I Ribelli dell’Hascisc

germania movimento 1È ORA DI DISTRUGGERE!
Da qualche tempo si è costituito a Berlino il CONSIGLIO CENTRALE DEI RIBELLI DELL’HASCISC ERRANTI. I Ribelli dell’hascisc hanno dichiarato guerra al terrore poliziesco e della squadra narcotici. Essi hanno organizzato smoke-in pubblici e manifestazioni davanti ai centri di disintossicazione, decisi ad attuare rappresaglie contro la polizia, assistenza legale a favore dei fumatori e un equipe di medici per i flippati. I Ribelli dell’hascisc sono il nucleo militante della controcultura berlinese. Lottano contro il sistema schiavista del capitalismo maturo. Lottano per la libertà di disporre del proprio corpo e della propria vita.
UNITEVI A QUESTA LOTTA!
Formate quadri militanti nelle campagne e nelle metropoli. Mettetevi in contatto con gruppi analoghi. Cagate su questa società della vecchiaia e del tabù.
Siate pazzi e fate cose belle. Have a Joint. Godetevela. Tutto ciò che vedete e che non vi piace, distruggetelo!
Osate lottare, osate vincere
Saluti anarchici
Il Consiglio centrale dei Ribelli dell’hascisc erranti (1970)

Ti potrebbe anche interessare:

quatmagg

 

 

Pubblicato in '68 e dintorni, Critica Radicale, General | Contrassegnato , , | Commenti disabilitati su I Ribelli dell’Hascisc

Cannabar: il cannabis club autogestito.

e18Immaginate questa situazione: un bel locale, accogliente, con un bar che non serve superalcolici, dei tavoli, divani e poltrone, buona musica, giornali e libri che informano di droghe in libera lettura, una libreria ben fornita, un posto adatto per passare qualche ora piacevolmente rilassati, per guardare video, per seguire conferenze o quant’altro può sembrare opportuno fare per gestire questo posto e goderne. In Francia lo chiamerebbero cannibistrot, in Italia potrebbe essere chiamato cannabar, canapub, cannabis club o in qualunque altro modo venga in mente definire un luogo dove i cannabinofili possono intrattenersi, scambiare, comperare e fumare cannabis. Apparentemente un coffee shop, in realtà abbastanza differente dal suo cugino olandese. Immaginate poi che produttori e consumatori – i soli a rigor di logica ad avere diritto di parola e d’azione perché gli unici reciprocamente indispensabili – si organizzino in un consorzio e gestiscano direttamente tutte le questioni inerenti la cannabis da resina. Dalla produzione, ai controlli della qualità, dalla distribuzione e vendita nei cannabar all’informazione e ricerca su questa sostanza psicoattiva. Cannabis-Social-Club_28_550x367Un luogo dove i sia possibile acquistare erba e derivati provenienti direttamente dal produttore, senza l’intermediazione di qualche personaggio mangiasoldi, senza prezzi gonfiati, sicuri di usare prodotti di qualità, perché controllati dai consumatori, gli unici che hanno interesse a fumare bene e sano. Uno scenario irrealistico? No, a pensarci è l’unico auspicabile, il solo che potrebbe soddisfare gli interessi di chi produce e chi usa la cannabis; senza trafficanti, funzionari corrotti, spacciatori, istituzioni e burocrazie statali, regionali o comunali di mezzo. Uno scenario in cui si cerca di valorizzare la cannabis non più come merce, puntando decisamente sulla coltivazione personale non a scopo di lucro, per il piacere di autoprodursi la propria erba, per scambiarla e regalarla. Uno scenario in cui siano garantiti e valorizzati soprattutto gli interessi di chi usa la cannabis e quindi un’organizzazione