PUZZ

Il primo numero di PUZZ1Il primo numero di PUZZ esce come inserto del mensile Humor a Milano nel 1971, sull’onda scomposta dell’underground nostrano, producendo fumetti banali specializzati nel detournament di certe forme spettacolari dell’esistente.
Dal 1971 al 74, le analisi teoriche prendono sempre più spazio sulla rivista mentre i fumetti si raffinano in una critica mordente e radicale dell’esistente capitalista.
Fino al 1978 da PUZZ passerà di tutto, decine di fumettari, militanti incazzati, giovani proletari di Quarto Oggiaro, comunardi di Cuggiono, autoriduttori, via via scivolando dalla controcultura ai confini della lotta armata.
La linea di tendenza teorica della critica radicale o negazionista di PUZZ segna alcune discriminanti di fondo: abolizione del lavoro, superamento della politica come espressione ritardataria di un terreno già bruciato dal capitale.
La critica radicale rappresenta l’unico strumento dialettico e reale per svelare, innanzitutto, i luoghi in cui il capitale si produce all’interno degli individui.
PUZZ si distingue per l’uso non banale del linguaggio per sciogliere le codificazioni, troppe volte accessorie, di un potere che, non a torto annichilisce.
Si tratta alla fine di non avere più idoli, né mercati o parole d’ordine a cui ubbidire, si tratta alla fine di insorgere nella pratica del rifiuto, spezzando la normalità rassegnata e i suoi eccessi estremi.
Alle squadre politiche delle polizie e dei partiti sempre più piacerebbe capire chi siamo. Giacché noi stessi possiamo riconoscerci solo nella critica che ci chiarisce ciò che non siamo e ciò che non vogliamo; giacché noi stessi parliamo a lingua di chi vive la trasformazione e l’inidentità; giacché esistiamo come soggetto plurale solo a condizione di sperimentare collettivamente la nostra contraddizione in processo con le forme stesse delle nostre realizzazioni, a man mano che esse soggiacciono ad ogni sorta di recupero; lo sforzo di identificarci secondo le logiche collaudate da due secoli di controrivoluzione si ritorce visibilmente e ignobilmente su chiunque vorrebbe imprigionarci in una formula, per consegnarci più agevolmente alle mura del carcere.
“Provocatori” e il termine che ricorre identico nelle prose ammorbanti della stampa di regime, con significativa coralità che accomuna nella stessa trincea giornalismo democratico e stampa militante. Accettiamo, capovolgendolo, il termine.
Se provocatori significa uomini e donne che non accettano le miserie del gioco politico; se significa nuclei informali che sfuggono ad ogni schema di racket gerarchizzato; se contrassegna esperienze mai riducibili ai precetti delle teorie “rivoluzionarie” sconfitte dalla storia e fatte proprie dalla controrivoluzione; se distingue chi non subisce l’interiorizzazione del capitale e combatte ogni forma d’autovalorizzazione; se qualifica lo sviluppo di un pensiero e di una pratica che rifiutano di costituirsi in sfere separate dal vissuto individuale come collettivo; se “provocatori” significa tutto questo, allora noi siamo provocatori!
Siamo provocatori di quel processo di demistificazione che costringe poliziotti, politici del regime e capi-racket dell’opposizione fittizia, a smascherare la loro sostanziale identità, alleandosi pubblicamente contro di noi, praticando le stesse tecniche di delazione, di terrorismo, di calunnia, usando lo stesso linguaggio e la stessa logica, ricorrendo alle stesse bassezze e alle stesse triviali menzogne.
Siamo i provocatori di quel processo di superamento che conduce i rivoluzionari sinceri a rompere con il loro passato e a congiungersi con l’altezza storica e la tensione radicale del tempo, a uscire dalle strettoie delle arcaiche ideologie restrittive, per fondersi in quella tendenza verso il punto di vista della totalità che, sola, guida la critica delle forme attuali di dominio capitalistico a riconoscervi la sintesi di ogni alienazione parcellare e particolare, la summa e il punto di esplosione di ogni trascorsa oppressione separata. Siamo e saremo fino in fondo, infine, i provocatori del processo rivoluzionario.

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