San Francisco Diggers

diggers03_free_foodI diggers (scavatori o zappatori) furono un movimento popolare sviluppato in Inghilterra nel periodo 1648-50 a causa delle streme condizioni di povertà della gente comune.
Il fenomeno nacque, secondo alcuni autori, con l’ausilio di aderenti al gruppo di levellers (un movimento politico religioso inglese del XVII secolo, noti per la loro filosofia rivolta alla democrazia sociale e per la lotta a favore della tolleranza religiosa), con la ricoltivazione da parte della povera popolazione locale di terreno pubblico abbandonato, dapprima nella contea del Buckinghamshire nell’inverno 1648, ed in seguito nell’aprile 1649, nella contea del Surrey, intorno all’area di St. George’s Hill e Cobham Heath. Qui si distinse il reverendo William Everard che con i suoi seguaci disboscarono e coltivarono terreni oramai lasciati andare.
I Diggers muovono richieste radicali, aspirano ad una sorta di comunismo primitivo, restituire al popolo inglese la terra. Creare una società dove la terra è un tesoro comune, dove non esiste più la proprietà privata, considerata un abuso della legge e uno sfruttamento dell’uomo sull’uomo e nella quale non sono previste forme di compra-vendita.
Poco più di trecento anni dopo, la visione socio-culturale e lo spirito umanitario dei Diggers inglesi attecchiscono di nuovo, dall’altra parte del mondo.
I San Francisco Diggers nascono a metà degli anni sessanta, dall’evoluzione di due tradizioni “radical” tipiche della Bay Area: la scena artistica teatrale, underground e bohèmienne; e il movimento pacifista e per i diritti civili della nuova sinistra.
I Diggers combinano performance teatrali da strada con azioni anarcoidi, e happenning artistici con l’ambizione di creare una “free city”, una città libera. La loro attività più nota è quella della distribuzione di cibo gratuito. Lo fanno tutti i giorni, al Golden Gate Park. Si recano al mercato all’ingrosso di frutta e verdura, al porto quando rientrano i pescherecci, negli allevamenti di polli di Petaluma, nei grandi panifici della città. Vanno, e chiedono gratis gli scarti, quello che la gente non comprerebbe mai: ali pollo, frutta bacata, pane raffermo. Ripulendo e cucinando il tutto preparano pranzi appetitosi. Così come, tutti i giorni, i Diggers riciclano quello che loro chiamano “surplus energy”. In pratica, in alcuni negozi deputati al proposito (Free Store) i Diggers creano depositi di prodotti vari, che possono essere ritirati gratis da chi ne ha bisogno.diggers
Il gruppo anarchico/teatrale conia anche numerosi slogan che diventano modo di dire piuttosto diffusi anche al di fuori di Haight-Ashbury. I più efficaci sono “Do your own thing, be what your are” (fa quello che vuoi, sii quello che sei) o “ Today is the first day of the rest of your life” (oggi è il primo giorno del resto della tua vita).
Ma sono tante le invenzioni dei Diggers, molte delle quali anticipano mode (o abitudini) ancora oggi assai popolari. Dal pane integrale cotto al forno quotidianamente alla prima Medical Clinic, l’ospedale gratuito.
Dagli abiti lavati e tinti con colori sgargianti per ricreare gli effetti psichedelici delle visioni allucinogene, alla celebrazione pubblica di eventi naturali ignorati dalle società occidentali, come solstizi ed equinozi.
La vita è una forma d’arte sociale, ma bisogna viverla, non c’è bisogno di alcuna ideologia. Ognuno diventa il poema di se stesso
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Il tempo reale

