Siamo tutti individui unici

Perché dividiamo l’umanità in uomini e donne, anziché considerarci individui unici? Perché incaselliamo le nostre attrazioni erotiche ed emotive in “eterosessualità” e “omosessualità”? Da secoli i discorsi della religione, della scienza e delle classi dominanti influenzano, anzi, letteralmente creano le nostre idee sui generi, sulla sessualità e sui ruoli predefiniti che siamo tenuti ad assumere nell’ordine sociale. Queste ideologie che delimitano i confini della “norma” sono sempre servite a mantenere stabili i privilegi di alcuni individui e gruppi sociali e ad assoggettarne altri, costringendo l’umanità a una condizione inautentica, oppressa e consenziente.
Essere anarchici/che significa, oltre che lottare contro il potere statale, religioso e scientifico fuori di noi, liberarsi dalle barriere mentali che ci impediscono di vivere rapporti veramente paritari con gli altri. Liberarsi il più possibile dalle relazioni di potere in cui siamo impilati/e, che influenzano la qualità della nostra esistenza forse ancora più pesantemente dell’oppressione che viene dall’alto. Viviamo rapporti asimmetrici fin dall’infanzia nell’ambito della famiglia, che poi si replicano nelle istituzioni preposte alla nostra educazione e istruzione: collegi religiosi, scuole statali, università. Il mondo del lavoro in cui veniamo inseriti/e nell’età adulta, è una rete di relazioni di potere ancora più fitta. Anche nel rapporto con gli altri animali, con gli individui dello stesso sesso o dell’altro sesso, con gli individui di cui abbiamo differenze culturali, di provenienza, di conformazione fisica, di preferenze sessuali (e la lista potrebbe continuare all’infinito), sono impilate relazioni di potere che ci apportano un vantaggio materiale o un rafforzamento della nostra identità personale, o che al contrario ci opprimono e ci discriminano. Il nostro stesso linguaggio, e le categorie che adoperiamo per descrivere il mondo e relazionarci con le altre persone, non sono neutrali ma sono stati prodotti per perpetuare divisioni sociali non paritarie. Il primo passo per abbattere il potere è riconoscere quanto esso ha influenzato ogni aspetto della nostra vita e delle nostre relazioni, e da lì partire per rivedere i rapporti personali che portiamo avanti in modo da renderli davvero liberi e orizzontali. Si tratta di svelare le idee e le categorie che il potere ha prodotto per giustificare le asimmetrie dei rapporti sociali, funzionali a una società organizzata gerarchicamente in cima alla quale stanno proprio le istituzioni.
“E’ nella logica dell’oppresso imitare il suo oppressore e provare a liberarsi dall’oppressione attraverso azioni simili ad essa”. (Paulo Freire)

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Bisogno di sollevarci e gridare “NO!”

Il mondo futuro è proprio adesso ed è fatto di telemedicina, dad, telelavoro, e-commerce, tele-polizia, conferenze immateriali. Quando il distanziamento verrà attenuato difficilmente si allenterà il controllo dei nostri corpi. Che si tratti dell’app Immuni, dell’intelligenza artificiale applicata ai dati dei nostri smartphone, o l’uso del riconoscimento facciale — e queste sono solo la punta dell’iceberg — tutta la nostra vita è chiamata a passare sotto il controllo delle nuove tecnologie. Il post-capitalismo connesso, oltre a voler rappresentare il motore dell’economia (o se si preferisce del mondo), si sta sviluppando per garantire la nostra sopravvivenza tecnologicamente assistita in ambienti patogeni. Dalla città intelligente al pianeta intelligente, questo capitalismo tecnologico si sta sviluppando per sopravvivere ai suoi misfatti ecologici attraverso la razionalizzazione poliziesca delle popolazioni. Se non bastasse, un transumanesimo green sta fiorendo nei laboratori di ricerca di molti Stati e promette di modificare geneticamente la specie umana nel tentativo di darle qualche chance di sopravvivenza. A breve molte occupazioni non saranno più disponibili per gli umani che, soppiantati dai robot, dipenderanno da un qualche reddito non più frutto della loro attività, ma della benevolenza dello Stato. Già ora la sopravvivenza nella precarietà è realtà per milioni di persone e in prospettiva ben pochi prevedono che le cose potranno migliorare se si procede su questa strada. Anzi. Questo post-capitalismo, piuttosto che il traguardo raggiunto dell’abbondanza, assomiglia a una gestione assistita dal computer della scarsità di aria pulita, acqua, materie prime, spazio vitale, lavoro, istruzione, salute. L’umanità sta affrontando la prospettiva di un futuro cupo difficile da immaginare e abbiamo urgente bisogno di sollevarci e gridare “no!”.

