: «Ma esistono veramente, gli yippies?», non sei un yippie.
Se dici; «Gli yippies non esistono», non sei un yippie.
L’yippie dell’anno scorso è già un tipo rispettabile.
L’yippie di quest’anno è uno che lo succhia.
Gli yippies sono mostri e i ragazzi, vedendoli, diranno: «Anch’io posso essere così e passarla liscia».
Quando qualcuno si spinge più in là degli yippies, vuol dire che è venuto il momento di andare oltre, o di sciogliere gli yippies.
Gli yippies credono che non esista rivoluzione sociale senza rivoluzione mentale, nè rivoluzione mentale senza rivoluzione sociale.
L’YIPPIE GREGARIO non esiste. Esistono seicentoquarantasei milioni e mezzo di tipi diversi di yippies, e la definizione che si addice a un yippie è CAPO. Gli yippies sono Capi senza Gregari.
Gli yippies fanno tutto quello che gli pare quando gli pare. Sanno di essere sani di mente mentre tutti gli altri sono matti, quindi si autodefiniscono «pazzi».
Gli yippies dicono: se non è divertente, non lo fare.
Per noi il sesso, il rock’n’roll e la droga sono un complotto comunista per conquistare l’Amerika.
Piangiamo quando ridiamo e ridiamo quando piangiamo.
Per essere un yippie, devi guardare la televisione a colori almeno due ore al giorno, specie il telegiornale.
L’idea che un yippie si fa del divertimento è rovesciare il governo.
Gli yippies sono Maoisti.
Gli yippies sono degli esibizionisti, perchè rendono pubblici i propri sogni.
Vendicheremo l’assassinio del Che. (Jerry Rubin Do it! – 1970)

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Lo sviluppo come minaccia

sviluppo economicoLa fiducia nella crescita economica illimitata come soluzione ai mali della società è insita nel sistema capitalista, ma è solo dopo gli anni ’50 del secolo scorso che è diventata, con il nome di sviluppo, una politica di Stato. Da allora la Ragione di Stato è diventata principalmente Ragione di Mercato. Per la prima volta la sopravvivenza delle strutture del potere statale non dipendeva più dalle guerre, fossero anche fredde, ma dalle economie, preferibilmente calde. La libertà, da sempre associata ai diritti civili, veniva espressa sempre più come diritto commerciale. Da quel momento essere liberi significava esclusivamente poter lavorare, comprare e vendere in tutta libertà, senza regole né ostacoli. Di conseguenza il grado di libertà delle società capitaliste tendeva a essere determinato dalla percentuale dei disoccupati e dai livelli di consumo, ovvero dal livello di integrazione dei lavoratori nell’economia. E, come corollario, la contestazione sociale più autentica si è venuta definendo come rifiuto del lavoro e del consumismo, ovvero come negazione dell’economia resasi indipendente dalla collettività, come critica anti-industriale.
Lo sviluppo si è trasformato rapidamente in una minaccia, non solo per l’ambiente e il territorio, ma anche per la vita delle persone ormai ridotta agli imperativi del lavoro e del consumo. L’alterazione dei cicli geochimici, l’avvelenamento dell’ambiente, la disgregazione degli ecosistemi e l’esaurimento delle risorse mettono letteralmente in pericolo la sopravvivenza della specie umana. Il rapporto tra la società urbana e l’ambiente circostante suburbanizzato è diventato sempre più critico, poiché l’urbanizzazione generalizzata del mondo lo porta a una banalizzazione distruttrice non meno generalizzata: l’uniformizzazione del territorio attraverso l’accesso facilitato; la distruzione della terra con l’inquinamento e il cemento; la rovina dei suoi abitanti immersi in un nuovo ambiente reso artificiale, sporco e ostile. Lo sviluppo, valorizzando economicamente il territorio e la vita, non poteva che provocare il degrado dell’ambiente naturale e la decomposizione sociale, ma dal momento che ogni forma di crescita è diventata una forma di distruzione, la distruzione è diventata essa stessa un nuovo fattore economico, condizione sine qua non della crescita.

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