Primitivismo e Civiltà

primit1Gli ecoanarchici tendono a considerare la civiltà come la logica, le istituzioni e l’apparato materiale dell’addomesticamento, del controllo e del dominio. Anche se i diversi individui e gruppi danno priorità ad aspetti distinti della civiltà (per esempio i primitivisti si concentrano tipicamente sulla questione delle origini, le femministe essenzialmente sulle radici e sulle manifestazioni del patriarcato e gli insurrezionalisti principalmente sulla distruzione delle attuali istituzioni di controllo), la maggioranza degli ecoanarchici concorda sul fatto che essa è il problema di fondo o l’origine dell’oppressione e deve essere smantellata. L’avanzamento della civiltà può essere descritto a grandi linee come il passaggio, nel corso degli ultimi 10.000 anni, da un’esistenza integrata e profondamente collegata alla trama della vita a un’esistenza separata che controlla il resto della vita. Prima della civilizzazione, si disponeva di abbondante tempo da dedicare ai propri interessi e piaceri e vi era notevole autonomia e uguaglianza fra i sessi, un atteggiamento non distruttivo nei confronti del mondo naturale, l’assenza di violenza organizzata, nessuna mediazione o istituzione formale, buona salute e robustezza fisica. La civiltà ha inaugurato la guerra, la sottomissione delle donne, la crescita della popolazione, il lavoro di fatica, il concetto di proprietà, le gerarchie costituite e praticamente ogni malattia nota, per nominare solo alcuni dei suoi derivati devastanti. La civilizzazione comincia con e si basa su una rinuncia forzata alla libertà istintiva. La civiltà non può essere riformata ed è quindi nostra nemica.

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ZAFFERANO

zafferanoPianta erbacea perenne alta 5-15 cm; bulbo ricoperto di membrana ruvida, fibrosa, terrosa, più o meno sfilacciata; foglie a mazzetto, inserite in lunghe e pallide guaine membranose; fiori con tubo violetto nella parte superiore, poi impallidente fino al bianco verso il basso, che si apre alla sommità a coppa di imbuto, lilla-violetto, formata da sei parti ellittiche con numerose venature di colore più intenso; frutti assenti.
Fiorisce da settembre a novembre. Cresce in colture, coltivi ornamentali (parchi, giardini e viali), prati e pascoli aridi (0 – 700 m). Qua e là inselvatichita, coltivata per ornamento.
E’ una pianta che è stata coltivata in Oriente fin dall’antichità, citata nella Bibbia e nell’Iliade, usata come panacea, per aumentare la potenza sessuale, contro l’ubriachezza e per stimolare il sonno, fino a diventare un bene prezioso; spesso falsificato, esportato in tutta Europa per tingere gli abiti regali e come profumo.
In Grecia si credeva che avesse potere curativi e divini (gli indovini e i profeti lo chiamavano sangue di Ercole), oltre che protettivi contro le malattie, sottoforma di amuleto, e come antidoto in miscela con il vino. A Creta e Thera lo zafferano avrebbe avuto un uso rituale, in relazione all’adorazione degli dei e della natura, oltre che alla fecondità. Plinio il Vecchio riporta che è narcotico, afrodisiaco e che snebbierebbe la testa, oltre a essere ingrediente di vini.
Era anche un componente di miscele per fumigazioni a uso magico.
Tra XVIII e XIX secolo, è stato impiegato come inebriante in modo simile al papavero sonnifero.
Nel Medioevo in Europa, era un mezzo magico per combattere il “Fuoco di Sant’Antonio”, o ergotismo, causato dall’ergot. Era anche componente del laudano, preparato antidolorifico e sedativo a base di oppio creato da Paracelso. Nell’Inghilterra Vittoriana, si usava contro le costipazioni e in Occidente generalmente come calmante, contro crampi e ubriachezza. Nella medicina ayurvedica e islamica, si usa per calmare i nervi, nella medicina mistica dell’Islam si dice che la pianta rafforzi l’animo, sviluppi la potenza sessuale nei giovani e allevi i dolori articolari, mentre in Beluchistan si usa nello Yogurt contro la dissenteria e nello Yemen come stimolante. Nella medicina popolare, gli usi sono come sedativo e contro i crampi. Nella fitoterapia moderna, si usa per mestruazioni dolorose e dolori lombari concomitanti, dispepsie atoniche, tossi insistenti, spasmi bronchiali, asma e disturbi della dentizione.
A basse dosi, eccita e dà euforia, ad alte dosi ha un effetto più propriamente narcotico simile a quello dell’oppio. Causa mal di testa ed è abortivo. Può essere piuttosto pericoloso, anche letale, per i bambini.