orologioIl tempo reale è oggi il nostro metodo di sterminio.
Se si vuole dare un senso a questa espressione contraddittoria, poiché il tempo reale abolisce ogni dimensione reale del tempo, dovremmo contemplare la possibilità di rendere attuale tutto nell’istante stesso.
E’ il tempo della realizzazione immediata, della diffusione planetaria, dell’azione a distanza. Cosa che abolisce ogni sequenza presente/passato/futuro, quindi ogni conseguenza.
Il tempo reale è una sorta di quarta dimensione nella quale tutte le altre sono abolite. Il futuro è assorbito perché ha già avuto luogo in tempo reale. Quindi non ha avuto tempo di avere luogo. E il passato, invece, non ha più tempo di avere luogo. Quanto al presente, non è mai quello degli schermi.
Il tempo reale è quindi una sorta di quarta dimensione, quella del virtuale, sostituita al reale, e che ne è la realizzazione assoluta.
Quindi nessuna possibilità per il reale di emergere, perché esiste la precessione del virtuale, come una volta c’era la precessione dei modelli e dei simulacri. In fondo: il reale è uno stato instabile che ha beneficiato per due secoli di una congiuntura favorevole. Quella in cui si è avuta la possibilità di produrre gli stessi effetti partendo dalle stesse cause. È tutto questo ad essere sfasciato. È il rapporto di causa ed effetto che è diventato indiscernibile o, forse si è addirittura capovolto. Non si sa più che cosa succede fra le condizioni iniziali e quelle finali.
E’ un po’ questo il tempo reale: la collisione dei poli opposti del futuro e del passato, del soggetto e dell’oggetto. La collisione tra una domanda e una risposta. E’ una realtà insuperabile non soltanto nelle scienze, ma anche nell’organizzazione generale delle nostre esistenze.

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Alfred Jarry

portrait_de_alfred_jarry_augustin_grass_mick_1897Alfred Jarry detto l’indiano, ama le inquietudini dell’esistente, le demoniache illuminazioni, le scienze occulte, l’araldica, la bicicletta, le rivoltelle. È lui che, con due pistole, durante uno spettacolo circense terrorizza i vicini nel tentativo di convincerli delle sue capacità di domatore. È sempre lui che in un giardino stappa bottiglie di champagne a pistolettate e che, alla madre imbufalita di due pargoletti che giocano lì accanto, risponde di non preoccuparsi in caso di decesso “ve ne faremo degli altri”. Una volta dopo aver sparato ad uno scultore reo, a suo dire, di avergli fatto proposte sconvenienti, si rivolge agli amici che lo trascinavano via dicendo: “Mica male come letteratura, vero?”. È il geniale inventore di re Ubù, l’incontinente, crudele, ingorda, proterva, vile, boriosa, tracotante e all’occorrenza schifosamente prona, simbolica incarnazione del potere.
Quando la commedia “Ubù re” viene rappresentata per la prima volta nel 1896 esplode l’entusiasmo e nasce un mito. Il senso eversivo ed anarchico della commedia, la critica delle istituzioni sono troppo simbolicamente vere per essere perdonate. Jarry è celebre, ma povero in canna. Nessuno vuole pubblicare o rappresentare cose sue. Sarà inevitabile per lui, che è ben lontano dall’accettare una vita incanalata nell’ordine della banalità, convivere con la miseria e la fame prima di morire in ospedale a 34 anni. Senza negarsi un ultimo sberleffo. In punto di morte, al medico che gli chiedeva se c’era qualche cosa che avrebbe potuto fargli piacere, risponde: “si, uno stuzzicadenti”.

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ACÈPHALE

georges-bataillesFormare una comunità creatrice di valori, valori che creino coesione.
Rimuovere la maledizione, il senso di colpa che colpiscono gli uomini, obbligandoli a delle guerre che non vogliono, consacrandoli ad un lavoro i cui frutti sfuggono loro.
Assumere la funzione di distruzione e di decomposizione, ma come compimento e non come negazione dell’essere.
Arrivare alla realizzazione personale dell’essere e della sua tensione mediante la concentrazione, mediante un ascesi positiva e mediante una disciplina individuale positiva.
Arrivare alla realizzazione universale dell’essere personale nell’ironia del mondo degli animali e mediante la rivelazione di un universo acèfalo, gioco e non condizione o dovere.
Prendere su di sé la perversione ed il crimine, non come valori assoluti ma come ciò che precede l’essere integri nella totalità umana.
Lottare per decomporre ed escludere tutte le comunità diverse da questa comunità universale, come le comunità nazionali, socialiste e comuniste oppure le chiese.
Affermare la realtà dei valori, l’ineguaglianza umana che ne deriva e riconoscere il carattere organico della società.
Partecipare alla distruzione del mondo che esiste, gli occhi aperti sul mondo che sarà.
Considerare il mondo che sarà nel senso della realtà contenuta fin d’ora e non nel senso di una felicità definitiva, che non è soltanto inaccessibile ma anche detestabile.
Affermare il valore della violenza e della volontà aggressiva, in quanto sono la base di tutta la potenza.
GEORGES BATAILLE
(Tratto da: FREAKS 32, numero 1, San Giorgio di Nogaro, Udine)