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La Banda di Benevento

6 Aprile 1877

«Ai primi dell’Aprile 1877, una trentina di persone, venute non si sa donde, si riuniva tutte le sere in una casa di San Lupo, villaggio perso nelle gole del Beneventano. La notte del 6 Aprile i carabinieri che sorvegliavano la casa furono ricevuti a colpi di fucile e due tra essi rimasero sul terreno gravemente feriti.
 Dopo queste prime avvisaglie la banda, lasciata la casa, si dirige al vicino villaggio di Letino preceduta da un orifiamma rosso e nero. Occupa il palazzo del Comune e ne caccia il Consiglio Municipale a cui rilascia pel debito scarico la seguente dichiarazione: “Noi sottoscritti dichiariamo d’aver preso possesso del Municipio, di Letino a mano armata, in nome della Rivoluzione Sociale”. E i banditi pongono in calce, l’un dopo l’altro, le proprie firme. Si portano in piazza, a piedi della croce che vi troneggia, i registri del catasto, quelli dello stato civile, e se ne fa una fiammata. I contadini accorrono in folla e ad essi uno degli insorti (Carlo Cafiero)  rivolge la parola: “il movimento è generale, il popolo è affrancato, il re decaduto, la Repubblica Sociale proclamata”. Si applaude. Le donne chieggono che si proceda subito alla ripartizione delle terre. “Voi avete delle armi, voi siete liberi, fate tra voi le ripartizioni” risponde la banda. Il curato Fortini — che è anche Consigliere comunale — monta sul piedestallo della croce e dice che gli uomini della banda sono venuti a ristabilire sulla terra l’uguaglianza, come vuole il vangelo, e che si debbano quindi accogliere come gli apostoli del Signore, e gridando: “Viva la Rivoluzione Sociale!” si pone a capo del drappello e lo guida al prossimo villaggio di Gallo. A Gallo il parroco Tamburini si fa loro incontro, li accoglie bene e li presenta ai suoi parrocchiani con queste semplici parole: “sono buona gente! non abbiate paura di essi. Il governo è mutato e si dà il fuoco alla cartaccia”. La folla, rapita ed entusiasta, riceve i fucili della guardia nazionale. I registri della locale agenzia delle imposte sono recati in piazza ed arsi tra gli evviva, mentre ai molini si tolgono e si distruggono gli odiosi contatori del macinato. L’entusiasmo è al colmo. Il parroco abbraccia il capo della banda, le donne piangono di gioia: non più imposta! non più affitti! eguali tutti, emancipazione generale. Se non che…. si apprende dopo qualche giorno che le regie truppe accorrono. La banda si rifugia nella foresta del Matese e, disgraziatamente, il cielo è meno clemente dei contadini. Neve dappertutto, il freddo orribilmente intenso, i liberatori muoiono di fame. Sono arrestati in blocco e nell’Agosto del 1878 compaiono dinnanzi alla Corte d’Assise di Capua…