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flora-psicoattiva

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Fluxus: Sabotaggi e danneggiamenti

fluxusIl primo periodo di attività di Fluxus coincise con una spaccatura nel movimento, causata dalla proposta di sabotare le iniziative culturali alte o importunare i pendolari del ceto medio mentre andavano o tornavano dal lavoro. Sul numero 6 della Fluxus News.Policy Letter, datato 06 marzo 1963, Maciunas descrisse le sue “proposte di azione e propaganda” per Fluxus a New York. Tale propaganda doveva svolgersi principalmente attraverso:
Picchetti e dimostrazioni.
Sabotaggi e danneggiamenti.
Composizioni.
Vendita di pubblicazioni Fluxus.
L’estetica Fluxus, semplice e non pretenziosa, era implicitamente un attacco alla cultura seria, ed è quindi normale che Maciunas credesse che gli aderenti al movimento avrebbero accolto altrettanto bene aggressioni alla società di classe.
Il pacchetto di proposte, quello sui sabotaggi e i danneggiamenti, era diviso in nove sezioni, raggruppate sotto tre titoli. Il sistema dei trasporti doveva essere danneggiato con interruzioni organizzate all’ora di punta negli snodi strategici del sistema stradale della città. Il sistema delle comunicazioni andava messo in avaria con lo spargimento di false informazioni e, cosa più ingegnosa di tutte, riempiendo le cassette delle lettere con migliaia di pacchi (contenenti mattoni etc.) indirizzati a giornali, gallerie d’arte, artisti etc., non affrancati & indicanti come mittenti altre gallerie d’arte, sale da concerto, musei. Benché Maciunas fosse troppo ottimistico nel concludere che il mittente o il destinatario avrebbero dovuto pagare l’addebito, non c’è dubbio che il progetto avrebbe provocato seri danni. Poiché un singolo postino non può portare pesi oltre un certo limite, se abbastanza pacchi fossero stati spediti contemporaneamente in una sola zona della città, ciò avrebbe causato gravi ritardi nella consegna della posta. Se la zona prescelta fosse stata un quartiere d’affari, la tattica sarebbe stata particolarmente efficace, senza conseguenze negative sui lavoratori delle poste. Infine, vi erano piani per sabotare la vita culturale mediante l’uso di bombolette puzzolenti e starnutatorie, il recapito di falsi annunci e il ricorso a servizi telefonici d’emergenza o di pronta consegna per rovinare le inaugurazioni nei musei.

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Raoul Vaneigem. Una verità unica è una verità morta

