Stalin ai suoi figli

stalinVi sono due modi per combattere la malattia. Quello del medico, ma per efficace che sia, non cessa di inquietare l’argomento secondo il quale la medicina deve la sua esistenza e i suoi profitti proprio alla malattia. L’altro, meno spettacolare e tutto sommato poco praticato, consiste nell’esercizio, per ciascuno di una volontà di vivere che, sotto la sua unica responsabilità, lo tutela dall’entrare troppo facilmente nei morbosi intrichi della buona e della cattiva salute.
Niente di ciò che opprime il vivente è tollerabile – l’integralismo, il razzismo, il nazionalismo, l’assoggettamento della donna, l’abbrutimento degli uomini, i regimi dittatoriali, le relazioni di disprezzo, l’omicidio, lo stupro, l’inquinamento, il massacro della fauna e della flora, il maltrattamento dei bambini, la tortura, la prigione, l’incitamento alla paura e al senso di colpa. Ma se la vita ha bisogno delle vostre leggi per difendersi, evidentemente è perché non avete mai intrapreso di renderla offensiva.
Voi applicate l’amputazione, mentre non esiste una chirurgia dei trapianti e vi appellate alla chirurgia penale, benché la propagazione del vivente sia la sola arma assoluta che distrugge al passaggio il partito della morte.
Bisognerebbe, è vero, cominciare a non amputarvi di voi stessi, pugnalati dal quotidiano. Imparare il piacere di essere se stessi.
La vostra compagnia mi è stata più gradevole che in passato. Non mancherò all’occasione di farvi visita. Un consiglio amichevole al momento di lasciarvi: prima di chiedere il mio aiuto, riflettete, anche se sento già i miei compagni esclamare: “È successo quello che di peggio sarebbe potuto succedergli ai bei tempi della sua potenza: è diventato umano”.

Se vuoi saperne di più:

vanstaln

Pubblicato in Critica Radicale, General, Raoul Vaneigem | Contrassegnato , | Commenti disabilitati su Stalin ai suoi figli

Jean Dubuffet: è molto più pericoloso lasciare intatto un museo che una chiesa.

dubuffet_43Chi soggiorna a lungo,in un paese di civiltà non cristiana si rende conto di quanto il cristianesimo abbia influito sulpensiero dell’uomo occidentale, sui suoi punti di vista, sulla sua mistica, sui suoi umori (anche se è ateo, e se si proclama anticristiano). Il nostro sangue è imbevuto di cristianesimo.
Non si tratta, come generalmente si crede, di una questione di fede, o di accettazione dei dogmi, ma di una scala di valori, di un atteggiamento mentale, di un condizionamento del pensiero di cui non siamo coscienti, ma la cui esistenza è indubbia. Profondamente, inseparabilmente legata al cristianesimo, la nostra cultura è anche legata a un regime sociale che nasce dal dominio di una casta. E questa casta è il frutto secolare del cristianesimo. Le nazioni che volessero sbarazzarsi di questo dominio dovrebbero eliminare non soltanto il cristianesimo, ma anche la nostra cultura e tutti gli elementi che la compongono. Se conservano uno qualsiasi degli elementi che fanno parte della nostra cultura, esso diventerà il verme nel frutto, e prima o poi farà ritornare quel regime che si è tentato di abolire. È molto più pericoloso lasciare intatto un museo che una chiesa. Un tempo erano i gesuiti che aprivano la strada alle navi da guerra, ai negrieri e alle banche, ora sono gli organizzatori delle esposizioni d’arte che hanno questo compito. D’altronde, essendo la nostra cultura intimamente legata al nostro regime sociale, il pensiero dei nostri intellettuali è influenzato da tutti i miti sui quali il regime sociale si fonda. Questo vale anche per gli intellettuali che pretendono di non esserne complici. Il condizionamento funziona nei riguardi degli intellettuali chesicredono rivoluzionari come il cristianesimo influenza gli atei, senza che né l’uno né l’altro ne siano coscienti. (Jean Dubuffet, L’asfissiante cultura 1968)Dubuffet_QuatreArbr

 

Pubblicato in Critica Radicale | Contrassegnato , | Commenti disabilitati su Jean Dubuffet: è molto più pericoloso lasciare intatto un museo che una chiesa.

