L’INTERROGATORIO di Erich Muhsam

Si chiama? mi domandò il commissario di polizia.
Dissi il mio nome.
Nato?
Si!
Quando, intendevo.
Dissi la data.
Religione?
Non sono affari suoi.
Scriva: giudeo! E il funzionario scrisse.
La sua professione?
Lirico.
Cosa?
Li-ri-co
Cosa?
Deliro.
De-li-ran-te! Sillabò il funzionario.
L’interrogatorio durò a lungo. Alla fine tutte queste
domande mi davano fastidio.
Accidentaccio! Esclamo. Sono qui in un manicomio?
Certo! Rispose gentilmente il commissario
e mi fece mettere una camicia di forza.

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The Orkustra la prima orchestra sinfonica elettrica psichedelica

The Orkustra, un gruppo musicale che si è definito come la “prima orchestra sinfonica elettrica psichedelica” e si è esibito a San Francisco dall’autunno del 1966 a metà estate del 1967. Dopo un periodo di ricerca di musicisti, con audizioni e prove, il gruppo ha creato una “forma comprensibile di musica improvvisata” e ha iniziato a esibirsi in locali del posto, offrendo ciò che il fondatore di The Orkustra chiamava “un’avventura musicale controculturale”. Il gruppo si esibì al Love Pageant Rally, uno degli eventi distintivi di Haight-Ashbury il 6 ottobre 1966 (per ricordare la messa fuorilegge dell’LSD in quel giorno). Si sono esibiti al Wail in the Panhandle di Capodanno il 1 ° gennaio 1967, l’evento su cui gli Hell’s Angels hanno dato riconoscimento ai Diggers e che è stato l’ispirazione del servizio di notizie istantanee della Communication Company. Gli Orkustra (la forma abbreviata del loro nome originale “The Electric Chamber Orchestra”) suonarono all’Invisible Circus il 24 febbraio 1967. Una delle (molte) cose interessanti di questo evento furono i momenti che cambiarono la vita per molti dei partecipanti. Ho scritto di Cecil Williams e della sua epifania nella Chiesa in cui si svolse l’Invisible Circus. Un’altra persona la cui vita è stata cambiata è stata Bobby Beausoleil, il giovane musicista che aveva formato The Orkustra a seguito di una visione che aveva avuto al Golden Gate Park. Kenneth Anger, il cineasta underground, si è avvicinato a Beausoleil dopo che il gruppo ha eseguito il set di apertura all’Invisible Circus e gli offrì il ruolo principale nel suo film “Lucifer Rising”. Beausoleil accettò e si trasferì in un’orbita diversa. L’Orkustra continuerà come gruppo fino a metà estate. (Dopo il suo film con Kenneth Anger, Beausoleil finì a Los Angeles dove fu coinvolto nel circolo di Charles Manson e fu successivamente arrestato e condannato per il primo omicidio del gruppo ordinato da Manson. Attualmente sta scontando l’ergastolo nel sistema carcerario dell’Oregon).
Ecco un resoconto di Beausoleil sul coinvolgimento della band con i Diggers:
«La nostra prima esibizione significativa, e determinante per la band, ha avuto luogo una domenica pomeriggio nella sezione Panhandle del Golden Gate Park. Fu il primo di una serie di concerti gratuiti che si sarebbero svolti in quel luogo, organizzati dai famigerati Diggers. A questo punto, centinaia di giovani erano già emigrati nella comunità di Haight e altri arrivavano ogni giorno. Molti di loro avevano lasciato da poco le case dei loro genitori, arrivando a Haight con poco o nessun denaro, nessuna esperienza di strada e mal preparati per provvedere alle necessità della sopravvivenza di base. I Diggers avevano preso l’impegno di coordinare gli aiuti, trovando e fornendo cibo essenziale, vestiti, alloggi comuni e cure mediche ai nuovi arrivati, il tutto gratuitamente. I concerti gratuiti della domenica nel parco erano eventi di teatro-guerriglia urbano messi in scena dai Diggers, nello spirito del divertimento e della bella vita, per dare un senso di armonia e unità alle crescenti folle di ex hippy. Oltre alla musica dal vivo, erano disponibili enormi pentole di stufato di verdure saporite per chiunque avesse fame. L’associazione dell’Orkustra con i Diggers inizialmente era una sorta di semplice vicinanza reciproca. Il vecchio magazzino di Page Street che usavamo come una sala prove era situato esattamente dall’altro lato della strada rispetto a una fila di garage in legno abbandonati che i Diggers avevano procurato e trasformato nel loro quartier generale. Sopra le porte dei garage c’era un cartello stravagante che li proclamava “The Free Frame of Reference”, il negozio gratuito dei Diggers, dove si potevano avere vestiti di seconda mano, coperte, utensili da cucina e articoli vari per la casa. Mentre i membri dell’Orkustra e alcuni Diggers si incontravano quotidianamente, si formò una relazione casuale. Emmett Grogan, uno dei membri fondatori e dei principali istigatori dei Diggers, aveva una particolare predilezione per The Orkustra. Gli piaceva il nostro stile musicale libero e il nostro atteggiamento spericolato, essendo così simile alla sua stessa natura, e ci ha invitato a suonare il primo dei concerti gratuiti nel Panhandle. Un palcoscenico improvvisato è stato allestito sotto gli alberi ed è stato predisposto un generatore per fornire elettricità per gli amplificatori. Quando abbiamo iniziato a suonare, la folla è aumentata rapidamente intorno a noi. La nostra esibizione è stata molto ben accolta da tutti tranne che dagli sbirri che si sono presentati per informarci che la folla aveva superato il numero di persone che potevano essere legalmente riunite in un parco pubblico senza permesso. Ci è stato permesso di suonare un’altra canzone prima di dover terminare. Ne abbiamo fatta una lunga. In seguito, i Diggers prendevano accordi preventivi con i funzionari della città per ottenere i permessi e con un camion a pianale che fungeva da palcoscenico e fonte di energia, i concerti del fine settimana nel Panhandle sono diventati una caratteristica regolare della vita a Haight per qualche tempo. Gli Orkustra hanno suonato più volte in quel luogo, insieme ai Grateful Dead, ai Charlatans, ai Big Brother e altri luminari delle band rock di San Francisco del periodo. Abbiamo suonato in così tanti eventi dei Diggers, di fatto, che in alcuni ambienti eravamo noti come la band dei Diggers. Uno dei più memorabili eventi furono le cerimonie inaugurali che lanciarono le famigerate feste del Circo Invisibile alla Glide Memorial Church, in cui l’Orkustra eseguiva un accompagnamento musicale per una troupe di danzatrici del ventre seminude che erano state portate allo scopo dichiarato di dare il via all’evento. I nostri sforzi collettivi sono stati un grande successo dal mio punto di vista, ma i padri della chiesa e i funzionari della città lo hanno visto da un altro punto di vista.»