7586018090_43ea534830_zAbbiamo bisogno di nuovi punti di riferimento. Il nichilismo affarista ha avuto l’ottima idea di spazzar via i valori patriarcali e il cattivo gusto di sostituirli soltanto con un feticismo del denaro pronto a svendere tutto al miglior offerente.
Certo la tavola è rasa ma come apparecchiarvi il meglio senza esporlo al peggio? Dalla cupidigia, dalla corsa al profitto, dal calcolo interessato non può nascere niente. Le loro incrostazioni nutrono, come un brodo di coltura, i germi d‘incurabili infezioni. La stessa contestazione vi si corrompe, quando vitupera il vecchio mondo con la modernità di una mentalità arcaica e si nega il piacere di scoprire i primi segni di rinnovamento.
Eppure — quante volte si dovrà ripeterlo? — solo la coscienza e l’esigenza del vivente possono gettare le basi di una nuova società.
A causa della sua gratuità, la vita è una realtà che nessuna forma di pensiero economizzato è capace di conoscere e riconoscere. Iniziamo appena a renderci conto fino a che punto essa, sfuggendo a ogni tentativo di contabilità, sia stata inafferrabile, incomprensibile, inaccettabile.
Non sostengo che i situazionisti siano stati i primi a esplorare l’universo dei desideri e delle passioni, liberando dalle loro pastoie quei valori umani chiamati a fondare una civiltà i cui progressi servano l’uomo anziché la merce. Ma perlomeno hanno acuito la coscienza di un’epoca in cui il ventaglio del possibile si andava aprendo a sorprendenti trasformazioni. Lungi dal limitarsi alla semplice constatazione, hanno illuminato il loro presente con la determinazione a distruggere ciò che impediva loro di vivere e a inventarsi un destino esaltante.
L’analisi intransigente dei situazionisti ha contribuito non poco alla banalizzazione di comportamenti che, a dispetto delle regressioni contingenti, si adoperano a forgiare il futuro: il rifiuto del lavoro in nome della creazione; il rigetto della rinuncia e del sacrificio a vantaggio del godimento; l’abolizione dello scambio a favore del dono; l’estirpazione dei meccanismi che economizzano l’uomo in nome della sovranità della vita e della sua gratuità.
Operando per la sparizione della società mercantile, l’Internazionale Situazionista ha accettato la sfida di inserire le divergenze personali su un canovaccio la cui invariabilità non soffriva né discussione né controversia.
Persisto nel ripudiare in anticipo chiunque non sia visceralmente risoluto a farla finita con un sistema economico fondato sullo sfruttamento della natura terrestre e della natura umana. Per contro, il dibattito sulla società vivente che soppianterà la società mercantile propone all’esplorazione e alla coscienza soggettive un territorio di una ricchezza e di un’incertezza insospettate. È questione di ricerca, di creatività, di sensibilità individuale.
So bene che esiste un rischio di goffaggini e di aberrazioni suscettibili di confortare la società dominante con la scusa di volerla abolire. Non nutro dubbi, tuttavia, che un progetto comune possa fondarsi a poco a poco nellesuberanza e nella confusione delle volontà d’emancipazione. Una verità unica è una verità morta, le verità che si cercano sono molteplici come la vita, basta che restino vive.
La maggior parte dei commenti azzardati sul progetto situazionista ha creduto di dover sostenere con la rigidità dello stile il rigore del discorso — non parlo dei regolamenti di conti che si autorizzano le larve cadute da quel cadavere che è sempre stato il situazionismo e che tanti proseliti continuano a friggere e rifriggere nel piatto delle mondanità. (Raoul Vaneigem, 2005)

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THE ACID QUEEN – The Who

tommy acid queenArrivato al quarto LP, Pete Townshend immaginò un’opera rock che fosse gioco e filosofia, fiaba e messaggio vero; così nacque Tommy, una storia con tanti possibili livelli di lettura, una fantasia per i più giovani e uno stimolo per gli adulti, intellettuale e spirituale.
Tommy, nato durante la prima guerra mondiale diventa cieco, sordo e muto dopo aver visto l’omicidio del padre in uno specchio. Diventato un campione di flipper, raggiunge uno stato di grazia, riottiene i sensi perduti e dà vita a una propria religione, ma alla fine viene rifiutato dai suoi stessi discepoli, quindi torna a essere isolato come all’inizio della storia.
Per cercare di guarirlo, la madre ed il patrigno, avido ed alcolista, provano a ricorrere a discutibili personaggi: tra cui Acid Queen, una prostituta che usa LSD come stimolo sensoriale.