Chi ha paura di Marco Camenisch?

liberiSono un pastore, contadino e cacciatore delle Alpi Retiche, residuo di un genocidio consumato dallo stesso nemico che, nel corso dei secoli, ha distrutto quasi del tutto la mia terra. Nelle vesti delle multi nazionali dell’atomo e dello sfruttamento idroelettrico, turistico, del militarismo e dei suoi poligoni, con l’inquinamento radioattivo, chimico, da carburazione industriale e metropolitana, sovranazionale e via aerea, l’ipersfruttamento boschivo e agricolo è responsabile storico della rapina della mia identità etnica, della mia terra e del mio lavoro.
È nella presa di coscienza del mio essere sfruttato, schiavo ed espropriato che sono semplicemente andato fino in fondo nel tentativo della mia liberazione e nel tentativo di contribuire con tutto me stesso alla liberazione e difesa della terra che ha ospitato e nutrito i miei avi e me. Sono stato catturato dal nemico e mi sono liberato; sono stato cacciato dalla mia terra, da cacciato sono diventato cacciatore, preda e nomade, ospite di molte terre e genti. La mia solidale coscienza globale, coscienza della globalità del nemico e della sua guerra di sfruttamento e sterminio totale, non poteva che dirmi che la lotta contro di lui è dovere per e su qualsiasi terra che mi ospita. Solo così riaffermo, comunque e ovunque, la mia quotidiana e umana dignità, responsabile, solidale e comune, con le mie sorelle e fratelli di ogni razza e lingua, prresse e oppressi, sfruttate e sfruttati; solo così affermo la solidarietà con coloro che lottano, in qualsiasi modo lottino; solo così affermo la mia responsabilità, l’amore naturale e scontato per i nostri figli e per tutti i viventi di questo meraviglioso pianeta.
La comparsa del plutonio su questo pianeta è il segno più chiaro che la nostra specie è in pericolo.
Il mio sviluppo verso una critica radicale non ha avuto luogo all’interno di una specifica militanza antinucleare, ma è un percorso spesso autodidatta, lungo e irregolare, a partire dalla mia infanzia.
I miei genitori mi insegnarono un sentimento e un bisogno profondo di giustizia, nella contraddizione tra ricchezza e povertà, potere e impotenza (…)
(Marco Camenish)

Se vuoi saperne di più:

Achtung-cop-IIedi

Pubblicato in Carcere, Critica Radicale, General | Contrassegnato , , , , | Commenti disabilitati su Chi ha paura di Marco Camenisch?

Un rebetiko stupefacente

DownloadedFile

Non c’è molto da leggere in italiano sul rebetiko, genere di canzone cittadina sorto in Grecia negli ambienti marginali e sottoproletari nel secondo decennio del Novecento. Benvenuta dunque questa elegante pubblicazione, piena zeppa di illustrazioni, messa in vendita ad un costo più che contenuto e che raggruppa alcuni testi di Elias Petropoulos (un singolare personaggio tuttora considerato, a dieci anni dalla morte, la massima autorità nel settore), nonché di Iacques Vallet, giornalista e animatore culturale, e Iacques Lacarrière, poeta e scrittore. Ma è Petropulos l’autore effettivo e sebbene questo scritto sia soltanto una estrapolazione da un’altra sua opera, esso riesce a fornire un primo inquadramento al genere, ricostruendone la storia, riportando le biografie dei suoi maggiori protagonisti, presentando gli strumenti musicali utilizzati e dedicando ampio spazio al suo rapporto con gli stupefacenti (l’associazione con le droghe è costitutiva del rebetiko e ne permea in pratica ogni aspetto). Non sempre Petropoulos è convincente, pur avendo vissuto in prima persona ciò che racconta: la sua narrazione non è scevra da una certa inclinazione romantica nel tratteggiare l’argomento ed è quasi esclusivamente di tipo descrittivo ed evocativo. Il pezzo forte del volume sono però le immagini: quasi duecento tra disegni e fotografie, illustrano volti e corpi, paesaggi e scenari urbani, mappe ed interni di prigione, copertine di dischi e strumenti, oltre che, ovviamente, droghe (e loro effetti); immagini più eloquenti di qualsiasi parola e che da sole varrebbero la spesa per il libro, tra l’altro libero da copyright e quindi fotocopiabile a piacere: è chiaro, pero, che il basso costo incoraggia all’acquisto e c’è da scommettere (e da sperare) che saranno davvero in pochi a sfruttare questa autorizzazione. (Giovanni Vacca. Bow up febbraio 2014)