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ASSENZIO

as2Pianta arbustiva alta 30-80 cm; fusto grigio, feltroso, legnoso alla base; foglie 2-3 pennate; capolini florali penduli, gialli; frutto come achenio glabro molto piccolo, senza pappo; semi molto piccoli; grigiastri. Fiorisce da agosto a settembre. Cresce in aree antropotizzate e valli assolate (0-1100 metri). Molto diffusa.
L’assenzio è citato in alcuni testi cuneiformi assiri, in cui è considerato come dotato di poteri magici. il nome deriva dalla dea della caccia Artemis (Diana), a cui era sacro, divinità collegata anche alla crescita delle piante e alla fertilità, simbolo della divisione tra mondo civilizzato e mondo selvaggio. Originariamente era venerata in modo orgiastico,successivamente, in tempi cristiani, divenne la dea delle streghe. Probabilmente l’assenzio era usato nel culto di Artemis per preparare bevande psicoattive e afrodisiache (forse addizionato al vino), consumate per unirsi estaticamente con la dea in forma umana. Secondo Plinio il Vecchio, l’assenzio annusato o posto sotto la testa concilia il sonno; si preparava anche un vino all’assenzio, noto come absintite.
L’assenzio è soprattutto noto per essere il componente principale della bevanda alcolica conosciuta con lo stesso nome, diffusa nel XIX secolo e reputata psicoattiva. L’assenzio era di moda tra intellettuali e artisti, soprattutto francesi. Un uso continuo ed eccessivo porta a una sindrome neurotossica nota come absintismo e per tale motivo la bevanda fu bandita. l’assenzio è noto fin dalla antichità come pianta medicinale, soprattutto nell’antica medicina greca, indiana e araba. Sulle Ande Peruviane, una varietà di assenzio, nota come copa-copa,è usata come leggero inebriante.
L’assenzio può dare effetti stimolanti ed inebrianti in alcuni casi anche allucinogeno, accompagnato da mal di testa. Sono stati registrati anche crampi e attacchi epilettici.
Oggi tornato di moda come liquore, viene servito facendolo percolare attraverso una zolletta di zucchero su un cucchiaio forato per attenuarne il sapore amaro.

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flora-psicoattiva

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L’amore libero

Scena d amoreAltra denominazione dell’amore libero, dato che l’amore è prima di tutto, per gli anarchici individualisti, una varietà dei rapporti camerateschi (in clima di libertà o di libera disposizione di se stessi – fra anarchici oggi, fra tutti quanti nel bel tempo futuro dell’anarchia). Non dipende che dal libero accordo degli interessati. Non riguarda i terzi, ma non li esclude se l’accordo è unanime. Esclude la gelosia ma non la passione. Rifiuta tutti i pregiudizi. Accetta per esempio l’incesto e l’omosessualità. Non è sottoposto a nessuna nozione di durata. Può essere interrotto unilateralmente e la rottura deve essere accettata dall’altra parte. Non causa alcun diritto. La stessa persona può avere contemporaneamente parecchi rapporti di cameratismo amoroso. Lo scambio di sentimenti: la sua latitudine viene lasciata alla discrezione piena e completa degli interessati.