La Regina dell’acido
Se il vostro bambino non
è come dovrebbe per la sua età
questa ragazza lo rimetterà a posto
sono la zingara, la regina dell’acido
pagate prima che io inizi,
sono garantita per sconvolgere l’anima.
Dateci una stanza, chiudete la porta
lasciateci per un po’.
Il vostro ragazzo rimarrà sempre bambino
ma potrà diventare un giovane.
La tua mente potrà imparare a vagare.
Anche tu stai per raggiungere
la strada, come la regina dell’acido
il mio lavoro è fatto; guardatelo
non è mai stato così vivo,
la sua testa si agita
le sue dita si intrecciano
guardate come freme il suo corpo.
Sono la zingara, la regina dell’acido

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La prima volta con lo jopo

 

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Mark J. Plotykin

“Quando mi girai di nuovo verso lo sciamano, lui mi stava porgendo il tubetto. Provando nello stesso momento e in eguali proporzioni ansia, eccitazione, paura e pregustazione, mi misi la parte cava nella narice destra. Lo sciamano tenne l’altra estremità fra le labbra e soffiò, cominciando adagio e finendo con un colpo forte.
La forza del colpo mi fece cadere all’indìetro dalla mia posizione accovacciata. Fui immediatamente inondato da una sensazione di calore – le narici, il seno nasale, la testa,  gli arti erano in fiamme. Mi tirai su, e cominciai a sentire il dolore.
La testa prese a pulsarmi come se fossi stato colpito con una mazza da guerra. Mi si confuse la vista ed ebbi un capogiro; tentavo di respirare, mentre sentivo la gola e il naso bloccati da una sostanza simile a muco.
In mezzo a tanto disagio e confusione, mi guardai attorno e vidi che lo sciamano stava tornando a riempire il tubetto. Lo puntò di nuovo verso di me e m’infilò piano nella narice sinistra il seme di palma che si trovava all’estremità del tubo. La mia prima tentazione fu di rifiutare, ma prima che potessi rimettermi in sesto e parlare lo sciamano mi sofiìò forte nel naso.
Questa forza parve spingere la droga dal tubetto dello sciamano direttamente nel mio circolo ematico e poi nel profondo della mia anima. Benché il cuore mi battesse dolorosamente in petto, un sottile senso di euforia si unì al dolore che mi tormentava il corpo. Al limite del mio campo visivo cominciarono ad apparire due figure.
Prese a gocciolarmi il naso, ma mi si schiarì un po’ la vista. Vedevo indios in altri punti dello shabono che mi indicavano e facevano larghi sogghigni. Alcuni interruppero quel che stavano facendo – chiacchierando fra loro nelle amache, intagliando punte di frecce per la caccia, preparandosi il proprio snuff – e si sedettero in cerchio, con me al centro.
Sentivo che un caldo vincolo di fratellanza mi legava a loro. Mentre l’allucinogeno circolava nel mio corpo, gli indios parlavano nel loro idioma nativo, che ora mi sembrava di comprendere. Uno di loro mi batté affettuosamente sulla spalla e un altro sul braccio. Travolto da questo senso di familiarità, indicai l’epena sulla foglia di banano davanti a me. «Ancora», dissi allo sciamano, anche se la mia voce sembrava quella di un altro.
Lo sciamano caricò la pipa e sofiìò l’epena nella narice destra: poi riempì ancora e soffiò nella sinistra. Ebbi l’impressione che mi stesse dando una dose inferiore alla norma e che soffiasse più delicatamente di quanto non facessero gli indios fra loro. Anche così, però, cominciavo ad avere allucinazioni.
«Ancora», ripetei. Volevo l’esperienza piena.

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Ora i miei sensi erano alterati in modo notevole. L’udito mi si era fatto particolarmente acuto: mi pareva di essere in grado di sentire tutto nello shabono. Il mio campo visivo s’era molto ampliato: era come se stessi guardando il mondo con un grandangolo. Al limite del mio campo visivo, le figurine presero a ballare.
Lo sciamano sollevò ancora il cannello della pipa, e io ancora ne presi, ogni volta di più e con più intensità della precedente. Il colpo finale mi fece di nuovo cadere all’indietro, e io gìacqui disteso sulla schiena. La gola mi bruciava, sembrava che il cranio stesse per esplodermi; mi presi la testa fra le mani.
Un altro vecchio sciamano che mi sedeva accanto vide la mia disperazione e cominciò a massaggiarmi un braccio. Una sensazione di calore e di calma prese a scorrere in me, ed io staccai le mani dalla testa, mentre il dolore diminuiva. Lui posò una mano sul mio cuoio capelluto e cominciò a stringere, molto lentamente. Quasi subito il dolore scomparve, e gli effetti dell’allucinogeno percorsero il mio corpo come un’onda – dalla testa ai piedi e ancora in su. Sembrò che una grande pace scendesse su di me, sui miei amici, sullo shabono, sulla giungla che ci circondava.