Ti potrebbe anche interessare:

rebetiko

Pubblicato in General, Musica | Contrassegnato , , , , | Commenti disabilitati su Un rebetiko stupefacente

STATI DI ALLUCINAZIONE di Ken Russell

altered_states locUn inquieto e spregiudicato antropologo, il dr. Jessup, arso da una divorante sete di conoscenza, non solo sulle origini della razza umana, ma dell’intero universo, si lancia in una ricerca scientifica estrema, che lo condurrà al di fuori dell’umano. L’idea è di sperimentare stati alterati di coscienza – da qui il titolo originale della pellicola – in modo da poter esplorare, per mezzo di essi, territori cosmici altrimenti inaccessibili alla scienza ordinaria. Inizialmente, lo studioso partecipa ad un rito iniziatico di una tribù primitiva dell’America Latina, ed assumendo una particolare droga psicotropa entra nell’allucinante mondo delle reminiscenze ataviche. In questo modo, non solo vive una prima e potente esperienza di coscienza alterata, ma innesca un profondo e radicale processo di trasformazione – non solo psichico, ma anche fisica – la svolta decisiva avviene nel momento in cui si sottopone a ripetute sedute di deprivazione sensoriale all’interno di una speciale camera atta allo scopo. Immerso a lungo nella vasca di deprivazione sensoriale, con le droghe che gli scorrono per le vene, avviene l’inaspettato e l’indicibile. Isolata quasi completamente dall’ambiente esterno, la mente di Jessup muta drasticamente il proprio rapporto con la realtà e compie un viaggio a ritroso nello stesso percorso biologico che, nell’arco di ere incalcolabili, avrebbe prodotto evolutivamente la specie umana. Jessup si trova quindi a mutare anche sul piano corporeo e a regredire ad uno stadio evolutivo umano precedente l’attuale, trasformandosi effettivamente in un ominide preistorico. La metamorfosi è temporanea, ma non vi sono limiti alle possibilità concrete della regressione ormai attivata, la quale, verso la fine, si sposta dal piano organico-biologico a quello puramente molecolare; e Jessup si ritrova a dover affrontare la spirale inversa dell’evoluzione materica dello stesso universo, vedendo ridotto il proprio stesso corpo ad un ammasso grottesco, quasi amorfo, e pulsante delle brute energie primordiali; rischiando da ultimo di precipitare nel nulla assoluto che avrebbe preceduto il Big Bang. Riesce infine a scampare all’annientamento, e a tornare completamente umano, solo grazie al fortissimo legame affettivo che lo unisce alla moglie.
Un Ken Russell allucinogeno, in bilico tra scienza e fantascienza. Un viaggio all’origine del mondo e della follia. Spettacolo morboso, drogato, che si prende gioco, tramite i protagonisti, della morale convenzionale infatti, essendo geniali, costoro aborrono le sovrastrutture sociali, il matrimonio, le cerimonie, per vivere una vita che soddisfi essenzialmente i bisogni primari, la completezza dell’essere.
Tutto inizia alla fine degli anni Cinquanta, quando un neuro-psichiatra americano, tale John Lilly, convertì una vasca per lo studio dei sommozzatori in una sorta di incubatrice della mente umana. Trasformò la vasca in uno strumento in grado di ridurre al minimo gli stimoli esterni. Originariamente la vasca permetteva allo sperimentatore di restare in una posizione verticale, ma successivamente gli studi proseguirono su una ad assetto orizzontale. La vasca era piena di acqua satura di sale di magnesio dell’acido solforico, mantenuta costantemente a temperatura corporea in modo da eliminare la sensazione tattile. Il corpo dello sperimentatore si trovava così a galleggiare in assenza di gravità in un liquido isotermico. L’assenza degli altri stimoli veniva garantita isolando la vasca da luce e rumori esterni. Stiamo parlando della così detta vasca di deprivazione sensoriale, all’interno della quale il medico conduceva i suoi soggetti che, trovandosi in uno stato di totale isolamento fisico ed emotivo, entravano in una profonda fase di rilassamento. In qualche caso dottore e paziente venivano a coincidere, perché Lilly diresse su di sé i propri esperimenti, prima affondando nella cisterna e partorendo allucinazioni, quindi assumendo regolarmente ketamina e sostanze analoghe (pare che abbia utilizzato tale farmaco per ventun giorni consecutivi, somministrandoselo in dosi di 50 mg ogni ora).
Gli studi dell’eccentrico dottore stimolarono l’immaginazione di uno scrittore, Paddy Chayefsky, che nel 1978 pubblicò, appunto, Stati di allucinazione, suo primo e ultimo romanzo.
Un paio di anni dopo, la Columbia si interessò del progetto, chiamando lo stesso Chayefsky a sceneggiare il futuro film, e Arthur Penn a dirigere. I due litigarono presto, e Penn abbandonò l’impresa, esattamente come la casa produttrice che si tirò indietro, cedendo il tutto alla Warner. La scelta del regista cadde su Ken Russell.