della distribuzione e della vendita che veda, nella gestione, i consumatori a fianco ai produttori. La questione cannabis investe direttamente i differenti modi con cui la società potrà rapportarsi in futuro con tutte le droghe; il ventaglio delle posizioni riguardanti le possibili soluzioni è ampio. Va da quello liberista – che auspica per le droghe le stesse leggi di mercato di qualunque altra merce -, alla posizione che vorrebbe le droghe, e chi le usa, sotto stretto controllo e molto limitati nelle proprie scelte. La canapa in un regime liberista rischia inesorabilmente di diventare una merce banale, di perdere la sua ricchezza culturale e la sua convivialità, di smettere di “funzionare”. Come il tabacco: trasformato da potente allucinogeno qual’ era quello originale, in ridicoli tubetti bianchi, portatori dei più svariati malanni. I consumatori (e qui più che mai il termine si adatta) vedranno passare il loro denaro da quello delle mafie a quelle della Philips Morris o a quella di qualche industria farmaceutica. Con ogni probabilità l’informazione si trasformerebbe in pubblicità e la ricerca in propaganda, in istigazione al consumo. L’altro modello, lo statalista, è quello in cui lo Stato si prende il diritto di ragionare al posto delle persone, prescrivendo e dosando e che considera chi fa uso di cannabis un soggetto deviato. Nel modello statalista si considera la legalizzazione una concessione, non un riconoscimento di un diritto; si rischia di limitare la produzione individuale e privilegiare i grandi produttori che metteranno in commercio prodotti standardizzati, venduti in luoghi anonimi – tipo tabaccherie – che non permettono una reale informazione. La produzione a fini personali, quella che resta limitata ad un uso privato, per sé e per gli amici dovrebbe essere considerata dalla legislazione, alla stregua della coltivazione dei pomodori nell’orto o dei gerani sul balcone. E’ solo quando la cannabis diventa merce che si rende necessario un intervento per garantire ai consumatori la qualità e il giusto prezzo dei prodotti. I presupposti da cui nasce il consorzio sono il completo sganciamento dalla “tutela” delle istituzioni, la valorizzazione della produzione individuale e la massima garanzia per i consumatori che devono acquistare la cannabis. La partecipazione dei consumatori al consorzio è organizzata all’interno dei cannabar che diventano strutture modellate secondo i criteri che emergono dagli interessi e dall’agire concordato di produttori e utilizzatori. Produzione, controllo, informazione, distribuzione, vendita possono essere gestite senza alcun intervento statale e nello stesso tempo regolate su criteri moderatamente commerciali. Si tratta di una struttura che vede male sia l’ingerenza dello Stato controllore e tassatore che lo strapotere del mercato, che non considera la cannabis come qualunque altra merce, che non la vede come un problema di distribuzione, sanitario o di ordine pubblico; che ne organizza la libertà d’uso senza promuoverne la vendita, che ne valorizza l’uso psicoattivo, ludico, conviviale e curativo, che informa chi la usa dei rischi dell’abuso. E’ un modello che può iniziare senza interventi particolari che ha la possibilità di partire da subito. Non mancano certo persone desiderose di coltivare o di gestire un cannabar , né le risorse culturali e ideali per sostenere la legittimità e le ragioni pratiche di questa scelta. (Da Cannabis N°1 1997)