shabono

shabono

Il pavimento di terra dello shabono, pieno di formiche, di pidocchi e d’altri parassiti, ora mi pareva comodo come una pelle d’orso. Ero estremamente rilassato, eppure molto attento. Sentivo che la testa e il cuore erano tirati in due direzioni diverse nello stesso tempo – mi colpiva l’inutilità dell’odio, dell’ngiustizia, della gelosia e della guerra che imperversavano nel mondo, eppure allo stesso tempo ero pieno del senso del mio potere e della mia invulnerabilità, del desiderio di essere waiteri: feroce e coraggioso nella migliore tradizione Yanomamo”. ( Mark J. Plotykin, 1993)

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IL MURO DI PUZZ

puzzTra le certezze rimaste della eredità lasciatami dai miei vent’anni, una continua ad esistere, anzi a persistere, malgrado le aggressioni ripetute e petulanti alle quali ho dovuto far fronte. La certezza si identifica con il confuso ricordo di una frase che suppergiù suona così: “L’obbligo di produrre aliena la passione di creare”. E il citato di turno dovrebbe essere un tal Raul Vaneigem, ma potrebbe anche non esserlo. Ecco, PUZZ aveva, ed ha, per me questa connotazione, o se si preferisce, questa giustificazione.
Certamente mi sarebbe piaciuto pubblicare su Linus e non mi è riuscito non certamente per colpa di Linus, ma non ho disegnato per PUZZ come ripiego.
PUZZ era il modello di pubblicazione che meglio si adattava al mio orgoglio di essere figlio di operai aristocratici cioè operai che disprezzavano il lavoro alla catena e adoravano il loro lavoro di operai di mestiere.
PUZZ non imponeva scadenze editoriali e quindi non dovevo obbligatoriamente, produrre l’idea e i disegni.
Contemporaneamente, era il luogo che mi permetteva di pubblicare un lavoro interamente pensato e realizzato da me. Sbagliando, ma solo rispetto al senno di poi, credevo che una condizione fondamentale di questo modo liberato di produrre fosse quella di essere ermetici ed elitari, cosa che in PUZZ mi riusciva benissimo.
Ma in fondo più che un errore era un necessario passaggio del desiderio di affermazione che mi stimolava a dimostrare di esistere, pur se con idee confuse.
Sono esistito sulle pagine di PUZZ e non su quelle di Linus, ma ho dimostrato a me stesso di esistere. Con una tiratura infima, con un pubblico di lettori forse ancor più scarso, ma sono esistito da allora.
Eccolo l’indistruttibile muro di PUZZ. Ciò che ha dato a chi come me cercava di esistere.
A ben vedere poi non era tanto il pubblicare che mi dava la sensazione di esistere. Era l’insieme delle cose da fare per assicurare l’esistenza di PUZZ a garantire questa certezza. Dalla distribuzione, alle sottoscrizioni, alle discussioni.
PUZZ ha sicuramente pubblicato cose di qualità molto diversa, alcune potrebbero essere qualificate tra la produzione artistica, altre, le mie, tra quella artigianale.
Ma tutte avevano la stessa qualità intrinseca: la libertà nella quale erano state prodotte.
Il muro è ancora lì, malgrado qualche mattone sia stato sostituito e qualcuno si sia sbriciolato, ma è all’ombra di quel muro che ancora mi riposo quando sono affaticato.
(Claudio Mellana 1992)

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Raoul Vaneigem. Solo, come resta solo il blouson noir che incendia una chiesa

ma-31903129-WEBCome la folla, la droga e il sentimento amoroso, l’alcool possiede il privilegio di stregare lo spirito più lucido. Grazie ad esso il muro di cemento dell’isolamento sembra un muro di carta che gli attori strappano a loro piacimento, perché l’alcool pone tutto su un piano teatrale intimo. Illusione generosa che uccide tanto più sicuramente.