altered_states

altered_states3

Pubblicato in Stati di coscienza modificati | Contrassegnato , , , , | Commenti disabilitati su STATI DI ALLUCINAZIONE di Ken Russell

Favoletta di un gallo di Gian Pietro Lucini

luciniIl Gallo canta ancora per tutto il vicinato
Il suo rosso peccato sobillatore.
Grida: “Chiricchichì, sono la turbolenza
tra i timidi animali;
ho rejetto le greppie ufficiali,
che ci impinguano, ma che ci evirano.
Mi rifiuto alla pentola borghese;
sfoggio queste pretese d’insegnare il mio canto
a tutti quanti. Grassa truppa mi fa d’avvisatore,
epe tonde e spaventate
si rivoltano dentro lo strame.
Ma il mio duro corpaccio
Vi sta innanzi ad impaccio.
Che mi direte un dì,
se dietro alla fanfara del mio chiricchichì
procederà una schiera di Galletti
ribelli, indomiti e schietti?

Io son fiero e tenace cantatore,
sono l’instancabile vigilatore,
avviso di lontano, il nibbio, la faina, la volpe,il traditore;

noto e bandisco le colpe altrui;
guerriero senza macchia, forse donchisciottesco,
trombetto all’aer fresco la diana;
porto corazza, gorgera e cimiero,
sproni, e, nel rostro, lucida partigiana;
e piume rosse e nere”.

Il Gallo canta ancora
rivolto all’aurora.

Pubblicato in General, Poesia | Contrassegnato , , | Commenti disabilitati su Favoletta di un gallo di Gian Pietro Lucini

Contro il ricorso alla paura in ecologia

paura ecologiaLa paura penetra nel cuore dell’uomo nell’istante in cui si trova impedito di nascere a se stesso. Voglio dire che non abbandona i terrori inerenti all’universo animale se non per cadere nei terrori di una giungla sociale, dove è considerato un crimine comportarsi con la libera generosità di una natura umana.
L’economia distilla una paura essenziale nella minaccia che fa pesare sulla sopravvivenza dell’intero pianeta; da un lato si spaccia come garanzia di benessere, dall’altro si richiude come una trappola su ogni tentativo di scegliere una via diversa, che si tratti dell’indipendenza del bambino o dello sviluppo delle energie naturali.
La paura in quanto argomento economico, consiste nel chiudere porte e finestre quando il nemico è già in casa. Essa accresce il pericolo con la scusa di proteggersene. Suscitare lo spavento di una terra trasformata in deserto, di una natura sistematicamente assassinata, non è ancora un modo di murarsi, per morirvi, nel circolo vizioso della merce universale?
Distruggendo i bastioni della chiusura agraria per ricostruirli più lontano ai limiti della redditività, l’espansione mercantile ha riunito il gregge dei terrori al confine tra un universo moribondo e una natura da rivivificare.
Quel che è più terribile nella paura di morire, che istupidisce gli uomini fin nelle loro audacie suicide, è che si tratta originariamente di una paura di vivere. Trapassare, solcare la soglia della morte, è talmente insito nella logica delle cose che gli uomini ridotti agli oggetti che producono vi trovano paradossalmente più sicurezza e rassicurazione che nella risoluzione di cominciare a vivere e di prendere per guida i loro stessi godimenti.
La paura di una apocalisse ecologica occulta l’occasione offerta alla natura e alla natura umana.