Ti potrebbe anche interessare:

cannabis-11

Pubblicato in General, Stati di coscienza modificati | Contrassegnato , , , | Commenti disabilitati su Cannabar: il cannabis club autogestito.

PAURA E DELIRIO A LAS VEGAS

paura e delirio.jpgNel 1971 dalla California partono su una Chevrolet Raoul Duke, giornalista, e il suo avvocato obeso, dr.Gonzo. La direzione è Las Vegas, dove Duke deve realizzare un servizio sulla leggendaria corsa di moto Mint 400. In macchina si portano una scorta illimitata di mescalina, erba, allucinogeni e droghe di varia qualità, di cui fanno abbondante uso. Attraversano il deserto del Nevada e visioni terribili li accompagnano: l’attacco di uno stormo di pipistrelli, gruppi di lucertoloni che organizzano festini in albergo, il pavimento che si squaglia sotto i piedi. Fanno poi strani (tragici e divertenti) incontri: un poliziotto tanto severo quanto solo, che insidia Duke; una giornalista televisiva che si serve della follia amorosa di Gonzo; una ragazzina maniaca mistica che si è sistemata nella loro stanza e potrebbe portare a qualche guaio con la giustizia. Tra un incontro e l’altro, Duke e Gonzo continuano ad ingerire droghe, e vomitano e vedono liquami in ogni angolo. Talvolta Duke si mette alla macchina da scrivere e butta giù riflessioni sulla situazione, di loro in particolare e dell’America in generale. Quindi Duke decide di cambiare macchina, e percepisce che un cambiamento è ormai impossibile. I due allora separano i propri destini.
Il film è tratto dal romanzo Paura e disgusto da Las Vegas di Hunter S. Thompson, sceneggiato da Gilliam con Tony Grisoni, Tod Davies, Alex Co e diretto da Terry Gilliam.
Le deliranti ma, al tempo stesso, lucidissime pagine scritte da Thompson trovano una perfetta rappresentazione cinematografica nella sfrenata visionarietà del grande cineasta britannico, il quale mette in scena gli incubi e le allucinazioni dei protagonisti scatenando il proprio talento creativo, ma senza sottrarre né aggiungere nulla agli eventi narrati nel romanzo, di cui sono riportati, parola per parola, anche molti dialoghi. Terry Gilliam realizza un gigantesco, e a tratti disturbante, trip psichedelico, in cui la città del gioco, con i suoi colori scintillanti e le sue attrazioni dal gusto terribilmente kitsch, fa da teatro a momenti di grottesca spensieratezza che si alternano ad altri decisamente più crudi e realistici.paura e delirio 1
Il film parla del Sogno americano e la distruzione dello stesso, un trionfo di luci, suoni, colori che si sprecano per riempire quel gigantesco Nulla su cui si regge Las Vegas.
Il film parla di droga e ci spiega come la droga, negli anni 70, si affiancò ad una generazione con un’apertura mentale di quelle che non si vedevano da secoli. Ci fu un’apertura mentale, che consentì di cambiare il mondo. E la droga se non ne era parte integrante, comunque ne era stimolo e aiuto. Poi quella nuova idea di società si perse per strada, ed ora che è rimasta la vecchia società, coi suoi deliri e le sue paure, la droga non ha potuto far a meno di adeguarsi. Ora la droga non aiuta più l’apertura mentale, ora la droga è parte del sistema. Lo sballo è istituzionalizzato, fa parte del meccanismo.
E da qui il senso del film: i meccanismi della droga sono gli stessi della società. Il delirio e la paura sono meccanismi tipici del trip acido. Il Delirio, la felicità smodata, insensata, ogni percezione è al massimo. C’è nella droga come nella società, ad esempio la felicità di una nuova macchina, o un passaggio di grado nel lavoro. E la Paura, anche c’è sia nella società, che nella droga. Lo stato acido va controllato, se si esagera la paura non la si può più controllare. Questa paura diventa incontrollabile, come è incontrollabile il sentore di non farcela, di impotenza davanti alle difficoltà della vita comune.

 

 

 

 

 

Pubblicato in '68 e dintorni, Stati di coscienza modificati | Contrassegnato , , , , , , | Commenti disabilitati su PAURA E DELIRIO A LAS VEGAS

Fourier. Il furto come diritto II

plan_1Ed esaminiamo ora quali sono le contropartite che lo distrarranno del tutto dalla voglia di rubare.

In primo luogo egli non potrà prendere nulla senza che l’atto del sottrarre non diventi noto a tutti, dal momento che le relazioni d’Armonia sono disposte in maniera tale che un qualsiasi furtarello, a parte quello di denaro, non può rimanere a lungo ignorato, a meno che il ladro non seppellisca l’oggetto rubato, cosa che, in tal caso, glielo renderebbe inutilizzabile. Egli sa, inoltre, che se c’è il diritto di prendere, c’è anche il diritto di riprendergli l’oggetto sottratto. E fin qui, in luogo di un profitto, ci sarebbe per lui soltanto un disonore estremamente dannoso peril fatto che tutti i gruppi che frequenta comincerebbero a guardarlo con sospetto disprezzandolo: affronto questo che un Armoniano rifiuta anche più della morte stessa. La passione per il furto, così indomabile al giorno d’oggi in Civiltà, non esisterebbe già più solo se tutti i civilizzati godessero di un Minimo garantito. Un Armoniano, in effetti, anche presupponendolo del tutto privo di mezzi di fortuna, usufruisce di un minimo garantito, cosa che gli consente di godere di ciò che, ancora una volta, desidero qui elencare in modo schematico:
-cinque pasti al giorno al livello di terza classe — che è trattamento di gran lunga superiore ai nostri pasti principali nei quali nulla è mai servito per serie opzionali sulla base della varietà e gradualità della qualità dei cibi;
-alloggio e vestiario sufficiente con abiti adatti per tutte le stagioni;
-spettacoli e divertimenti di ogni specie;
-vetture e cavalli da monta, forniti gratuitamente.