In un bar soporifero dove le persone s’annoiano, un giovane ubriaco rompe il bicchiere, afferra una bottiglia e la fracassa contro un muro. Nessuno si scompone. Deluso nelle sue aspettative il giovanotto si lascia sbattere fuori.
Eppure il suo gesto era virtualmente in tutte le teste. È stato il solo a concretizzarlo, lui solo ha varcato la prima barriera radioattiva dell’isolamento: l’isolamento interiore, questa separazione introvertita del mondo esterno e dell’io.
Nessuno ha risposto a un segno che egli aveva creduto esplicito. È rimasto solo come resta solo il blouson noir che incendia una chiesa o uccide un poliziotto, in accordo con se stesso, ma votato all’esilio finché gli altri vivono esiliati dalla loro stessa esistenza. Non è sfuggito al campo magnetico dell’isolamento, eccolo bloccato nell’assenza di gravità. Tuttavia, dal fondo dell’indifferenza che raccoglie, percepisce meglio le sfumature del suo grido. Anche se questa rivelazione lo tortura, sa che bisognerà ricominciare con un altro tono, con più forza. Con maggior coerenza.
Non esisterà che una comune dannazione finché ogni essere isolato rifiuterà di capire che un gesto di libertà, per quanto debole e maldestro, è sempre portatore di una comunicazione autentica, di un appropriato messaggio personale. La repressione che colpisce il ribelle libertario s’abbatte su tutti gli uomini. Il sangue di tutti gli uomini cola insieme al sangue dei Durruti assassinati. Ovunque la libertà arretra di un pollice, essa accresce cento volte ll peso dell’ordine delle cose. Esclusi dalla partecipazione autentica, i gesti dell’uomo si fuorviano nella fragile illusione di essere insieme oppure nel suo opposto, Il rifiuto brutale e assoluto del sociale. Essi oscillano da un’ipotesi all’altra in un movimento di bilanciere che fa scorrere le ore sul quadrante della morte. (Raoul Vaneigem Trattato del saper vivere)

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La macchina, l’uomo, il sogno, la tragedia

frankForse per caso, sperduto tra mille novità, o tra utili ripescaggi in bilico tra sogno è realtà, esiste un primo costruttore di insoliti ed interessanti aggeggi ed invenzioni, che usa energie naturali che aiutano e sviluppano stati di coscienza più elevati: si tratta di Lord Frankenstein, geniale personaggio portato alla conoscenza del mondo da Mary Shelley con un libro finto romanzo ma rigorosamente scientifico: Frankenstein, or the Modern Prometeus del 1818.
Tentativo di romanzo gotico, secondo la voga del tempo, attua, invece, una contestazione radicale del magico e del sovrannaturale, facendo nascere il senso del meraviglioso non dall’ultraterreno ma dal contesto scientifico.
Il mostro creato dalle imprudenti sperimentazioni del professor Frankenstein è costruito con reperti anatomici, ed è animato grazie alla grande scoperta scientifica dell’epoca: la forza elettrica (Galvani, 25 anni prima aveva dimostrato che l’elettricità può far muovere i muscoli, e Volta 19 anni prima, aveva fabbricato la pila).
Frankenstein, primo uomo artificiale scientificamente concepito, è il punto di saldatura tra la tradizione magico-fantastica della mandragola, del golem, dell’homunculus e la nascente ricerca scientifica.
È una grottesca caricatura dell’immagine umana, perché il golem rabbinico e l’homunculus degli alchimisti, da cui discende, erano immagini dell’uomo raccolte in uno specchio deformante.
Cova entro di sé i semi della ribellione, perché nei confronti della società umana si vede come un corpo estraneo. È più forte dell’uomo, più resistente, più agile perché è una creatura scientifica, nata in ossequio alla pretesa della ragione di perfezionare la natura.
Dal diario di Lord Frankenstein: “… Feci delle ricerche in anatomia, chirurgia, criminologia, usanze antiche e moderne di sepoltura e di elettrodinamica. Scoprii che c’erano sei modi di tagliare il cranio. Scelsi il più facile, cioè tagliare la cima del cranio come fosse il coperchio di una pentola … Questa è la ragione per cui ho deciso di fare la testa della creatura quadrata e piatta come una scatola, e di incidere quella grossa cicatrice attraverso la fronte e di inserire morse metalliche per tenerla assieme. Le due barrette di metallo che escono dal collo sono prese elettriche … Avevo letto che gli egiziani legavano mani e piedi di certi criminali e li seppellivano vivi. Quando dopo la morte il sangue diventava acqua, scorreva nelle estremità ed ingrossava mani, piedi e faccia a proporzioni anormali. Pensai che potesse essere una buona idea per la creatura, dal momento che pensavo di costruirlo con cadaveri di criminali …