(Tratto dal sito Digger feed: dinosaurs are dancing )

 

Per approfondire:                                                        

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Dibattito CRITICA AL TRANSUMANESIMO

Registrazione del dibattito che si è svolto sabato 11 maggio 2019 in occasione della seconda edizione di LIBRINCONTRO, nella piazza dell’ExMoi, via Giordano Bruno, Torino, per la presentazione del libro CRITICA AL TRANSUMANESIMO (Autori vari) pubblicato nel maggio 2019 da NAUTILUS – http://www.nautilus-autoproduzioni.org/

https://soundcloud.com/user-738430881/librincontro-critica-al-transumanesimo-01

https://soundcloud.com/user-738430881/librincontro-critica-al-transumanesimo-02

https://soundcloud.com/user-738430881/librincontro-critica-al-transumanesimo-03

https://soundcloud.com/user-738430881/librincontro-critica-al-transumanesimo-04

https://soundcloud.com/user-738430881/librincontro-critica-al-transumanesimo-05

https://soundcloud.com/user-60628840/librincontro-critica-al-transumanesimo-06

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Lenore Kandel: The love book

Questi versi per qualche arcano motivo hanno dato vita, loro malgrado, a uno dei casi giudiziari più noti nella storia di San Francisco quando, a metà degli anni ’60, The Love Book è stato sequestrato dagli scaffali della libreria City Light e dallo Psychdelic Shop, e tre commessi sono andati a processo per aver messo in vendita “materiale osceno”. Queste rime, in apparenza inoffensive, che cantano l’atto d’amore in modo gioioso, mai volgare, senza l’intento di provocare o scandalizzare, racchiudono un potere profondo, quasi magico.

Non è chiaro il motivo per cui la censura poliziesca venne attratta proprio da questo libro. Forse perché l’autrice, parla di sesso in modo esplicito, adoperando spudoratamente termini come cazzo, fica, scopare; e come se non bastasse, mescola il tutto con la sfera del sacro, celebrando l’amore come unione carnale e spirituale tra due angeli

Di sicuro, dietro questa storia si celano questioni molto più complesse di una semplice crociata contro l’oscenità, sebbene il lato erotico ne sia indubbiamente l’elemento scatenante, l’arma mediatica da adoperare in un momento in cui Frisco è invasa da migliaia di giovani che predicano e praticano l’amore libero. Se guardiamo alla scena del “crimine” e a quando viene “commesso” molte cose diventano chiare. Siamo a Haight-Ashbury, quartiere generale della new generation in cui si stanno riversando ondate di giovani e da qualche mese teatro delle incursioni dei Diggers. Il sequestro avviene pochi giorni dopo l’elezione di Ronald Reagan a governatore della California e s’inserisce in una più vasta ondata repressiva contro i gruppi radicali dell’epoca, in un clima d’intimidazioni e violenze da parte della polizia verso studenti, neri, omosessuali, “drogati e capelloni”…D’altronde l’anno precedente il sindaco era stato esplicito: «questa non è una città aperta.»

Queste poesie – riemerse dalle incrostazioni del tempo, dall’oblio generazionale e dagli scaffali impolverati dove si vorrebbe racchiudere le esperienze passate, soprattutto quelle così scomode e irrecuperabili – parlano e palpitano ancora. Lascito di libertà e bellezza incommensurabili, sono il canto di una donna che, elevando la sessualità al rango di divinità, ha provato a sottrarla alle leggi dello scambio economico, alla sottomissione e allo sfruttamento, a liberarla dalle catene millenarie del peccato, della vergogna e del sacrificio, suggerendo che l’amore, fatto con rispetto e reciprocità, può innalzarci al settimo cielo, non quello blindato dei monoteismi, ma quello accessibile a chiunque consideri l’esigenza amorosa di essere tutto, in ogni tempo e ovunque, come l’unica alternativa alla società mercantile.