Voglio sottolineare, invece, la mancanza assoluta di giochi rischiosi e di spese folli che producono soltanto bisogni apparenti. È evidente che un truffatore ladro, in un simile stato di cose, finisca per perdere la voglia di rubare, perfino a volerlo supporre del tutto privo di senso del rispetto delle cose altrui; a che pro dovrebbe farlo quando l’Armonia lo avrà educato e completamente assuefatto a questo nobile sentimento?

[…] In Armonia, si potrà dunque, senza rischio alcuno, restituire a tutti la pratica di questo quinto diritto naturale, ossia il Diritto al furto necessario. Non vi pare esserci più saggezza nel tollerare il furto in un ordine sociale che mita a prevenirne la tentazione, piuttosto che in quello cosiddetto “civilizzato” che, nel mentre lo vieta, spinge alla voglia di rubare 99 cittadini su 100?
In quanto al furto di denaro contante, che si potrebbe sia nascondere che usare senza alcun rischio d’essere smascherati, non gli si presenterà mai occasione alcuna per impossessarsene, dal momento che nessuno in Armonia porta del denaro con sé, avendo tutti un credito personale presso l’Amministrazione della propria Falange oppure negli Uffici contabili dei magazzini di deposito. È infatti abbastanza raro che si abbia del denaro con se’, dal momento che, anche quel poco che si potrebbe averne in più, lo si deposita a interesse presso l’Ufficio Contabile dell’Amministrazione. Non si è obbligati ad avere, come in Civiltà, sempre e in ogni caso della moneta contante a portata di mano. (Charles Fourier, 1829)

 

Pubblicato in Critica Radicale, General | Contrassegnato , , | Commenti disabilitati su Fourier. Il furto come diritto II

La città carcere

punkNon si vive né dentro né fuori quando ti accorgi che tutta la tua libertà si riduce a poter fare solo quello che ti lasciano fare! Ma quale libertà c’è in 8 ore di lavoro, in una famiglia, nel passare le serate davanti alla TV, o davanti ad una siringa; nel dover rendere sempre conto di quello che fai a tuo padre, al caporeparto, al professore, al vigile, alle lancette del tuo orologio. Allora ti rendi conto che c’è ben poca differenza tra vivere chiusi in una città e vivere chiusi in un carcere, se non che in galera non puoi fare a meno di accorgerti di quello che ti stanno facendo, perché il carcere è la massima esasperazione dell’annientamento quotidiano. Perché una cella di tre metri per due non è che l’esaperazione di un appartamento alveare; perché le telecamere che controllano i prigionieri 24 ore al giorno, non sono che l’esasperazione del controllo sul territorio, dei posti di blocco che incontriamo sempre più spesso; perché l’annientamento psico-fisico, le torture e l’isolamento; non sono che l’esasperazione della violenza, della disperazione e della solitudine che hanno costruito per noi insieme ai ghetti di questa città! E non è un caso che in un ghetto di Torino “Le Vallette” ci abbiano costruito uno dei supercarceri più “moderni e funzionali”.
Un ghetto nel ghetto, una prigione nella città prigione… cosa c’è di meglio!
Militarizzazione di tutte le strade, di tutti gli incroci, per un raggio di 2 kilometri!
PRESIDIARE IL CARCERE PER MILITARIZZARE IL TERRITORIO, PER CONTROLLARE LA CITTÀ
..… e allora che differenza c’è tra te e un prigioniero?
….. CHE LUI ALMENO HA LA COSCIENZA DI ESSERLO: TU NO!!!

(Tratto da Franti/Contrazione LP, 1984)

Se vuoi saperne di più:

cntr

Pubblicato in Carcere, General, Musica | Contrassegnato , , , | Commenti disabilitati su La città carcere

Raoul Vaneigem. Rovesciare la prospettiva

1287178801_351121e348_oIl condizionamento ha la funzione di collocare e di spostare ciascuno lungo la scala gerarchica. Il rovesciamento di prospettiva implica una sorta di anti-condizionamento, non un condizionamento di tipo nuovo, ma una tattica ludica: il detumamento.
Il rovesciamento di prospettiva sostituisce la conoscenza con la prassi, la speranza con la libertà, la mediazione con la volontà dell’ìmmediato. Esso consacra il trionfo di un insieme di rapporti umani fondati su tre poli inseparabili: la partecipazione, la comunicazione, la realizzazione.