La catastrofe giudiziaria non è meno strana degli incidenti che l’hanno indotta: gli avvocati sostengono che si tratta di delitto politico coperto dall’amnistia accordata da Umberto I salendo al trono, ed i giurati assolvono…».  Fin qui il socialista cristiano Emilio De Laveleye nel suo Socialisme contemporaine (Parigi, Felix Alcan Editeur, 1902) laddove parlando dell’Alleanza Universale della democrazia e di Bakunin apostolo del nihilismo, sintetizza gli episodi e le vicende di quella che i giovani compagni ignorano, ed i vecchi ricordano sempre con ammirazione ed affetto: la banda di Benevento, di cui oggi abbiamo voluto nel trentesimo anniversario suscitare pei lettori della Cronaca il simpatico ricordo. Perché a costituire la trentina di persone, piovute non si sa di dove, come dice il rugiadoso De Laveleye, che il 6 Aprile 1877 ritentarono nel Beneventano l’eroica iniziativa che sulla terra di Sapri aveva condotto vent’anni avanti i Pisacane, i Nicotera, i Rota, l’eroica iniziativa di dare ad un popolo di ombre il pensiero e 
l’animo dei vivi, di dare ad uno strupo d’iloti un bagliore di coscienza, di verità, di diritto, di speranza e di libertà erano Carlo Cafiero, Alvino, Covelli, Errico Malatesta, Sergio Stepniak e cento altri che la morte ha falciato poi, e che le persecuzioni, le delusioni, le miserie hanno reso superstiti a se stessi, fatta la dovuta parte a coloro che sulla breccia rimasero e rimangono, come Errico Malatesta, immutati, tenendo il loro posto di battaglia coraggiosamente, gloriosamente. Era insomma il fior fiore dell’intelligenza e dell’energia libertaria germogliato sotto l’alito ardente della parola e dell’esempio di Michele Bakunin nel campo irrequieto della grande Internazionale. Quarantottate! ghignano in coro i piccioletti ladruncoli bastardi del socialismo scientifico e palancaiolo; e, nello stesso dispregio per le vittime e nella stessa adorazione pel successo: quarantottate! gridano nel sarcasmo nietzschiano gli apologisti eunuchi del dominatore e del superuomo.

Quarantottate? può essere; ma intanto contro gli arnesi da forca dell’antico regime superstite, l’Internazionale ergeva temeraria i postulati del nuovo diritto umano ed i suoi vessilli sanguigni. Quarantottate? evidentemente: ma intanto il nuovo regno, il primo regno d’Italia si conchiudeva senza le sintomatiche carneficine proletarie, che sono la gloria del secondo e del terzo. Quarantottate? non v’è il minimo dubbio; ma sotto la ferula cantelliana della vecchia destra non s’accucciava — anestetizzato dal cloroformio delle conquiste graduali e soprattutto pacifiche; avvilito e castrato dalle fervide obiurgazioni modernissime sulla schiavitù degli umili, perenne ineluttabile e necessaria — il proletariato della patria con cui, allora, vivevamo la vita, il palpito, il pensiero di ogni ora.

Ora siamo grandi e… furbi.

Abbiamo detto un grande addio alle quarantottate ed abbiamo messo giudizio.

Il quarantotto imperversa, è vero, nella reazione: sazia di piombo i ventri vuoti, sazia di menzogne i cervelli vergini; rifugia in galera i vecchi tronchi da cui non può più spremere né sudore né lavoro né quattrini; ci affoga nella strozza la libertà di pensiero e di parola e lo statuto; mitraglia per le risaie, per le miniere, per le
 brughiere il diritto alla vita, il diritto di associazione, il diritto di coalizione…  Ma è la reazione.

Possiamo essere reazionari noi, e ricorrere al quarantotto dell’insurrezione, delle barricate, delle rivolte sguaiate perché le classi dominanti tornano al quarantotto del crimenlese, della tortura e della forca? Ohibò! noi siamo, oggi, tutti filosofi.