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PUZZ

Il primo numero di PUZZ1Il primo numero di PUZZ esce come inserto del mensile Humor a Milano nel 1971, sull’onda scomposta dell’underground nostrano, producendo fumetti banali specializzati nel detournament di certe forme spettacolari dell’esistente.
Dal 1971 al 74, le analisi teoriche prendono sempre più spazio sulla rivista mentre i fumetti si raffinano in una critica mordente e radicale dell’esistente capitalista.
Fino al 1978 da PUZZ passerà di tutto, decine di fumettari, militanti incazzati, giovani proletari di Quarto Oggiaro, comunardi di Cuggiono, autoriduttori, via via scivolando dalla controcultura ai confini della lotta armata.
La linea di tendenza teorica della critica radicale o negazionista di PUZZ segna alcune discriminanti di fondo: abolizione del lavoro, superamento della politica come espressione ritardataria di un terreno già bruciato dal capitale.
La critica radicale rappresenta l’unico strumento dialettico e reale per svelare, innanzitutto, i luoghi in cui il capitale si produce all’interno degli individui.
PUZZ si distingue per l’uso non banale del linguaggio per sciogliere le codificazioni, troppe volte accessorie, di un potere che, non a torto annichilisce.
Si tratta alla fine di non avere più idoli, né mercati o parole d’ordine a cui ubbidire, si tratta alla fine di insorgere nella pratica del rifiuto, spezzando la normalità rassegnata e i suoi eccessi estremi.
Alle squadre politiche delle polizie e dei partiti sempre più piacerebbe capire chi siamo. Giacché noi stessi possiamo riconoscerci solo nella critica che ci chiarisce ciò che non siamo e ciò che non vogliamo; giacché noi stessi parliamo a lingua di chi vive la trasformazione e l’inidentità; giacché esistiamo come soggetto plurale solo a condizione di sperimentare collettivamente la nostra contraddizione in processo con le forme stesse delle nostre realizzazioni, a man mano che esse soggiacciono ad ogni sorta di recupero; lo sforzo di identificarci secondo le logiche collaudate da due secoli di controrivoluzione si ritorce visibilmente e ignobilmente su chiunque vorrebbe imprigionarci in una formula, per consegnarci più agevolmente alle mura del carcere.
“Provocatori” e il termine che ricorre identico nelle prose ammorbanti della stampa di regime, con significativa coralità che accomuna nella stessa trincea giornalismo democratico e stampa militante. Accettiamo, capovolgendolo, il termine.
Se provocatori significa uomini e donne che non accettano le miserie del gioco politico; se significa nuclei informali che sfuggono ad ogni schema di racket gerarchizzato; se contrassegna esperienze mai riducibili ai precetti delle teorie “rivoluzionarie” sconfitte dalla storia e fatte proprie dalla controrivoluzione; se distingue chi non subisce l’interiorizzazione del capitale e combatte ogni forma d’autovalorizzazione; se qualifica lo sviluppo di un pensiero e di una pratica che rifiutano di costituirsi in sfere separate dal vissuto individuale come collettivo; se “provocatori” significa tutto questo, allora noi siamo provocatori!
Siamo provocatori di quel processo di demistificazione che costringe poliziotti, politici del regime e capi-racket dell’opposizione fittizia, a smascherare la loro sostanziale identità, alleandosi pubblicamente contro di noi, praticando le stesse tecniche di delazione, di terrorismo, di calunnia, usando lo stesso linguaggio e la stessa logica, ricorrendo alle stesse bassezze e alle stesse triviali menzogne.
Siamo i provocatori di quel processo di superamento che conduce i rivoluzionari sinceri a rompere con il loro passato e a congiungersi con l’altezza storica e la tensione radicale del tempo, a uscire dalle strettoie delle arcaiche ideologie restrittive, per fondersi in quella tendenza verso il punto di vista della totalità che, sola, guida la critica delle forme attuali di dominio capitalistico a riconoscervi la sintesi di ogni alienazione parcellare e particolare, la summa e il punto di esplosione di ogni trascorsa oppressione separata. Siamo e saremo fino in fondo, infine, i provocatori del processo rivoluzionario.

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The Walk di Philippe Petit

The WalkPhilippe Petit è un funambolo, occhi furbi e vivaci, da 40 anni gira il mondo sfidando le leggi della gravità, a grandi altezze e senza alcun tipo di protezione. Artista poliedrico, uomo colto e dal grande spessore umano: prestigiatore, giocoliere, artista da strada, disegnatore, scrittore, coreografo, regista teatrale, poeta, scacchista, ingegnere. Visionario e perfezionista, sognatore e ribelle, incurante delle regole e dei regolamenti, un uomo con la curiosità di un bambino, che si stupisce e gioisce di piccole cose, ma al contempo un uomo dalle passioni forti, che alimenta il suo animo infuocato con esperienze al limite. Un uomo capace di concepire e portare a termine progetti ambiziosi ed estremamente complessi. Ha iniziato a girare il mondo da giovanissimo, portando in scena le sue esibizioni, sia nelle piazze che su cavi installati a grandi altezze, clandestinamente. Sono proprio le sue performance sul filo che hanno fatto echeggiare il suo nome in ogni parte del mondo: dal Sydney Harbour Bridge in Australia alle guglie di Notre Dame a Parigi, dalle Cascate del Niagara alla Torre Eiffel, per citarne solo alcune, quasi tutte installazioni illegali, dopo le quali veniva regolarmente arrestato.
Forse la sua installazione più spettacolare è quella del World Trade Center: nel 1974, all’età di 24 anni, ha teso un cavo tra le cime delle Torri Gemelle di New York, aggirando ogni sorveglianza, realizzando così il sogno di passeggiare nel vuoto tra le torri, avanti e indietro, per ben otto volte, a 412 metri d’altezza, per 45 minuti!