 

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Contro l’alta velocità degli uomini merce

L’epopea di paccottiglia elaborata dall’ideologia dei cavalieri d’industria, golden boy e simili ronzini avrà finalmente portato i suoi frutti.
La desertificazione delle campagne l’ammucchiarsi in periferie e città invivibili, l’omologazione delle esistenze, la scomparsa di ogni comunità possibile come di ogni individualità profonda, la vita dominata totalmente dagli imperativi economici, il tempo detto libero e gli svaghi divenuti essi stessi merci, il crescente sentimento dell’assurdità di una simile vita.
Vi è una specie di armonia finora poco turbata fra potenti che dettano quel che deve essere la vita e poveri che hanno perso l’idea di ciò che potrebbe essere; industriali dell’alimentazione o della cultura adulterate e consumatori messi nell’incapacità di gustare altro; pianificatori che nulla ferma nella loro distruzione di città e campagne e abitanti che nulla trattiene dove si trovano all’infuori dell’incatenamento a un lavoro qualunque; tecnocrati ai cui occhi paesi e paesaggi esistono solo per essere attraversati sempre più velocemente e utenti sui trasporti con sempre maggior fretta di fuggire dalle città divenute invivibili lanciandosi in massa sulle strade, nelle stazioni e negli aereoporti.
Se non vogliamo imparare a essere infelici, sappiamo essere liberi. La prima libertà da prendere consiste nel giudicare e denunciare le nocività. 

Quindi prima che sia imposto a tutti il bisogno del treno ad Alta Velocità, chi è veramente interessato a spostarsi più velocemente, se non coloro che con armi e bagagli vanno a portare più lontano e più velocemente possibile la desolazione? E’ chi vende sufficientemente caro il proprio tempo, sul mercato del lavoro, che ha interesse a comprare il risparmio di tempo proposto dal treno super-veloce. Per gli altri nessuna rapidità di spostamento può recuperare la fuga del tempo mercificato, venduto al lavoro o ricomperato al tempo libero. Il TAV completamente in linea con i dettami imposti contribuirà alla ulteriore rovina dei più per permettere ad ognuno di accedere ad un lugubre simulacro di vantaggio

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Sognando la California

La California degli anni ’60 viene giù direttamente da un certo tipo di cose che non sono mai state cancellate: la lezione politica dei Diggers, e poi il nomadismo e l’ottimismo e il nichilismo della beat generation.
Poi dalla lezione di Woody Guthrie vien giù un sound pieno di risonanze e di malinconia ma anche di fiducia: ed è Bob Dylan. E con Dylan si formano i Byrds – facce simili ai Beatles.
Nello stesso periodo sono in gestazione i Jefferson Airplane. Marthy Balin si sbatte a San Francisco per organizzare concerti e mettere insieme della gente intorno a un progetto nuovo.
All’eredità della beat generation si aggiunge una vena rock, i Jefferson stanno planando e i Doors vanno più avanti di tutti.
Nomadismo ottimista-nichilista beat, rabbia proletaria rock, psichedelismo magico pop. Dalla California era partito anche Castaneda, e la cultura delle alterazioni compie i suoi primi passi sul terreno delle droghe.
Uno dei punti più alti è probabilmente nell’agosto del ’67, quando a Monterey il concerto più grande raccoglie decine di migliaia di ribelli (hippie, sacerdoti della fine, nomadi e sperimentatori), le diverse culture si incontrano e si fondono in continuazione, nella cosiddetta cultura giovanile. Le culture della liberazione si sedimentano e danno luogo a stratificazioni dell’immaginario e nel comportamento collettivo.
Il ’67 non è solo Monterey, ma è anche l’anno di Berkeley, e le lotte nelle università americane montano contro la guerra nel Vietnam, contro l’uso imperialista della scienza. E la California è anche allora all’avanguardia.
E poi, nel ’68, la Convenzione di Chicago, con Jerry Rubin e gli hippie, e gli incazzati e i neri a scontrarsi per giorni con la polizia. E gli arresti e il grande processo per la cospirazione.
E proprio mentre tutto questo sta ancora montando, in modo molto simile muoiono Jim Morrison e Janis Joplin.

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UN UOMO CHE HA UNA VISIONE. Intervista a Gianni Milano

“…Un uomo che ha una visione non è in grado di servirsi del suo potere finché non ha rappresentato la visione sulla terra, davanti alla gente”

Alce Nero, 1863 – 1950, uomo di medicina Sioux

 

«Forse fu per questo motivo che centinaia di giovani, in Italia, si misero in strada per rappresentare brani della visione ed offrirli al mondo sociale. Nuovi camminanti, santi e guitti nel contempo, si ‘iniziarono’ così allo spirito della natura, della vita, dell’amore. Il codice di riferimento fu la trimurti Pace Amore Liberazione che assorbì in sé le più diverse forme di spiritualità istituzionalizzate apparse sul Pianeta. Non stupirà, quindi, il germogliare rigoglioso e diffuso di termini, comportamenti, icone anarchicamente apparse, fonti di meraviglia, stupore e tenerezza.

Le voci provenienti dall’Oriente non erano una novità ma ora diventavano comportamento, attenzione operativa, compassione. Così in molte case comparve Ganesh, in altre Krishna che flautando flautando indicava nella Bhagavad Gita un’etica rigorosa, lontana dall’insoddisfacente ipocrisia della ‘devozione’ consueta. Krishnamurti non era più il pargolo prodigioso individuato dalla teosofia ma diventava un compagno di viaggio, forse più austero e meno colorato dei ragazzi in autostop sulle strade del mondo; sempre, però, pronto al dialogo e non all’imposizione, all’indottrinamento. Gandhi e la sua ahimsa divennero strumenti di forte contestazione alla violenza istituzionalizzata, alle guerre (allora in Vietnam). Anche un piccolo povero uomo poteva arrestare la ruota ed indurla a girare in senso positivo bloccando gli effetti nocivi di un karma doloroso.