Noi non comprometteremo coi moti inconsulti della ribellione primitiva le libertà consolidate onde sorride benigno dai cieli benedetti della terza Italia il regime liberale al nostro ravvedimento addomesticato; e se v’è ancora in mezzo a noi qualche semi-selvaggio che raccogliendo nel cuore ingenuo e primitivo i dolori e le onte del volgo ne temperi una folgore pei simboli dell’onnipotenza borghese, noi gli mozzeremo le unghie e le temerità in nome della fatalità darwiniana per cui spetta ai forti il dominio per cui sono retaggio ineluttabile degli umili la miseria e la vergogna. Noi pieghiamo il groppone, la coscienza, la viltà, la bandiera, maestri di raccoglimento e di rassegnazione…

E i banditi di Benevento li ricordiamo tutt’al più per la nostra… mortificazione.

[Cronaca Sovversiva, anno V, n. 14, 6/4/1907

 

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Il DADAISMO in Germania

Il Dadaismo esige:
1. L’associazione internazionale e rivoluzionaria dei creatori e intellettuali del mondo intero sulla base del comunismo radicale.
2. L’introduzione progressiva della disoccupazione attraverso la meccanizzazione generalizzata di tutte le attività. Perché soltanto la disoccupazione darà ad ogni individuo la possibilità di prendere coscienza della realtà della vita e di abituarsi finalmente a condurre la propria esperienza.
3. L’abolizione immediata di ogni proprietà (la socializzazione) e l’alimentazione collettiva come anche la costruzione di città luce che saranno proprietà della comunità e permetteranno all’umanità di accedere alla libertà.
Il comitato centrale propone:
a) l’alimentazione pubblica e quotidiana di tutti i creatori ed intellettuali sulla piazza di Potsdam (Berlino),
b) l’obbligo per il clero e per il corpo insegnante di prestare giuramento al credo dadaista,
c) la lotta più violenta contro tutte le tendenze dei cosiddetti lavoratori dello spirito (Hiller, Adler), contro il loro animo borghese nascosto, contro l’Espressionismo e contro la cultura post-classica così come viene rappresentata dallo Sturm, (La rivista Der Sturm, edita da Herwarth Walden dal 1910 al 1932 (Berlino/Vienna), fu per qualche anno una delle più importanti riviste dell’avanguardia internazionale: vi era collegata la casa editrice omonima e la “Galerie du Sturm” (serate “Sturm”, École Sturm, Thatre Sturm).)
d) l’immediata costruzione di un centro artistico di Stato e l’abolizione del concetto di proprietà nella nuova arte (l’Espressionismo); questo concetto di proprietà è totalmente rifiutato dal movimento supra-individuale dadaista che libera l’umanità,
e) l’introduzione della poesia simultanea come preghiera comunistica dello Stato,
f) l’utilizzazione delle chiese per la rappresentazione di poesie rumoriste, simultanee e dadaiste, g) la creazione, in ogni città di più di cinquantamila abitanti, di un Consiglio Dadaista per la riorganizzazione della vita,
h) la realizzazione immediata di una grande campagna di propaganda dadaista, con centocinquanta circhi, per l’informazione e l’educazione del proletariato,
i) il controllo di tutte le leggi e di tutti i decreti da parte del comitato centrale dadaista della rivoluzione mondiale,
/) la regolamentazione immediata di tutti i rapporti sessuali secondo lo spirito internazionale dadaista.
Il comitato centrale dei dadaisti rivoluzionari.
Gruppo Germania: Hausmann, Huelsenbeck
Per approfondire:

 