Se vuoi approfondire:

vanviven

 

Pubblicato in Critica Radicale, General, Raoul Vaneigem | Contrassegnato , , , | Commenti disabilitati su Contro il ricorso alla paura in ecologia

LSD – Lucio Dalla

lucio dalla lsdIl beat italiano, il bitt per dirla meglio, nasce più o meno il 17 febbraio 1965, il giorno in cui l’avvocato Alberico Crocetta inaugura una sala da ballo in via Tagliamento, a Roma; avrebbe voluto chiamarla Peppermint, alla fine la chiamò Piper Club, anticipando d’istinto il Pied Piper e il Piper At The Gates of Dawn (Pink Floyd) che avrebbero suscitato poi emozioni in tutti gli innamorati della nuova musica. L’importante era un nome inglese, perché l’avvocato voleva trasferirvi un po’ della Swinging London, della moda estrosa di Carnaby Street, di quella musica beat, mod, garage e un po’ di psichedelica colorata alle erbe.
La droga è in effetti una realtà importante presso le nuove generazioni, anche se in quei giorni la stragrande maggioranza dei ragazzi beat si limita ad hashish e marijuana. Gli oppiacei sono poco diffusi mentre c’è molta curiosità per gli allucinogeni, dal peyote all’acido lisergico. Tanto che anche in Italia musica e droghe si mescolano assumendo connotazioni originali.
Nel 1966, Lucio Dalla è tra i primi ad incidere una canzone che parla di LSD, scritta con Sergio Bardotti.

LSD
La realtà scivola, scivola, scivola, scivola via
luci che paiono, paiono, paiono, paiono, nere
cuori che battono, battono, battono, battono, forte
voci che chiamano, chiamano, chiamano, chiamano me
stammi vicino non te ne andar
questo è il momento poi, poi capirai
vedo la notte viene da me
eccola è qui, eccola è qui, eccola è qui
La realtà scivola, scivola, scivola, scivola via
luci che paiono, paiono, paiono, paiono, nere
cuori che battono, battono, battono, battono, forte
voci che chiamano, chiamano, chiamano, chiamano me
stammi vicino non te ne andar
questo è il momento poi, poi capirai
vedo la notte viene da me
eccola è qui, eccola è qui, eccola è qui

Ti potrebbe anche interessare:

almanacco psichedelico

Pubblicato in General, Stati di coscienza modificati | Contrassegnato , , , , | Commenti disabilitati su LSD – Lucio Dalla

Internet: la merce sei tu.

zemin_cartoon

 