Persino dalla Svizzera giungeva un vento diverso con il Siddharta di Hermann Hesse a portare sulle onde del fiume il messaggio del Buddha con la riflessione di Lao-tze. Così non vuoti erano gli orizzonti, non àfone le strade, risuonanti, tra fame e repressione, di cimbali, colorate di fiori che a Milano, ad esempio, bionde ragazze regalavano agli acquirenti di Pianeta Fresco. Karuna (sorella Compassione) non vestiva sai di rozza tela, non si macerava in digiuni o auto-repressioni, ma fluttuava nella recitazione di mantram in sanscrito (di cui si ignorava il significato ma si conosceva il senso) e fumi di sandalo miscelato al profumo di patchouli.

Dall’Occidente poi, corrusco e triste già nel nome, come topi su una nave corsara giungevano testi, emozioni, illuminazioni urbane. Il termine dharma sempre più si familiarizzava con l’italica parlata e veniva veicolato tra istruiti ed ignoranti, tra poeti e testimoni. Kerouac aveva associato l’idea del nomadismo con la realizzazione del sentiero-dottrina. Aveva fatto provare l’emozione d’essere un nullatenente orgoglioso della sua povertà, in una sorta di francescanesimo poliglotta, eterodosso ed esaltante.

Si dormiva in soffitta, si mangiava quando ce n’era, si faceva la questua a volte, ci si voleva bene. Ecco un’ipotesi di fraternità tribale, senza padroni né (come si diceva allora) ‘capetti’ con la verità in saccoccia. L’Occidente corrusco sbarcato alla portata dei nuovi ‘santi’ (come definii in un poema i pellegrini di quegli anni) grazie alla complicità di zia Nanda (a lei pace – Om) rivelava un modo d’essere religiosi vitalistico, estremo anche, ruvido. “Se incontri il Buddha per strada uccidilo”, ricordava lo Zen, senza muovere ciglio, curando l’eterno giardino di pietra. E su tutti aleggiava la visione, nostra, dei Nativi americani, degli Aborigeni australiani, degli sciamani siberiani. Non apparire, sii!»

(Gianni Milano)

 

 Un panorama ricchissimo, quello del movimento Beat e poi di quello Hippy, che personalmente amo molto, pur senza aver vissuto in quegli anni. Cosa pensi avrei dovuto evidenziare meglio nell’articolo che ha preceduto questa intervista?

A me pare che dovresti sottolineare i fattori entusiasmo, stupore, rigore, creatività. Importante fu il rifiuto delle ideologie a favore dell’esperienza profonda collegata ai fattori di cui sopra. Lo spirito anarchico fu un buon detersivo assieme allo Zen. L’occidente aveva bisogno di spogliarsi delle sovrastrutture intellettuali, maschere sovente dell’immutabile potere. Fratello corpo non fu più estraneo subalterno alla mente e la terra ridivenne cibo e contenitore.

Potresti descriverci il background culturale italiano a ridosso delle contestazioni che si diffondevano nel mondo?

Si viveva in un bolla illusoria ed illudente: la chiamavano ‘boom economico’ che riguardava, come sempre, i soliti e non coloro che più ne avrebbero avuto bisogno. Vero è che le merci giravano e il loro acquisto diveniva uno status symbol ma altrettanto vero è che questo non ampliava l’area di auto- liberazione ed emancipazione. I “più” divenivano “clienti” e consolidavano un sistema repressivo-paternalistico con la benedizione del Vaticano, a volte sornione, a volte corrucciato. Insomma: eravamo, in Italia, come ranocchie in uno stagno, senza grandi visioni, senza ampi respiri culturali e politici: nostalgie di durezze passate, che ogni 25 aprile, per breve tempo commemoravano slanci e morti, reali, mentre l’Italietta ansimava. Mancava, insomma, la percezione della vita come esistenza irripetibile e si preferiva recitare, male, il paludoso dramma d’una rivoluzione abortita nel “tutti a casa”. Anche le contestazioni, in Italia, scivolavano lungo canovacci già praticati: quasi si temeva di volare. Il moralismo,poi, che annichiliva in una burletta il senso dell’etica, ungeva i giorni. Si pativa, credo, la mancanza di “vere” prospettive e di vere domande. Io non mi ci trovavo bene e l’unica possibilità, faticosa e pericolosa, era nuotare controcorrente, tagliandosi fuori dallo stagno dei ranocchi e dal fumo delle cinquecento.

Quale la posizione di Nanda Pivano rispetto agli eventi della contestazione? E quale la tua?

Il 1968 fu letto, da coloro che si erano messi on the road già a partire dal 1964, come una variazione sul tema, un “affare” all’interno del groviglio del sistema che veniva anche definito Moloc. Ricordo che gli studenti universitari, a Torino, nelle loro assemblee mostravano un appetito di leader, parevano canonici che tentassero di decifrare il Verbo, di Marx, tra le righe de Il Capitale. In realtà, a Torino almeno, la polemica politica era contro il PCI. Il mondo delle Università era ristretto a minoranze che tendevano a gestire il mal contento. Io pensavo, e penso che, rispetto all’esperienza on the road, il 1968 nostrano fosse regressivo, addirittura ‘clericale’, alla ricerca d’un padre nuovo visto che quello vecchio era stato cannibalizzato. Ci definivano “leccaculi della borghesia” mentre percorrevano sentieri vecchi come bave di lumache. Temevano la psichedelia, che non comprendevano, e miravano, vecchia storia!, al potere.

Fernanda, maggiormente legata a ciò che avveniva tra la gioventù, e non solo, americana, faceva fatica ad orientarsi nei gergali vetero-sinistra. In Vietnam la guerra era reale e la morte aleggiava sulle masse USA. La domanda urgeva e non era ideologica ma esistenziale. Nanda era una pacifista antimilitarista. Pensava, ed io ero d’accordo con lei, che la vera e prima rivoluzione dovesse avvenire dentro ciascuno di noi, non soltanto come un NO ma in modo creativo, aperto, curioso, creativo. Le cosiddette contestazioni erano risposte provocate dal sistema, risposte prevedibili e meccaniche, escrescenze del sistema in un circuito chiuso.