Il funambolismo è per Petit è un viaggio, è un confronto faccia a faccia con la morte.…

Ma il funambolismo non è un’arte della morte, ma un’arte della vita, della vita vissuta al limite del possibile. Ovvero della vita che non si nasconde alla morte, ma la guarda dritta in faccia.…

Il funambolismo è un’arte solitaria, è un modo di affrontare la propria vita, nell’angolo più oscuro e più segreto di noi stessi. Il libro è la storia di un’esplorazione, un racconto esemplare dell’umana ricerca di perfezione».

Il funambolismo, dunque, come metafora perfetta della fragilità e precarietà della vita umana, vissuta sempre ad un passo dal baratro, ma non per questo meno degna di essere vissuta, con lo scopo di trasformare questa passeggiata su un filo in un’opera d’Arte. E durante il percorso scoprire e trascendere i propri limiti.the walk movie

«Entro in un mondo mistico e misterioso quando cammino nel vuoto. Il mondo del Vuoto è abitato da energie e divinità, non è affatto vuoto e lo visito il più spesso possibile. Quando prendo il bilanciere e inizio a camminare nel vuoto, quello è il mio Altro Mondo. È un luogo caratterizzato da grande sicurezza, bellezza e silenzio. Sono totalmente assorbito e presente a me stesso.
Per la maggior parte del mio tempo non vivo qui sulla terra. Vivere con i piedi per terra, lo trovo pericoloso e spesso spiacevole. E dopo mesi e anni a preparare la mia performance, finalmente arriva l’attimo in cui sto per entrare nell’Altro Mondo. Ho questo pazzo mondo che mi aspetta ed è tutto mio, totalmente creato da me e sono felice! Divento metà uccello e metà uomo, questa è la mia dimensione». (Philippe Petit)

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Perché era lì FRANTI

franti 1Una non storia di una folk rock punk hardcore band

Tutti si voltarono a guardar Franti. E quel infame sorrise” (Edmondo De Amicis)

Nel settantasei tre studenti a Torino mettono su un complesso. Lo chiamano Franti, bastardi loro, bastardo lui, suonano mettendo dentro tutto quello che incrociano, musiche, poesie, film, cartoni animati, cortei, gioia, rabbia, camionette della polizia, sassi volanti, lacrimogeni, gonne a fiori, capelli lunghi, Pavese, Dostoevskij e Che Guevara. Altri si uniscono, altri se ne vanno, ma sempre avanti a scrivere canzoni, incidere dischi, suonare dal vivo, non solo per portare avanti l’idea della libertà e dell’indipendenza, ma per vivere, vivere la musica, e vivere la vita, senza forzature e senza scadenze. Franti diventa una formazione variabile che sperimenta varie forme espressive senza nessuna concezione o reverenza verso qualunque stile o moda. Come dicono loro: “Noi siamo un gruppo musicale autonomamente definitosi, nella misura in cui reputiamo la cultura antagonista nei contenuti e, soprattutto, nelle forme uno specifico motore rivoluzionario del movimento. Pensare, discutere, suonare, scrivere, sperimentare cose che hanno sempre fatto parte del nostro modo di essere come collettivo di persone, in questi anni fuori da ogni business e logica di mercato.
Perché era lì Franti è un libro che parla della band, ma non solo, parla di anarchia, di montagne ribelli, dell’India misteriosa, di posti occupati, di lunghi viaggi in macchina, di sogni, di suoni che scorrono tra le parole stampate, che rimbalzano sui due punti, si insinuano tra le virgolette; ogni tanto esce tra le righe la voce di Lalli e, se non ti soffermi troppo sulle immagini, il sax di Stefano ti fa voltare pagina, mentre basso e batteria di Massimo e Marco ti cullano. Se ti soffermi a pensare ad occhi chiusi quello che hai letto e infine se provi a chiudere il libro la chitarra di Vanni te lo impedisce mentre Toni Ciavarra sorride dall’alto.