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VENTUNESIMO ALTROVE

Il numero che presentiamo si apre con un vero e proprio “Dossier Taussig”, ossia con un omaggio a colui che può senz’altro essere definito il più trasgressivo antropologo vivente, di difficile inquadramento, come il suo maggiore e costante riferimento intellettuale, il filosofo Walter Benjamin. Tra l’altro, come il lettore scoprirà, il suo nome non compare solo nei suoi contributi, ma serpeggia in vari altri scritti compresi nel numero… Nel primo breve pezzo Michael Taussig, tra coronavirus e sciamanismo, introduce il tema decisivo del “re-incanto”, mentre nel secondo pezzo conversa lungamente con Peter Lamborn Wilson, meglio conosciuto come Hakim Bey, forse il più noto esponente internazionale del pensiero anarchico degli ultimi decenni. Negli altri due pezzi al prediletto Benjamin viene affiancato un altro autore caro all’antropologo, l’inafferrabile William Burroughs, uno dei quali più noti aforismi recita: “la cosa più pericolosa da fare è restare immobili”. All’antropologo trasgressivo Taussig fa seguito un testo del filosofo e musicologo trasgressivo Frédéric Bisson, che coniugando le linee tracciate dallo scrittore Henri Michaux con quelle di un filosofo a lui caro, Alfred North Whitehead, abbozza i fondamenti di una vera e propria “filosofia psichedelica”. Dopo lo sguardo “antropologico” e quello “filosofico”, ecco quello “psichiatrico transculturale” con un esponente di punta del nostro Paese, Alfredo Ancora, che ci riconduce di nuovo dinanzi alle meraviglie della cultura sciamanica, da lui indagata e assorbita da anni nei numerosi viaggi e incontri nell’Asia centrale. Con i saggi di Ralph Metzner e Gianfranco Mele entriamo in un’area che possiamo chiamare “etnobotanica”.
Il primo non ha bisogno di presentazioni, ma, come ci ricorda Gilberto Camilla nella nota introduttiva, è venuto a mancare il 14 marzo 2019, e dunque con questa pubblicazione, che fa seguito ad altre del passato, la nostra rivista rende omaggio a una figura di primo piano degli ultimi decenni nello studio degli stati modificati di coscienza. Dal canto suo il sociologo e musicista Gianfranco Mele, collaboratore di lunga data della SISCC e tra i fondatori della nuova SISSC, ci offre una sua ulteriore disamina su un tipo di piante che possiamo a buon diritto definire “leggendarie”. Wouter J. Hanegraaf e Federico Battistutta esaminano il tema della psichedelica e degli stati modificati di coscienza dai
rispettivi punti di osservazione che sono per il primo l’esoterismo (Hanegraaf è attualmente uno dei maggiori studiosi internazionali di tale disciplina) e per il secondo la religione concepita in una prospettiva, apparentemente paradossale, laica e libertaria. Nicholas Cozzi introduce lo sguardo sulla psichedelica da parte di discipline di frontiera come le neuroscienze, mentre Gilberto Camilla regala una sintetica e brillante storia degli anni d’oro della psichedelia. Non poteva mancare nel numero un’attenzione alla musica, disciplina sempre coltivata nella SISSC a tutti i livelli (relazioni, laboratori, concerti). I due saggi d’eccellenza selezionati sono opera da un lato di uno dei più geniali studiosi del nostro Paese, da anni docente all’Università di Francoforte in Germania, Leopoldo Siano, che presenta un compositore francese ancora non sufficientemente noto nel nostro Paese, Jean Claude Eloy, dall’altro di Marcos Boon, giornalista, scrittore e professore universitario, capace di attraversare brillantemente
molteplici discipline, che delinea i tratti di una etnopsichedelia musicale incrociando, tra l’altro, anche i “nostri” Taussig e Hakim Bey. Dopo l’orecchio, la vista, ed ecco che tra indagine iconografica e indagine etnomicologica il chimico Gianluca Toro, altro collaboratore di lunga data della SISSC, ci documenta un aspetto dell’arte rupestre sahariana, mentre l’antropologa Stefania Consigliere e il padre dell’etnopsichiatria italiana, nonché antico collaboratore della SISSC, Piero Coppo, conducono una serrata e profonda requisitoria su un testo del noto antropologo francese Jean Loup Amselle, la cui traduzione italiana è appena arrivata nelle librerie. Un altro testo di attualità, divenuto celebre anche per via della pubblicazione in una casa editrice raffinata e di prestigio come l’Adelphi, è quello del giornalista Michael Pollan, che si è inserito nel contesto del cosiddetto “Rinascimento psichedelico”. Gilberto Camilla a partire da esso offre utili strumenti di riflessione. Conclude il voluminoso numero una breve intervista che il “nostro” Maurizio Nocera condusse con il grande pensatore Elémire Zolla qualche anno prima della sua scomparsa, e prima della pubblicazione dello straordinario volume su i “moderni Dionisiaci”, e infine una rassegna da parte dello stesso Nocera che, muovendo le mosse da un’altra pubblicazione recente di successo, il libro di Agnese Codignola sull’LSD, ripercorre la storia della nostra rivista. E qui il cerchio si chiude.