Incuriosisce, tra l’altro, una presa di posizione di Nanda che in un’intervista ebbe a dire di non curarsi affatto di piacere alle donne: perché era così prevenuta a riguardo?

Nanda non era “femminista” e non usava il “genere” per rivendicare. Non era contraria alle donne ma al fascismo in tutte le sue forme. Di conseguenza più che il “plauso” cercava di avviare una presa di coscienza nuova, alta e non pasticciata. Nanda non ragionava usando i canoni della lotta di classe – non era nella sua storia. Penso si riferisse di più all’universalismo ed al vitalismo dei suoi amici poeti.

Tra le grandi voci della letteratura del tuo tempo, quale consideri più dimostrativo di quegli ideali?

Allen Ginsberg di certo che divenne ponte tra America ed Europa. Lo slancio di Allen contribuì a produrre Pianeta Fresco, esplosione psichedelica e non-violenta nella cultura della seconda metà degli anni ’60 del secolo scorso. La ruota fu messa in movimento, a mio parere, più dagli hippies che dagli intellettuali monaci laici del ’68. La psichedelia fu lo strumento per tentare di scardinare il sistema di pensiero e comportamento di quegli anni ma, ahimè!, oggi non se ne vede più traccia.

Cosa puoi dirci a proposito delle speranze di Nanda, se ancora ne serbava, che il mondo ritornasse agli ideali di pace e libertà? E quale il tuo parere a riguardo?

Nanda credeva fortemente in uno stare insieme pacifico e solidale, in un tribalismo libertario e creativo. Il mondo non aveva mai sperimentato una realtà alternativa allo sfruttamento ed alle guerre. Quindi non si sperava di “ritornare” ma di andare avanti e nell’andare costruire realtà nuove (pensiamo, in piccolo, alle ‘comuni’ anche italiche). Come poeta e pedagogista presente attivamente in quel tempo ed ora (compatibilmente con i miei 80 anni) questo movimento mi alimentava. Ora è la lotta No TAV che, al di là dei trucchi del sistema, mostra la faccia trucida e volgare . Non si tratta di correnti poetiche ma di lotta, al pari di quelle sostenute dai Nativi americani. Passano gli anni ma l’amor mio non muore.

La psichedelia, una corrente cui ti rifai e che sostieni sia stata abbandonata troppo presto, puoi parlarcene?

La caricatura di quegli anni, caricatura che secondo me, nascondeva un po’ di invidia, era “sesso, droga e rock and roll”. Smontiamo subito questa ridicola affermazione. Il “sesso era allora visto, per lo meno dalla popolazione maschile, e maschilista, come una pratica genitale, quasi esclusivamente. In realtà si sarebbe dovuto parlare di “sessualità” in una visione panica, base dell’essere. Gli stimoli che giungevano dall’India, il loro pansessualismo, fecero sì che l’area si dilatasse oltre lo “scopare”. In realtà il sesso, la pratica sessuale, portava ad una esperienza non frantumata, orgasmica, da inizio del tutto. La percezione unitaria e simbiotica della realtà era psichedelia. Altro argomento (proposto in chiave moralistica e scandalistica) era la “droga”. Dicevo allora che le droghe si acquistavano dal droghiere mentre, nel caso specifico, si trattava di “erbe”, usate in altre culture comunemente. Tali erbe, fumate allora in modo comunitario, miravano al decondizionamento della mente, come scriveva Allen Ginsberg. Io non fumo più nemmeno tabacco perché penso d’aver raggiunto l’obiettivo. Per quel che riguarda la musica, nata come risposta al potere culturale del tempo, vorrei ricordare che il movimento ossessivo è stato anche una pratica preparatoria alla “trance”, come i dervisci ci insegnano. I tre aspetti ridicolizzati dall’establishment erano in realtà una pulsione unica, quella per cui è difficile descrivere “oggettivamente” il movimento underground, somma di esperienze radicali e profonde individuali, soggettive. La poesia parve allora la forma più libera e propria per comunicare, attivamente, il cammino intrapreso, l’on the road di kerouachiana memoria. Almeno così avvenne per me e non posso che parlare della mia esperienza, ormai consolidata visti i miei 80 anni.

A proposito di questo ti trovi d’accordo con quello che oppose Ginsberg, al suo ritorno dall’India, ovvero che la meditazione trascendentale fosse una pratica altrettanto valida per oltrepassare i parametri apparenti della realtá?

Io penso che la “meditazione” deve divenire “fiato” e non soltanto momento specifico e rituale. Inoltre credo che sia bello sentirsi dentro e avvolti dal mistero, olistico. Come dire: essere l’Alfa e l’Omega nel presente, ora e qui. I miei palloncini sono volati via e sono più leggero.

E qui Gianni Milano continua in versi:

La poesia
s’infilò le scarpe
e scese in strada.
Lentamente
la strada s’illuminò
e da ogni angolo inconsueto
emersero doni
e meraviglie e nomi.
Un flash colpì
il camminante
sulla strada dell’Utopia
per l’Utopia
e lo lasciò nudo
senza vili difese ed illusioni.
Quando, ripreso, il camminante
rimirò l’intorno
s’accorse che era giunto
in Utopia
per la brezza che smuoveva i
capelli
e la barba imbiancata.
Un ridere giulivo
senza motivo apparente
gli discendeva dalle labbra.
Il giorno era gioioso
e il sole caldo.
La luce riattivò le percezioni –
si stava bene pacificati e all’erta
quando anche l’erba era più
verde.