La città cablata non pare  discostarsi dalle logiche della vecchia città materiale. Le “autostrade elettroniche” sbandierate come strumenti di vera democrazia in realtà rappresentano, semplicemente, le infrastrutture di base indispensabili alla produzione post-industriale. Così come le vecchie autostrade di asfalto e cemento favorivano la circolazione – delle merci e dlle persone- necessaria all’industria manifatturiea, anche le nuove autastrade cablate devono garantire la circolazione e ala diffusione delle informazioni e delle idee, necessarie alla produzione materiale post-fordista. Questa rete universale di comunicazione, che sopprime radicalmente la distanza tra le cose, aumenta indefinitivamente la distanza tra le persone, negando la loro fisicità. Le persone circolano meno, mentre viaggiano le informazioni, ma queste persone sono ancora, come un tempo, isolate e rimangono semplici ricettori passivi di una comunicazione mercificata. Nella società dello spettacolo, dove lo sguardo non incontra che le merci ed il loro premo, anche l’atto stesso di guardare il video – ieri della tv, oggi del computer – si configura, immediatamente, come lavoro e come consumo. Come lavoro perchè tutte le conoscenze, le informazioni e le abilità indispensabili per utilizzare gli strumenti informatici rappresentano una sorta di corso di formazione permanente necessario a sviluppare tutte quelle attitudini funzionali alla produzione in epoca post-fordista. Sviluppando questo savoir fiaire, infatti, non solo ci autoaddestriamo al lavoro immateriale ma produciamo anche, direttamente, sapere e comunicazione, fondamentali materie prime della fabbrica post-industriale. Come consumo perché mentre rimaniamo, immobili ed isolati nelle nostre case-terminale davanti al monitor del computer, non solo utilizziamo merci, hardware e software, ma siamo anche immersi dentro l’enorme ipermercato immateriale, frequentato da  milioni di consumatori, rappresentato dalla stessa rete. […] Intanto, mentre si acquista tramite internet, uno speciale programma nascosto all’interno di Navigator -il più diffuso sistema di “navigazione” nella rete – scheda i nostri acquisti, le nostre curiosità, i nostri gusti, i nostri dati personali, il nostro numero della carta di credito, ecc. pronto a rivenderli alle banche dati.

La “libera” circolazione delle informazioni ha sostituito, nella società dello spettacolo, la “libera” circolazione delle merci materiali. E‘ per questo che molti difensori dell’astratta libertà di comunicazione (vedi ad es. la Electronic Frontier Foundation / EFF) vengono finanziati direttamente da società quali la At&t, Mci, Bell Atlantic, lbm, Sun Microsystems, Apple o Microsoft. “La spiegazione corrente sottolinea una convergenza di interessi: ogni ostacolo alla libertà di comunicare intralcerebbe anche lo sviluppo dei mercati di queste società. Ma se certe ditte, non particolarmente note per la loro battaglia in favore della libertà di espressione (…) possono appoggiare la lotta dell’EEF, è perché questa fondazione difende una “libertà di comunicare” che non valica la soglia dell’azienda”. Nella società dello spettacolo – dove i1 capitale è ad un tale grado di accumulazione da diventare immagine – l’informazioner e la comunicazione diventano merci nel momento stesso in cui entrano in circolazione. Internet, la rete planetaria di comunicazione, sopprime radicalmente la distanza tra le cose in un mondo in cui, ormai, tutto (oggetti e persone) è ridotto a cosa, a merce materiale e/o immateriale. Un mondo in cui l’unica socialità possibile è quella del consumo. Gli unici luoghi dove, oggi, è ancora permessa una parvenza di socialità, gli unici spazi, fisici, di aggregazione sono quelli commerciali e quelli del tempo libero mercificato. Ma nel momento in cui è possibile trascorrere il proprio “tempo libero” e/o acquistare qualsiasi cosa, via modem, stando seduti davanti al computer, si dissolve anche la fisicità di questi luoghi e gli strumenti telematici non fanno altro che approfondire quell’isolamento e quella “segregazione volontaria“, già sperimentati con la tv, per cui gli uomini sono dei semplici ricettori passivi di una comunicazione che ci raggiunge, come spettatori, comodamente a domicilio (“ce soir spectacle à la maison”). Un passività spettacolare che non viene minimamente intaccata dalla cosiddetta interattività della comunicazione telematica. L’apatia, l’inerzia, il disinteresse e la noia che caratterizzano, ormai, ogni fruizione spettacolare e che rischiano di compromettere le stesse necessità produttive, mercantili e di formazione del consenso che lo spettacolo persegue viene aggirata proprio attra-verso le nuove tecnologie. Esse tentano di proporre la nuova illusione di una partecipazione più diretta e coinvolgente, meno unidirezionale, più reciproca e scambievole, l‘illusione di una “nuova” comunicazione interattiva. La cosiddetta interattività dei prodotti multimediali e delle realtà virtuali si riduce a puro intrattenimento ludico; più coinvolgente che nel passato, ma sempre all’interno di una realtà fittizia e separata, più partecipativo ma soltanto come scelta tra opzioni prestabilite. Un’agire pseudo-interattivo e pseudocomunicativo che è tutto dentro la logica dello spettacolo. E‘ così che si ridà smalto alla soporifera industria dell’intrattenimento. Cinema e tv, musei e teatri ed ogni altro luogo del tempo libero mercificato ricevono nuova linfa dalle nuove tecnologie. Questa interattività del consumo spettacolare ha come scopo il tentativo di risvegliare l’interesse, sempre più sopito, dello spettatore-consumatore. Anche la comunicazione più personale (le chat), le piazze virtuali e gli altri spazi di dibattito pubblico interni alla rete, in questo processo, tendono drasticamente a diminuire assediata dal proliferare dell’enorme mall telematico, vero e proprio ipermercato immateriale planemrio. Quando poi una, sia pur residuale, comunicazione interpersonale sopravvive essa è condannata ad una marginalità ineffettuale che la riduce a semplice rumore di fondo del network Per quanto attiene, infine, alle garanzie di “libero accesso“ alla rete, anche qui valgono le regole della democrazia di mercato: l’accesso è garantito a chiunque sia in grado di pagarlo. Disparità economiche, geografiche (tra nord e sud del mondo) e culturali; dislivelli di reddito, di accesso, di norme e di regole, di connessione e di tariffe condizionano, infatti, pesantemente, la presunta democrazia di internet. Definitivamente esaurita l’epoca della sperimentazione, dei cyberpionieri, si apre, per internet, l’epoca del mercato. La festa è finita, comincia il business ! L’intreccio di lavoro, consumo e tempo libero mercificato — che mette in produzione l’intera esistenza e che riduce la vita a sopravvivenza — caratterizza ogni aspetto di questa società. E‘ una realtà che non lascia fuori niente, nemmeno la “Rete”. (Giuseppe Balsebre 1997)