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Due pensieri sul 5G

– 20.000 satelliti in orbita bassa che servivano tutto il pianeta con delle frequenze più elevate del 4G
ma non troppo alte, in quanto le frequenze troppo alte sarebbero state fermate dalle nuvole. Mai più zone bianche.
– In città, ripetitori ogni 50 o 100 metri con una frequenza che potrebbe andare fino a 70 gigahertz e più, al posto dei 3 gigahertz fino ad allora utilizzati.
– Dei flussi di informazioni molto più importanti e rapidi.
– La possibilità di vendere e di fare comunicare miliardi di oggetti interconnessi potenzialmente altrettanto utili quanto il cuscino interconnesso che vi dice se avete dormito bene. Il regalo dei sogni da fare a chi ha già tutto il necessario. Oggetti interconnessi che parteciperebbero senza dubbio all’elettrosmog circostante. –
Un’inflazione esponenziale del consumo di elettricità… Nel 2018, in Francia, i centri di big data consumavano già il 10 % della produzione elettrica e il consumo del digitale aumentava del 9% l’anno. Si aveva la sfacciataggine di presentare la digitalizzazione dei documenti come un progresso ecologico, e la gente ci credeva! Il legno che non veniva utilizzato per fabbricare la carta, lo si bruciava nelle centrali a biomassa, tra cui quella di Gardanne, per alimentare i big data.

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Drizziamo le antenne – UN APPELLO

 

RESISTERE ALLA RETE 5G, ALLA DIGITALIZZAZIONE E ALLA MEDICALIZZAZIONE DELLE NOSTRE VITE

 

In cosa ci farà progredire, o meglio, cosa farà progredire questa nuova tecnologia?

Già da diverso tempo si sente parlare di Smart City, un insieme di alte tecnologie che permetteranno la gestione informatica e la messa in rete della maggior parte della vita e dei flussi urbani: mezzi di trasporto smart pubblici e privati (le famose auto a guida automatica), controllo e sicurezza smart tramite riconoscimento facciale grazie a telecamere onnipresenti e droni (attraverso il quale si potrà o non si potrà prendere
l’autobus o avere accesso a strutture o zone della città senza averne i prerequisiti, se sembra fantascienza si veda il sistema di credito sociale in Cina), elettrodomestici smart che ridurranno gli sprechi energetici e ti faranno trovare la cena pronta appena rientrati dal lavoro. Il tutto, ovviamente, controllabile con il dispositivo smart per eccellenza, ormai posseduto dai più, lo smartphone.

Cosa manca per far funzionare tutte queste nuove tecnologie all’unisono e senza intoppi? Per l’appunto la rete 5G. La caratteristica più sbandierata da parte dei suoi propugnatori è il famoso tempo di latenza brevissimo, cioè, per dirla semplicemente, il lasso di tempo che intercorre tra l’invio di un comando e la sua esecuzione, ancora più semplice, quanto tempo passa da che premiamo il tasto A sulla tastiera a quando questa A appare sullo schermo. Nel caso del 5G siamo nell’ordine di qualche millisecondo, quindi pochissimo.

Questo permetterà l’utilizzo in remoto di super computer in grado di gestire l’immane quantità di dati necessari al funzionamento della Smart City. Super elaboratori e server per l’immagazzinamento dati che magari saranno dall’altra parte del globo ma che grazie a questi tempi di latenza bassissimi saranno utilizzabili facilmente da amministrazioni locali, polizie e così via. L’innovazione del 5G non serve per scaricare
più velocemente un film sul proprio computer o per videoconferenze multiple.