Rovesciare la prospettiva vuol dire cessare di vedere con gli occhi della comunità, dell’ideologia, della famiglia, degli altri. È impadronirsi saldamente di se stessi, scegliersi come punto di partenza e come centro. Fondare tutto sulla soggettività e seguire la propria volontà soggettiva di essere tutto. Sulla linea di mira del mio insaziabile desiderio di vivere, la totalità del potere non è che un bersaglio particolare in un orizzonte più vasto. Il suo spiegamento di forze non mi ostruisce la vista, io lo individuo, ne valuto il pericolo, studio le risposte. Per povera che sia, la mia creatività è per me una guida più sicura di tutte le conoscenze acquisite per costrizione. Nella notte del potere, il suo piccolo chiarore tiene lontane le forze ostili: condizionamento culturale, specializzazioni d’ogni genere, Weltanschauungen inevitabilmente totalitarie. Ciascuno è in tal modo detentore dell’arma assoluta. Bisogna, tuttavia, come succede per certe forme di fascino, sapersene servire. Se si entra in contatto con la creatività per la via traversa della menzogna e dell’oppressione, a ritroso, essa si riduce a una pietosa buffonata: una consacrazione artistica. I gesti che distruggono il potere e quelli che costruiscono la libera volontà individuale sono gli stessi ma la loro portata è differente. Come in strategia, la preparazione di un’azione difensiva differisce evidentemente dalla preparazione dell’offensiva.
Non abbiamo scelto il rovesciamento di prospettiva per chissà quale volontarismo, è il rovesciamento di prospettiva che ha scelto noi. Coinvolti come siamo nella fase storica del NULLA, il passo successivo non può essere altro che un cambiamento del TUTTO. La coscienza di una rivoluzione totale, della sua necessità, e il nostro ultimo modo di essere storico, la nostra ultima possibilità di disfare la storia in certe condizioni. Il gioco in cui entriamo è il gioco della nostra creatività. Le sue regole sono radicalmente opposte alle regole e alle leggi che reggono la nostra società. E un gioco a chi-perde-vince: quel che e taciuto e più importante di quel che e detto, ciò che è vissuto è più importante di quel che è rappresentato sul piano delle apparenze. Questo gioco bisogna giocarlo fino in fondo.
Come potrebbe colui che ha sentito l’oppressione al punto che le sue ossa non la sopportano più, non gettarsi verso la volontà di vivere senza riserve, come verso il suo ultimo appiglio? Sventura a colui che abbandona per strada la propria violenza e le proprie esigenze radicali. Le verità uccise diventano velenose, ha detto Nietzsche. Se non rovesciamo la prospettiva, è la prospettiva del potere che completerà l’opera di rivolgerci definitivamente contro noi stessi. Il fascismo tedesco è nato nel sangue di Spartaco. In ogni rinuncia quotidiana, la reazione non prepara nient’altro che la nostra morte totale. (Raoul Vaneigem)

Ti potrebbe anche interessare:

Vaneigem-greciacop

 

 

 

Pubblicato in Critica Radicale, Raoul Vaneigem | Contrassegnato , , | Commenti disabilitati su Raoul Vaneigem. Rovesciare la prospettiva