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Elridge Cleaver. Sogno drogato dell’Yippie-Pantera

© Copyright 2013 CorbisCorporationSpiritualmente, il patto Yippie-Pantera fu firmato nel 1964-65, quando gli studenti di Berkeley rivoluzionavano l’Università e fermavano i treni militari, e Eldridge Cleaver era chiuso nella prigione di Folsom.
In Anima in ghiaccio, Eldridge scrive quel che provava:
« Avrei voluto fare un salto di un miglio, o farmi crescere la barba e mettermi con Che Guevara, e condividere il suo destino, aiutando ad aprire un altro sentiero nel cervello sempre più cosciente della Nuova Sinistra… O mi sarebbe piaciuto essere a Berkeley proprio in questo momento, a rotolarmi in quell’atmosfera, a folleggiare in quella tana di pseudo-rivoluzione ».
Sin dalla nascita, Eldridge Cleaver era stato condannato al carcere dall’Amerika bianca. Ebbe la prima condanna quando venne trovato in possesso di quella che lui chiama una « borsa piena d’amore » (marijuana), ma il suo delitto era avere la pelle nera.
Adesso sta in prigione e legge sui giornali che i figli dei suoi carcerieri bianchi sputano in faccia ai propri arroganti padri!
I figli dell’oppressore si uniscono all’oppresso!
Cinque anni dopo, Eldridge Cleaver divenne il candidato alla Presidenza degli Stati Uniti del partito Pace e Libertà.
La profezia di Eldridge si stava avverando: i giovani bianchi respingevano la società bianca. «Bianco » era uno stato d’animo. Gli hippies erano alla ricerca di una nuova identità.
Giovani bianchi espellevano l’Amerika borghese dalla propria mente e dal proprio corpo con la droga, il sesso, la musica, la libertà, il vagabondaggio. Affollavano le prigioni. Non partecipavano alla rivoluzione unicamente per « sostenere » i negri; rifiutando la società bianca si battevano per la propria libertà.

Eldridge voleva stringere un’alleanza tra i negri cattivi e i bianchi cattivi. Criminali di tutti i colori, unitevi! Istituire una consorteria che nasceva dalle lotte e dall’oppressione comuni.
Eguaglianza-sotto-i-pigs.
L’unità bianconera diventa reale solo quando i bianchi vengono trattati come negri.
Eldridge voleva una coalizione tra le Pantere e gli attivisti psichedelici della strada. Dal candidato a suo vicepresidente esigeva un unico requisito: che fosse fuori di prigione.
Ero appena stato assalito nel mio appartamento da tre della Squadra narcotici di New York. Eldridge mi telefono, e io ci stetti.
Ma come avrebbe reagito il partito Pace e Libertà? Gli sarebbe venuto un infarto. E’ un partito fatto di bianchi che non si sentono oppressi e che aspettano il risveglio della classe operaia, di attivisti camicia bianca-cravatta-opuscoli-prese di posizione. Questi bianchi possono anche accettare di presentare come candidato alla Presidenza un drogato, un pistolero, un ex detenuto negro. Ma un mostro di capellone bianco alla vicepresidenza?
Dio ne guardi!
Andai al congresso di Pace e Libertà a new York, e salii sul ring. Proposi di trasferire il partito dai suoi uffici burocratici alla strada. Di trasformarlo in un partito di ribelli bianchi
Proposta respinta. Il partito nominò un professore universitario con borsa di pelle regolamentare (Jerry Rubin Do it! 1970)

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