Intervista a cura di Jo Gabel, tratta dal sito www.artapartofculture.net. maggio 2018.

 

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LUDD ovvero dell’insurrezione permanente

n questi giorni bui, in cui di fronte al riproporsi di un governo reazionario e razzista l’antagonismo sociale non sembra saper far altro che riproporre modelli di azione politica e di organizzazione ripescati pari pari dai vecchi Fronti popolari e dalla peggiore tradizione catto-comunista e stalinista, questo primo volume del progetto destinato a ripercorrere le vicende della critica radicale italiana dalla fine degli anni Sessanta alla fine degli anni Settanta costituisce un’autentica boccata d’aria pura. Un po’ come aprire una finestra di un appartamento situato al centro di una grigia e inquinata metropoli per scoprire, inaspettatamente, che questa si affaccia su un magnifico paesaggio montano di nevi eterne, dirupi scoscesi e boschi verdissimi e selvaggi.

Le edizioni Nautilus che fin dai loro inizi pubblicano e ripubblicano testi di quel pensiero radicale che ha avuto nel Situazionismo una delle sue massime espressioni ma che, prima di tutto, affonda le sue radici nella insorgenza giovanile e proletaria che ha contraddistinto da sempre e, in particolare, fin dal secondo dopoguerra la “naturale” reazione di classe rivoluzionaria sia al capitalismo occidentale che al suo mostruoso alter ego rappresentato dal cosiddetto “socialismo reale”, con questo volume iniziano un’operazione che più che d’archivio pare essere più di riscoperta (per i lettori più giovani) e rivendicazione di un pensiero e di una pratica che dell’insorgenza continua contro ogni forma di potere costituito e ogni formulazione teorica tesa alla conservazione dell’esistente hanno fatto la propria ragione d’essere.

I due volumi che sono annunciati per il prosieguo dell’opera si occuperanno successivamente dei testi, giornali, bollettini e volantini prodotti all’interno del Comontismo, di Puzz, Insurrezione e Azione Rivoluzionaria e si intitoleranno Comontismo 1971-1974 e Insurrezione 1975-1981 e andranno ad affiancarsi ai due testi già precedentemente editi che raccoglievano tutti i numeri della rivista prodotta dall’Internazionale Situazionista1 e tutti i bollettini pubblicati dalla precedente Internazionale lettrista.2

Se, però, l’esperienza dell’Internazionale Situazionista è stata in qualche modo parzialmente digerita dal sistema mediatico e politico attuale, ben diversamente potrà avvenire per una produzione testuale e, lo ripeto ancora una volta, per una pratica militante che fin dagli esordi furono tacciate sia dal PCI che dai gruppuscoli nati alla sua sinistra (in primis l’orrido Movimento Studentesco di Mario Capanna) come provocatorie, irresponsabili e, in alcuni casi, “fasciste”.

Anche se l’opera non intende affatto costituire una celebrazione di pratiche e militanti come Giorgio Cesarano, Riccardo D’Este, Eddie Ginosa, Gianfranco Faina, Mario Perniola e molti altri ancora, senza dimenticare la vicinanza con Danilo Montaldi, poiché come afferma Paolo Ranieri nella sua introduzione:

“E’ ora, infatti, di dire basta alla moltiplicazione incessante e interessata di manifestazioni “in memoria”. Come il Primo Maggio […] ideato per essere l’appuntamento annuale con quel vagheggiato sciopero generale che spostava la presenza potenziale dell’insurrezione possibile insieme con l’assenza di rivoluzione attuale: da quando, con l’iterazione e la corrosione del tempo passato e il sequestro della produzione di memoria da parte delle istituzioni, ci si è scordati di questo, si è definitivamente degradato in una sorta di Pentecoste, rito lagnoso di una neo-religione per schiavi, aspiranti schiavi e liberti, meritevole di essere fuggito come la peste […] E lo stesso si può affermare senza esitazioni per il 25 aprile, il 12 dicembre, il 14 luglio […] ciascuno con le precise specificità che gli valgono un posto in questo martirologio della laica religione della disfatta, celebrata senza posa e senza vergogna dai voltagabbana incartapecoriti dalla nostalgia e dai militanti del conformismo”.3

Come si può ben comprendere fin da queste poche righe, che danno la cifra esatta del discorso anti-retorico e di rottura che la critica radicale italiana ha portato avanti fin dai suoi albori, non vi è possibilità di mediazione, di reciproco seppur parziale coinvolgimento e neppure di pace armata tra una miserabile concezione della politica di “sinistra” che ha fatto della sconfitta e della collaborazione di classe la sua terra d’adozione ed una visione che dell’iniziativa rivoluzionaria ed insurrezionale dal basso, proletaria e giovanile, ha fatto la sua ragione di esistere.

Continua, anzi anticipa, poi ancora Ranieri:

“Non possiamo nascondere a noi stessi che operazioni-memoria come la presente – intese a isolare una vicenda del passato raccogliendone i documenti in un’edizione che, elaborata dai superstiti stessi, aspira a mostrarsi critica, completa, definitiva, TOMBALE – rappresentano uno dei mille espedienti che l’universo delle merci adotta per frenare la propria inarrestabile entropia”.4

Sì, perché è proprio l’universo mercantile, con la rapida diffusione della sua capacità di affascinare e addomesticare l’immaginario proletario e sociale, l’altro obiettivo della critica radicale che, però, non intende semplicemente destrutturarne le basi e i principi ma, molto più semplicemente, distruggerlo insieme ai rapporti sociali e di produzione che lo alimentano. La necessità potrebbe rivelarsi essere proprio quella, già enunciata da De Sade, che l’insurrezione debba costituire la condizione permanente di ogni repubblica.