 

 

 

 

Pubblicato in Critica Radicale, General | Contrassegnato , | Commenti disabilitati su Internet: la merce sei tu.

Nucleare, prima che sia troppo tardi

nucleareUn grosso interrogativo incombe: come farà a rifiutare il nucleare una società formata da individui che volenti o nolenti stanno ingurgitando veleni e tranquillanti, inquinando, depredando e violentando a ogni tappa delle loro esistenze quel complesso e armonioso sistema che la nostra lingua definisce natura; da uomini e donne allevati nella disciplina del consumo di merci e spettacoli, in formicai urbani sempre più grandi, spinti da sistemi di telecomunicazione perversi a vivere nel deserto virtuale disertando l’attività comune, repressi e depressi nel loro istinto di libertà, nel non potere più godere della possibilità di muoversi in un territorio familiare, benevolo e a disposizione di ognuno?
Quella atomica, bio-nano-tecnologica, cibernetica e digitale, è ormai la società della manipolazione della vita intera. Totalitaria, non ammette un altrove né alterità ma solo varianti superficiali di sé stessa e funziona nell’unico senso della produzione mercantile: le poche ipotesi alternative (come le cosiddette energie rinnovabili) non riguardano scelte di individui e comunità libere bensì prodotti di consumo circoscritti nel sistema del capitale. Tanto il nucleare quanto il sistema tecnico che lo precede e lo sostiene non lasciano più spiragli né possibilità di scelta e tra breve probabilmente non si saprà nemmeno che cosa sia una candela.
Con o senza nuove centrali, dunque, il nucleare è già qui tra noi. Impedirne la proliferazione nelle sue molteplici forme è comunque necessario, doveroso, non rimandabile.
Per riuscire nell’intento, bisogna iniziare praticare l’autogestione, la gratuità e l’azione diretta: non solo scontrandosi con le forze dell’ordine che necessariamente proteggeranno gli interessi dello Stato e dell’economia, ma provando a gestire le proprie vite e i territori che si abitano senza filtri istituzionali, senza gerarchie di esperti e senza che nessuno, seppur animato dalle migliori intenzioni, dica che cosa e come bisogna fare.

Se vuoi saperne di più:

belbeoch-cop

 

Pubblicato in Critica Radicale, General | Contrassegnato , , , | Commenti disabilitati su Nucleare, prima che sia troppo tardi