Il riso di Franti è qualcosa che distrugge, ed è considerato malvagità solo perché Enrico (Bottini nel libro Cuore) identifica il Bene all’ordine esistente e in cui si ingrassa. Ma se il Bene è solo ciò che una società riconosce come favorevole, il Male sarà soltanto ciò che si oppone a quanto una società identifica con il Bene, ed il Riso, lo strumento con cui il novatore occulto mette in dubbio ciò che una società considera come Bene, apparirà col volto del Male, mentre in realtà il ridente – o il sogghignante – altro non è che il maieuta di una diversa società possibile.” (Umberto Eco)

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FRANTi 2

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FRANTI perché era lì

Franti-volantinoconcerto-el-paso2Franti è il nome di un gruppo musicale attivo a Torino e in Italia nella prima metà degli anni 80.
Alla sua dissoluzione/rinascita/scomparsa/metamorfosi (1986) i componenti hanno continuato a suonare, alcuni fino ai nostri giorni, alcuni collaborando tra di loro.
Franti è stato un gruppo di artisti ma anche no. Un gruppo di estremisti poetico/sonoro ma anche no. Un gruppo Punx ma anche no. Un meteora? No, questo proprio no. Dall’interno del vorticante Movimento 77, migliaia e migliaia di vite, passioni, sogni, battaglie, sconfitte e silenzi hanno preso forma di canzone, la composizione collettiva di una generazione. Ve ne sono state molte di queste creazioni collettive e, artisticamente parlando, forse migliori e sicuramente più rinomate di Franti. Ma Franti è stato sempre un NON CLASSIFICATO, come il personaggio deamicisiano dal quale prende il nome e come recita il sottotitolo di questo libro/DVD, “Perché era lì”.
Franti è un nome piuttosto conosciuto, tra gli amanti di Rock/Punk/ControCultura Italiana. Va detto però che il numero di persone che ancora oggi condivide questa passione, questa comunanza poetica/musicale/politica con Franti è piccolissimo, una minuscola frazione. Franti ha venduto pochi LP, pochi CD, fatto pochi concerti, poca visibilità sulle riviste patinate. Franti è stata una emozione profonda incastonata nei feroci anni 80 (feroci quando i 90, 00, 10: si chiama “Capitalismo vs. Libertà”, baby), espressione libera della propria generazione e di quelle successive. Di una parte minimale certamente, ma sonoramente la più vitale, la più irriducibile. Lalli, la voce cantante di Franti, spesso dal palco amava ripetere “Il fiato che scorre in queste canzoni è il vostro fiato”, senza fare differenze tra chi metteva bacchette e chitarre là sopra il palco e chi metteva cuore, orecchie e la sua vita tutt’intera là sotto.

“Perché era lì” non è un libro “sui” Franti: piuttosto un libro “da” Franti, alla moda di Franti. L’alpinista e esploratore George Mallory alla domanda “Perché Lei vuole scalare l’Everest?” pare abbia risposto al giornalista: “Perché è lì!”. Franti sta scendendo a valle da 30 anni, insieme a moltissimi fratelli e sorelle che in questo libro cantano e respirano, anche se non ci sono i loro nomi in quelle pagine o in quelle immagini. Franti rinasce ogni volta che interrompi la farsa, ogni volta che costruisci uno spazio di libertà.
Ecco, oltre a invitarvi a leggere e guardare “Perchè era lì” vorrei concludere con una domanda sulla MUSICA: “Voi difendete una società in cui la grande maggioranza vive in condizioni animalesche, una società in cui i lavoratori muoiono di stenti e di fame, in cui i bambini periscono a migliaia ed a milioni per mancanza di cure, in cui le donne si prostituiscono per fame, in cui l’ignoranza ottenebra le menti, in cui anche chi è istruito deve vendere il suo ingegno e mentire per mangiare, in cui nessuno è sicuro del domani – ed osate parlare di libertà e d’individualità?” (Errico Malatesta)

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