La sintetica ricostruzione storica della formazione, a Genova, prima del Circolo Rosa Luxemburg e poi di LUDD – Consigli proletari fatta da Leonardo Lippolis permette al lettore-militante di riscoprire le origini di tali formulazioni ed ipotesi non solo a partire dalle occupazioni studentesche delle Facoltà universitarie fin dal 1967, che impressero una spinta decisiva in quella direzione, ma fin dalle insurrezioni operaie e proletarie di Berlino Est nel 1953, dell’Ungheria nel 1956 e nelle rivolte italiane del luglio del 1960 e di Piazza Statuto nel 1962 a Torino.

Insieme alle interpretazioni che sorgevano dalle riletture dell’esperienza rivoluzionaria sulle pagine di “Socialisme ou Barbarie”, nei primi numeri dei “Quaderni Rossi” e successivamente dell’Internazionale Situazionista si evidenziava però sempre il fatto di come l’insorgenza proletaria fosse una costante, dalla Comune di Parigi in poi e allo stesso tempo come le trame “partitiche” finissero sempre con l’ingabbiare e limitare l’espressione del desiderio di rivoluzione e superamento dell’esistente compreso all’interno dell’esperienza dei Consigli.

Anche se proprio la scelta del nome del gruppo di cui sono raccolti principalmente i materiali in questo primo volume, LUDD, rinvia ad esperienze precedenti ed egualmente radicali. E’ proprio sulla tracci dell’interpretazione data dallo storico inglese Edward P. Thompson, nella sua opera più importante,5 del luddismo che si forma la convinzione che la rivolta spontanea del lavoratori delle campagne inglesi contro l’introduzione delle macchine fosse tutt’altro che una forma primitiva, arretrata e tutto sommato conservatrice di lotta di classe. Negando così un’interpretazione “progressista” del capitalismo che nelle sue conseguenze ha finito col trasformare i partiti “socialisti” o “comunisti” che la sostenevano in strumenti di conservazione politica, economica e sociale. Insomma i proletari inglesi dell’epoca delle guerre napoleoniche erano già più avanti di coloro, ad esempio i cartisti, che si sarebbero poi fatti loro portavoce e rappresentanti come tutta la deriva tradunionista, socialdemocratica e infine stalinista che ne sarebbe poi conseguita.

E’ proprio per questo motivo che i fondatori del movimento andarono progressivamente allontanandosi da quella componente operaistica di cui avevano inizialmente condiviso una parte del cammino. E che contribuì ad allontanare alcuni di loro anche da Raniero Panzieri che, proprio a proposito della rivolta di Piazza Statuto, in un primo momento aveva commentato la giovanile rivolta operaia come “quattro meridionali che tirano le pietre”. Questa memoria, contenuta nella ricostruzione di Lippolis, mi fa ha fatto tornare in mente che fu proprio in occasione di quella rivolta, e degli atteggiamenti assunti nei suoi confronti da Pajetta e dal PCI, che due proletari come Sante Notarnicola e Giuseppe Cavallero decisero di stracciare la tessera del Partito. Mentre esponenti dell’operaismo come Antonio Negri e Mario Tronti decidevano in quegli stessi anni di praticare una forma di entrismo nello stesso. Come dire che l’istinto proletario batte la riflessione filosofica 1 a 0.

“La Lega operai-studenti, che rivendicava l’eredità dei Consigli operai, insisteva invece sulla necessità di trovare nuovi canali di insubordinazione, non necessariamente legati alla fabbrica, rigettando l’impostazione gerarchica e centralizzatrice leninista. La Lega operai-studenti negava ogni valore alla lotta rivendicativa di natura economica a scapito di una critica radicale del lavoro salariato, bollato come inumano e assurdo […] «La critica rivoluzionaria – recita il significativo passaggio di un manifesto del gruppo – deve interessarsi di tutti gli aspetti della vita. Denunciare la disintegrazione delle comunità, la disumanizzazione dei rapporti umani, il contenuto e i metodi dell’educazione capitalistica, la mostruosità delle città moderne» (I 14 punti della Lega degli operai e degli studenti)”.6

I documenti riportati in più di trecento pagine sono innumerevoli ed interessanti: dai testi prodotti dalla Lega degli operai e degli studenti che si andò formando nella cerchia di militanti del Circolo Rosa Luxemburg a quelli prodotti dal Comitato d’azione di Lettere fino ai tre bollettini prodotti da LUDD e all’Appello al proletariato infantile contro l’infantilismo borghese passando per il testo di critica ai gruppuscoli scritto da Jean Barrot: Sull’ideologia ultrasinsitra.

Non costituiscono però tutto il materiale raccolto nel sito Nel Vento, nato a partire da un progetto contenuto nel preambolo a Psicopatologia del non vissuto quotidiano di Piero Coppo nel settembre del 2006. In cui si affermava:

“Dalla metà degli anni ’60 si è sviluppato in Italia un movimento che, sotto diversi nomi e sfumature differenti, ha condotto una battaglia teorico-pratica per l’affermazione di una rivoluzione che, nella propria concezione, non poteva che avere come base la critica della vita quotidiana. Precursori dei tempi, questi gruppi inquadrarono la questione della rivoluzione in termini anti-ideologici fuori e contro il militantismo caratteristico di quegli anni e del decennio successivo.
Le donne e gli uomini che si unirono in questi gruppi sono stati i primi e gli unici a porre come criterio, per cogliere il senso di un vissuto rivoluzionario diversi concetti che oggi sembrano evidenti […] Il Progetto Critica Radicale è di raccogliere e pubblicare i materiali prodotti dai gruppi e dagli individui che si sono riconosciuti in quelle idee”.

