Cannabar: il cannabis club autogestito.

e18Immaginate questa situazione: un bel locale, accogliente, con un bar che non serve superalcolici, dei tavoli, divani e poltrone, buona musica, giornali e libri che informano di droghe in libera lettura, una libreria ben fornita, un posto adatto per passare qualche ora piacevolmente rilassati, per guardare video, per seguire conferenze o quant’altro può sembrare opportuno fare per gestire questo posto e goderne. In Francia lo chiamerebbero cannibistrot, in Italia potrebbe essere chiamato cannabar, canapub, cannabis club o in qualunque altro modo venga in mente definire un luogo dove i cannabinofili possono intrattenersi, scambiare, comperare e fumare cannabis. Apparentemente un coffee shop, in realtà abbastanza differente dal suo cugino olandese. Immaginate poi che produttori e consumatori – i soli a rigor di logica ad avere diritto di parola e d’azione perché gli unici reciprocamente indispensabili – si organizzino in un consorzio e gestiscano direttamente tutte le questioni inerenti la cannabis da resina. Dalla produzione, ai controlli della qualità, dalla distribuzione e vendita nei cannabar all’informazione e ricerca su questa sostanza psicoattiva. Cannabis-Social-Club_28_550x367Un luogo dove i sia possibile acquistare erba e derivati provenienti direttamente dal produttore, senza l’intermediazione di qualche personaggio mangiasoldi, senza prezzi gonfiati, sicuri di usare prodotti di qualità, perché controllati dai consumatori, gli unici che hanno interesse a fumare bene e sano. Uno scenario irrealistico? No, a pensarci è l’unico auspicabile, il solo che potrebbe soddisfare gli interessi di chi produce e chi usa la cannabis; senza trafficanti, funzionari corrotti, spacciatori, istituzioni e burocrazie statali, regionali o comunali di mezzo. Uno scenario in cui si cerca di valorizzare la cannabis non più come merce, puntando decisamente sulla coltivazione personale non a scopo di lucro, per il piacere di autoprodursi la propria erba, per scambiarla e regalarla. Uno scenario in cui siano garantiti e valorizzati soprattutto gli interessi di chi usa la cannabis e quindi un’organizzazione della distribuzione e della vendita che veda, nella gestione, i consumatori a fianco ai produttori. La questione cannabis investe direttamente i differenti modi con cui la società potrà rapportarsi in futuro con tutte le droghe; il ventaglio delle posizioni riguardanti le possibili soluzioni è ampio. Va da quello liberista – che auspica per le droghe le stesse leggi di mercato di qualunque altra merce -, alla posizione che vorrebbe le droghe, e chi le usa, sotto stretto controllo e molto limitati nelle proprie scelte. La canapa in un regime liberista rischia inesorabilmente di diventare una merce banale, di perdere la sua ricchezza culturale e la sua convivialità, di smettere di “funzionare”. Come il tabacco: trasformato da potente allucinogeno qual’ era quello originale, in ridicoli tubetti bianchi, portatori dei più svariati malanni. I consumatori (e qui più che mai il termine si adatta) vedranno passare il loro denaro da quello delle mafie a quelle della Philips Morris o a quella di qualche industria farmaceutica. Con ogni probabilità l’informazione si trasformerebbe in pubblicità e la ricerca in propaganda, in istigazione al consumo. L’altro modello, lo statalista, è quello in cui lo Stato si prende il diritto di ragionare al posto delle persone, prescrivendo e dosando e che considera chi fa uso di cannabis un soggetto deviato. Nel modello statalista si considera la legalizzazione una concessione, non un riconoscimento di un diritto; si rischia di limitare la produzione individuale e privilegiare i grandi produttori che metteranno in commercio prodotti standardizzati, venduti in luoghi anonimi – tipo tabaccherie – che non permettono una reale informazione. La produzione a fini personali, quella che resta limitata ad un uso privato, per sé e per gli amici dovrebbe essere considerata dalla legislazione, alla stregua della coltivazione dei pomodori nell’orto o dei gerani sul balcone. E’ solo quando la cannabis diventa merce che si rende necessario un intervento per garantire ai consumatori la qualità e il giusto prezzo dei prodotti. I presupposti da cui nasce il consorzio sono il completo sganciamento dalla “tutela” delle istituzioni, la valorizzazione della produzione individuale e la massima garanzia per i consumatori che devono acquistare la cannabis. La partecipazione dei consumatori al consorzio è organizzata all’interno dei cannabar che diventano strutture modellate secondo i criteri che emergono dagli interessi e dall’agire concordato di produttori e utilizzatori. Produzione, controllo, informazione, distribuzione, vendita possono essere gestite senza alcun intervento statale e nello stesso tempo regolate su criteri moderatamente commerciali. Si tratta di una struttura che vede male sia l’ingerenza dello Stato controllore e tassatore che lo strapotere del mercato, che non considera la cannabis come qualunque altra merce, che non la vede come un problema di distribuzione, sanitario o di ordine pubblico; che ne organizza la libertà d’uso senza promuoverne la vendita, che ne valorizza l’uso psicoattivo, ludico, conviviale e curativo, che informa chi la usa dei rischi dell’abuso. E’ un modello che può iniziare senza interventi particolari che ha la possibilità di partire da subito. Non mancano certo persone desiderose di coltivare o di gestire un cannabar , né le risorse culturali e ideali per sostenere la legittimità e le ragioni pratiche di questa scelta. (Da Cannabis N°1 1997)

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