Internet: la merce sei tu.

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La città cablata non pare  discostarsi dalle logiche della vecchia città materiale. Le “autostrade elettroniche” sbandierate come strumenti di vera democrazia in realtà rappresentano, semplicemente, le infrastrutture di base indispensabili alla produzione post-industriale. Così come le vecchie autostrade di asfalto e cemento favorivano la circolazione – delle merci e dlle persone- necessaria all’industria manifatturiea, anche le nuove autastrade cablate devono garantire la circolazione e ala diffusione delle informazioni e delle idee, necessarie alla produzione materiale post-fordista. Questa rete universale di comunicazione, che sopprime radicalmente la distanza tra le cose, aumenta indefinitivamente la distanza tra le persone, negando la loro fisicità. Le persone circolano meno, mentre viaggiano le informazioni, ma queste persone sono ancora, come un tempo, isolate e rimangono semplici ricettori passivi di una comunicazione mercificata. Nella società dello spettacolo, dove lo sguardo non incontra che le merci ed il loro premo, anche l’atto stesso di guardare il video – ieri della tv, oggi del computer – si configura, immediatamente, come lavoro e come consumo. Come lavoro perchè tutte le conoscenze, le informazioni e le abilità indispensabili per utilizzare gli strumenti informatici rappresentano una sorta di corso di formazione permanente necessario a sviluppare tutte quelle attitudini funzionali alla produzione in epoca post-fordista. Sviluppando questo savoir fiaire, infatti, non solo ci autoaddestriamo al lavoro immateriale ma produciamo anche, direttamente, sapere e comunicazione, fondamentali materie prime della fabbrica post-industriale. Come consumo perché mentre rimaniamo, immobili ed isolati nelle nostre case-terminale davanti al monitor del computer, non solo utilizziamo merci, hardware e software, ma siamo anche immersi dentro l’enorme ipermercato immateriale, frequentato da  milioni di consumatori, rappresentato dalla stessa rete. […] Intanto, mentre si acquista tramite internet, uno speciale programma nascosto all’interno di Navigator -il più diffuso sistema di “navigazione” nella rete – scheda i nostri acquisti, le nostre curiosità, i nostri gusti, i nostri dati personali, il nostro numero della carta di credito, ecc. pronto a rivenderli alle banche dati.

La “libera” circolazione delle informazioni ha sostituito, nella società dello spettacolo, la “libera” circolazione delle merci materiali. E‘ per questo che molti difensori dell’astratta libertà di comunicazione (vedi ad es. la Electronic Frontier Foundation / EFF) vengono finanziati direttamente da società quali la At&t, Mci, Bell Atlantic, lbm, Sun Microsystems, Apple o Microsoft. “La spiegazione corrente sottolinea una convergenza di interessi: ogni ostacolo alla libertà di comunicare intralcerebbe anche lo sviluppo dei mercati di queste società. Ma se certe ditte, non particolarmente note per la loro battaglia in favore della libertà di espressione (…) possono appoggiare la lotta dell’EEF, è perché questa fondazione difende una “libertà di comunicare” che non valica la soglia dell’azienda”. Nella società dello spettacolo – dove i1 capitale è ad un tale grado di accumulazione da diventare immagine – l’informazioner e la comunicazione diventano merci nel momento stesso in cui entrano in circolazione. Internet, la rete planetaria di comunicazione, sopprime radicalmente la distanza tra le cose in un mondo in cui, ormai, tutto (oggetti e persone) è ridotto a cosa, a merce materiale e/o immateriale. Un mondo in cui l’unica socialità possibile è quella del consumo. Gli unici luoghi dove, oggi, è ancora permessa una parvenza di socialità, gli unici spazi, fisici, di aggregazione sono quelli commerciali e quelli del tempo libero mercificato. Ma nel momento in cui è possibile trascorrere il proprio “tempo libero” e/o acquistare qualsiasi cosa, via modem, stando seduti davanti al computer, si dissolve anche la fisicità di questi luoghi e gli strumenti telematici non fanno altro che approfondire quell’isolamento e quella “segregazione volontaria“, già sperimentati con la tv, per cui gli uomini sono dei semplici ricettori passivi di una comunicazione che ci raggiunge, come spettatori, comodamente a domicilio (“ce soir spectacle à la maison”). Un passività spettacolare che non viene minimamente intaccata dalla cosiddetta interattività della comunicazione telematica. L’apatia, l’inerzia, il disinteresse e la noia che caratterizzano, ormai, ogni fruizione spettacolare e che rischiano di compromettere le stesse necessità produttive, mercantili e di formazione del consenso che lo spettacolo persegue viene aggirata proprio attra-verso le nuove tecnologie. Esse tentano di proporre la nuova illusione di una partecipazione più diretta e coinvolgente, meno unidirezionale, più reciproca e scambievole, l‘illusione di una “nuova” comunicazione interattiva. La cosiddetta interattività dei prodotti multimediali e delle realtà virtuali si riduce a puro intrattenimento ludico; più coinvolgente che nel passato, ma sempre all’interno di una realtà fittizia e separata, più partecipativo ma soltanto come scelta tra opzioni prestabilite. Un’agire pseudo-interattivo e pseudocomunicativo che è tutto dentro la logica dello spettacolo. E‘ così che si ridà smalto alla soporifera industria dell’intrattenimento. Cinema e tv, musei e teatri ed ogni altro luogo del tempo libero mercificato ricevono nuova linfa dalle nuove tecnologie. Questa interattività del consumo spettacolare ha come scopo il tentativo di risvegliare l’interesse, sempre più sopito, dello spettatore-consumatore. Anche la comunicazione più personale (le chat), le piazze virtuali e gli altri spazi di dibattito pubblico interni alla rete, in questo processo, tendono drasticamente a diminuire assediata dal proliferare dell’enorme mall telematico, vero e proprio ipermercato immateriale planemrio. Quando poi una, sia pur residuale, comunicazione interpersonale sopravvive essa è condannata ad una marginalità ineffettuale che la riduce a semplice rumore di fondo del network Per quanto attiene, infine, alle garanzie di “libero accesso“ alla rete, anche qui valgono le regole della democrazia di mercato: l’accesso è garantito a chiunque sia in grado di pagarlo. Disparità economiche, geografiche (tra nord e sud del mondo) e culturali; dislivelli di reddito, di accesso, di norme e di regole, di connessione e di tariffe condizionano, infatti, pesantemente, la presunta democrazia di internet. Definitivamente esaurita l’epoca della sperimentazione, dei cyberpionieri, si apre, per internet, l’epoca del mercato. La festa è finita, comincia il business ! L’intreccio di lavoro, consumo e tempo libero mercificato — che mette in produzione l’intera esistenza e che riduce la vita a sopravvivenza — caratterizza ogni aspetto di questa società. E‘ una realtà che non lascia fuori niente, nemmeno la “Rete”. (Giuseppe Balsebre 1997)

 

 

 

 

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