Idee, non dimentichiamolo mai, che non si espressero in spazi angusti o in eburnee ed intellettualistiche torri, ma sempre direttamente sul fronte del cambiamento esistenziale e politico, giorno per giorno nelle lotte e in una pratica che vedeva nel PRESENTE e non in un lontano passato oppure in un altro ancor più lontano futuro la possibilità di realizzare il cambiamento sociale necessario alla piena realizzazione dell’essere umano. Sia come singolo individuo, sia come specie.

Indispensabili, a parere di chi scrive, ancora oggi, nonostante alcune iperboli linguistiche ed alcune ammaccature dovute al trascorrere del tempo, per una discussione ed una pratica sociale e politica che non voglia rimanere chiusa all’interno della rappresentazione spettacolare dei valori borghesi travestiti da antagonismo e delle merci ideologiche che ne derivano.

(Recensione di Sandro Moiso tratta da “Carmilla letteratura immaginaria e cultura d’opposizione” )

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NON SOLO BEAT di Gianni Milano

Il libro – a cura di Chiara Maraghini Garrone e introduzione di Matteo Guarnaccia-  è un lungo viaggio on the roadcon Gianni Milano a partire dalla sua nascita, il trasferimento a Torino dopo il 25 aprile 1945, la città bombardata e i plumbei anni cinquanta, l’esperienza beat, l’incontro, tra gli altri, con Fernanda Pivano, Allen Ginsberg, il Living Theatre… negli anni sessanta. Anni che vedono Gianni diventare prima poeta, poi maestro di scuola elementare. Seguace delle idee di Célestin Freinet, fautore di una a-pedagogia libertaria, il maestro che ha fatto scandalo con le sue idee, il suo comportamento, le sue poesie – tutte cose per le quali ha subito dei processi da cui è stato puntualmente assolto -, ha smesso di lavorare nel 2000, ma non ha mai abbandonato quelle che chiama le sue “tribù”. Nell’ultimo periodo, sono incarnate dai ribelli della montagna.
L’autobiografia raccoglie in appendice alcuni testi che documentano il periodo dell’underground di cui Gianni è testimone e attore. La grande produzione di scritti di Gianni sfugge ancora a una pubblicazione sistematica e resta sotterranea, una vena profonda che continua ad alimentare il desiderio di libertà e di non sopraffazione. 

Gianni Milano nasce a Mombercelli (AT) il 14 giugno 1938. È poeta e pedagogista. Entra giovane nella scuola dove, per quarant’anni, insegna ai bambini delle elementari di Torino e Cirié per ultimare la carriera scolastica a Lanzo dove si dedica alla didattica nelle magistrali. Verrà sospeso cinque anni dall’insegnamento per le sue idee libertarie. Protagonista dell’underground, ha affidato i suoi scritti prevalentemente a piccole case editrici e autoproduzioni. Pubblica Off Limits nel 1966. Un anno dopo fonda le edizioni Pitecantropus per le quali subisce anche un processo. Collabora, tra l’altro, con le riviste Paria, Pianeta Fresco e Puzz. Una sua autobiografia, Il Maestro e le Margherite, uscirà nel 1998 con Stampa Alternativa. Nel 2009 un’edizione privata a cura di Giulio Tedeschi proporrà una raccolta di poesie, Un beat con le Ali, poesie sparse 1965/1968. Numerosi anche gli scritti di pedagogia e la collaborazione con riviste che si occupano della scuola.
La povertà, l’anarchia, la filosofia on the road, l’antimilitarismo, il buddismo zen, la psichedelia, il Movimento di Cooperazione Educativa, la lotta No Tav, sono il caleidoscopio della strada eretica percorsa da Gianni Milano di cui questo libro vuole essere testimonianza.

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Il morto Georges Bataille

Inquietante e osceno, è ciò che si sarebbe tentati di pensare nel leggere questo racconto di Georges Bataille perché testo come in altre sue opere accomuna, spingendole al parossismo, sessualità e morte.
Può sembrare crudele, oltraggioso, scandaloso, blasfemo, ma leggendolo con attenzione, si scopre molto più di questo. Al di la del carattere perverso, o pornografico, ciò che si rileva è un approccio diverso all’eros: piacere e dolore sessuale, entrambi intimamente connessi, appartengono al dominio del sacro. Non riconoscerlo non è darsi i mezzi per capire la natura umana.
Bataille ha incominciato a scrivere questa storia nel 1942, ma l’opera è stata pubblicata nel 1964, due anni dopo la sua morte. In quell’anno Bataille era affetto dalla tubercolosi e si trovava in Normandia; ed è nella prostrazione della malattia, in quello stato d’animo estremo che Il morto prende luce: “legato all’eccitazione sessuale delirante dove ero, (…) Ero malato, in un oscuro stato di sconforto, orrore ed eccitazione”. Da qui la sua intensità e il suo potere scandaloso, l’eccesso di desiderio mescolato al fascino dell’orrore, in un equilibrio tra passione e animalità.
L’intensità e lo scandalo della storia è dovuta al suo aspetto sacrilego e al disprezzo per la morale; raramente il lutto è stato descritto in modo così lussurioso. La morte e il sesso, il godimento frenetico, l’orrore e il sublime finiscono per confondersi: “Culo nudo e pancia nuda: l’odore del culo e del ventre insalubri era l’odore stesso della morte.”

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