La divisione del lavoro

tuttofareL’ingegneria genetica e l’imminente clonazione umana sono solo le manifestazioni più attuali di una dinamica di controllo e di dominio della natura che gli esseri umani hanno messo in moto diecimila anni fa, quando i nostri antenati cominciarono ad addomesticare gli animali e le piante. Nelle quattrocento generazioni umane che si sono succedute da allora, la totalità della vita naturale è stata penetrata e colonizzata fin nei suoi livelli più profondi, alla stregua del controllo che via via è stato sempre più accuratamente escogitato in ambito sociale. Ora riusciamo a vedere questa traiettoria per quel che realmente è: una trasformazione che ha inevitabilmente portato con sé una distruzione onnicomprensiva, che non era affatto necessaria. È significativo il fatto che testimonianze archeologiche rinvenute in tutte le parti del mondo dimostrino che molti gruppi umani provarono a praticare l’agricoltura e/o pastorizia, e più tardi abbandonarono queste attività per tornare a strategie più affidabili, quelle di caccia e di raccolta. Per molte generazioni, altri rifiutarono di adottare le pratiche di addomesticamento dei loro vicini più prossimi.
È a questo punto che ha cominciato ad emergere, nella teoria e nella pratica, un’alternativa primitivista. Alla messa in discussione della tecnologia bisogna aggiungere quella della civilizzazione stessa. Una documentazione sempre più cospicua, che descrive la preistoria umana come un periodo molto lungo in cui gli essere umani hanno vissuto in modo non allineato, si pone in netto contrasto coi fallimenti sempre più evidenti di una modernità indifendibile.
All’interno del dibattito sui limiti di Habermas, Joel Whitebook ha scritto: “è possibile che la portata e la profondità della crisi sociale ed ecologica siano così grandi che soltanto una trasformazione epocale delle visioni del mondo vi sia commisurata”. Da allora, Castoriadis trasse la conclusione che una trasformazione radicale dovrà affrontare la divisione del lavoro nelle forme conosciute sin qui. La divisione del lavoro, che ha cominciato ad emergere lentamente durante la preistoria, fu alla base dell’addomesticamento e continua a portare avanti l’imperativo tecnologico. (John Zerzan)

Se vuoi saperne di più:

zerzancrepuscolo

Pubblicato in Critica Radicale, General | Contrassegnato , , | Commenti disabilitati su La divisione del lavoro

Fourier: il furto come diritto I

falansterioSecondo la morale corrente [il furto] è un grande crimine, il quale, nondimeno, ci riporta direttamente alle leggi della natura. Ma il cosiddetto “furtarello quotidiano” è veramente un crimine stando a questi princìpi naturali? In maniera frettolosa si sarebbe tentati di rispondere che simili questioni non sono ammissibili, in quanto potrebero condurre a un sovvertimento sociale generale. Ma ci si  tranquillizzi! Se diamo per scontato che il furto é un vizio, non vi  è di  tanto criminale quanto questa cosiddetta “società civile”  che spinge tutti i suoi cittadini a essere dei ladri camuffati. Noi invece proponiamo e opponiamo ad essa un ordine in cui i cittadini, pur avendo il permesso assoluto di rubare, non si sognerebbero mai, neppure lontanamente, di darsi al furto: un ordine, cioè, in cui lo stesso interesse comune spingerebbe tutti a guardare con orrore a quel vizio che la morale civile, pur con tutti i suoi metodi coercitivi, è riuscita a rendere pratica segreta generalizzata. […] La tendenza al furto [è] ben radicata nelle due classi estreme: presso i selvaggi di Natura e i potenti di Civiltà; quanto alle classi intermedie, se esse non rubano è semplicemente perché non ne hanno la possibilità: giacché tutti quelli che hanno i mezzi per farlo, tra gli altri, in primis, i commercianti, non se ne fanno alcuno scrupolo convinti come sono che qualsiasi cosa è buona da sottrarre. Bisognerebbe, quindi, se il furto è veramente un delitto, far impiccare tutti i Civilizzati, una metà in quanto ladri di fatto e un’altra metà in quanto ladri intenzionali. Vedremo ora come in Armonia questa passione viene integrata passivamente, additandola al disprezzo generale e vanificandola come inutile. In regime di Armonia tale vizio sarà affrontato col metodo dell’integrazione passiva, che consiste nel tollerarlo al punto da far insorgere nei confronti di questa passione viziosa un sincero disprezzo. […] In generale, il furto cessa là dove cessa il bisogno e dove l’uomo interviene a rendere nulla la passione del furto. Sono questi i due criteri integratori che saranno impiegati sistematicamente in Armonia. La quale, inoltre, utilizzando la misura del minimo garantito e il concetto della onesta reputazione, arriva a neutralizzare a tal punto la passione innata del furto che, senza bisogno di scoraggiarne la pratica, può anche permettersi di non decretarne il divieto. […] Porre come nostra premessa che ogni abitante d’Armonia conserva il diritto di rubare senza mai abusarne, vuol dire mettersi doppiamente in urto con i pregiudizi dei civilizzati. Poiché questi signori considerano e mettono nel rango dei crimini il furto che, pur tuttavia, essi praticano con la massima audacia. Non dovrebbero prendersela tanto per un diritto a cui, in fondo, danno in segreto la loro preferenza rispetto a tutti gli altri consentiti dalla Carta dei diritti. Ma la cosa che soprattutto li scioccherà è l’affermazione che un Armoniano non si dedica affatto a praticare il furto sebbene gli sia pienamente riconosciuto il diritto. Ed esaminiamo ora quali sono le contropartite che lo distrarranno del tutto dalla voglia di rubare. (continua)

Pubblicato in Critica Radicale, General | Contrassegnato , , , , | Commenti disabilitati su Fourier: il furto come diritto I

Sulla mercificazione e predazione dell’acqua

acqua2L’acqua è un diritto e non una merce, la sua gestione può diventare occasione per allargare la dimensione della partecipazione e dei diritti. L’unica via praticabile non può che essere quella che porta all’autogestione, nelle forme più convenienti per ciascuna realtà specifica, perché un conto è la gestione dell’acqua in una metropoli altro è il piccolo paese rurale; diversa la situazione in zone povere di riserve piuttosto che nelle vallate alpine ricche di acqua.
La rivoluzione tecnologica ha permesso di pompare, depurare e distribuire l’acqua attraverso meccanismi sempre più sofisticati e a distanze sempre maggiori dalla fonte di approvvigionamento, il sistema industriale ha devastato i fiumi e le falde con le sue nocività, la civiltà dei consumi ha contribuito a devalorizzare l’acqua, alimentando la percezione che essa sia un bene illimitato, sempre disponibile e a buon mercato.
Occorre mettere in discussione questo sistema che mercifica tutto, non solo l’acqua, esalta l’individualismo e massacra le relazioni sociali. Bisogna recuperare innanzitutto la dimensione comunitaria dell’acqua, le attività collettive ad esse legate e quindi anche la percezione che essa sia un bene comune prezioso che tutti sono tenuti a difendere.
Riscattare l’acqua dalla funzione commerciale cui è stata relegata è possibile soltanto se la si considera in termini di prossimità, vicinanza. Allora sarà normale condividerla, non sprecarla, tenerla pulita. Sarà normale vigilare affinché gli avvoltoi del profitto, grandi e piccoli, non si avventino su di essa per sottrarla alla disponibilità di tutti e depredarla fino all’ultima goccia. (Tratto: da Fino all’ultima goccia – La Rueido Autoproduzioni)

Pubblicato in General | Contrassegnato , , , | Commenti disabilitati su Sulla mercificazione e predazione dell’acqua

Dada e comunismo secondo Huelsenbek

Richard Huelsenbek

Richard Huelsenbek

Il dadaista è ateo, per istinto. Non è più metafisico, nel senso che trova, in frasi che dipendono da teorie della conoscenza, una regola per la condotta della sua vita; per lui non esiste più il “devi”; il bocchino per sigaretta e l’ombrello hanno per lui lo stesso valore non temporale che la cosa in sé. Anche un orinatoio pubblico è una cosa in sé. Di conseguenza per il dadaista il bene non è “migliore” del male: non esiste che la simultaneità, anche per i valori. Questa simultaneità, applicata all’economia dei fatti, è propria del comunismo, un comunismo a dir la verità che avrebbe rinunciato al principio del “voler fare meglio” e che avrebbe soprattutto l’obiettivo di distruggere tutto ciò che si è imborghesito. Il dadaista è quindi contro ogni idea di paradiso, qualunque sia, e una delle idee che gli è più estranea è quella per cui lo spirito sarebbe “l’unione di tutti i mezzi per migliorare l’esistenza umana”. La parola miglioramento gli è d’altra parte totalmente incomprensibile, sotto qualsiasi forma, perché egli vi scopre un’occupazione artigianale con la vita che, inutile, senza scopo e abietta com’è, non rappresenta certamente un fenomeno dello spirito e non ha quindi alcun bisogno di miglioramento nel senso metafisico del termine. Per il dadaista l’associazione delle due parole, spirito e miglioramento, è una bestemmia. Il male ha un significato profondo, la polarita degli avvenimenti vi trova un limite e il vero politico (come Lenin pare sia) mette, certo, il mondo in movimento, ossia dissolve delle individualità con l’aiuto di un teorema, ma non lo modifica. E, per quanto paradossale possa sembrare, è anche ll senso del comunismo. (Richard Huelsenbek, 1920)

Ti potrebbe anche interessare:

dadacop

Pubblicato in General, Poesia | Contrassegnato , | Commenti disabilitati su Dada e comunismo secondo Huelsenbek