Il progresso ha di volta in volta i propri apici, il 5G è l’apice attuale e non vi sarà progresso senza 5G. Tutti i meccanismi che stanno portando ad una società sempre più dipendente dalla tecnologia si trovano di fronte ad un imbuto tecnico che sarà sbloccato dal 5G. Non si tratta solo di criticare una nuova tecnologia perché dannosa per la salute, ma di criticare un modo di vivere e di esistere su questo pianeta.

 

Per leggere l’appello completo clicca QUI

 

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Luigi Assandri, un semplice operaio anarchico torinese

All’epoca, a Torino circolavano moltissime pubblicazioni realizzate per lo più dai gruppi extraparlamentari e dagli studenti. Quelle di Luigi si distinguevano tra tutte, naturalmente per i contenuti, ma soprattutto per lo stile: inconfondibile. I libri (che nessun altro stampava con il ciclostile) avevano la copertina in cartoncino verde o rosso e il dorso ricoperto con un nastro adesivo colorato; gli opuscoli, quasi tutti facsimili di vecchie pubblicazioni, con la copertina, ma più spesso con la quarta di copertina, illustrata da lui. è in quelle pagine e ancor più nei volantini e nei manifesti che produceva, che esprimeva il suo pensiero e l’estro creativo. Chi guardava quell’opuscolo intuiva immediatamente che non c’era nessun approccio intellettualistico in quelle pagine né tanto meno in chi gliele proponeva. Aveva di fronte un ex operaio, con mani dure come sassi, che non aveva alcun timore della discussione, anzi la cercava, e le sue pubblicazioni erano solo un mezzo per arrivarci. In una pagina si poteva trovare la scritta “sevizie mediovali” con a fianco un prete e le sue vittime, una A cerchiata e “autogestione”, un riferimento all’Associazione Internazionale dei Lavoratori e alla rivoluzione spagnola e in piccolo, ma impossibile da non leggere, «chi dice dittatura proletaria, dice carne di stato insaccata». All’interlocutore veniva fornito un menù poliedrico con più di uno spunto di discussione, che infatti avveniva. Spesso accesa, ma sempre corretta. Se si inquadra meglio cosa faceva Luigi, come lo faceva, l’ambito culturale ed etico di riferimento – quello operaio e quello anarchico – e le sue attività politiche ed editoriali, è inevitabile non considerarlo un esponente paradigmatico dell’autodidattismo e in particolare di quello anarchico.

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Zone di tempo liberato

Crescere viene visto come accumulo, rassicurazione, rinuncia, ripetizione. Tutto questo è davvero molto triste. E, soprattutto, questo che chiamano crescere è scandito dall’ossessione del tempo. Così le persone si conformano all’età, e finiscono per essere giocate dalla loro età. Quello che chiamano crescere non è che un biglietto di sola andata per le terre aride della normalizzazione. È allevare un’immensa energia di vita, per poi lasciarla cadere nelle mani sterili di un sistema di esistenza che la soffoca. Molti hanno ben raccontato che questo tempo, questa età, sono essenzialmente trappole psicologiche. Krishnamurti ci ha raccontato che esiste una attività senza tempo. C’è un modo di vivere in cui il tempo, quale movimento da uno stato all’altro, è scomparso. Possedere la consapevolezza è un modo di vita, che è così superiore al tempo e all’età. E poi l’intensità con cui si vive può davvero portare alla luce il ritmo singolare dei nostri neuroni, facendoli scivolare fuori dal meccanismo del tempo. La passione è veramente il semplicissimo antidoto contro l’invecchiamento. Le esperienze più intense e felici, l’espansione più ampia dei sensi e dei sentimenti, ravvivano e rinnovano la struttura molecolare, il sistema nervoso, perfino la pelle. E non è forse vero che tutte le esperienze quin-tessenziali accadono con una sospensione del tempo, ci trasportano al di là del tempo e dell’età? L’estasi, le illuminazioni, tutti gli stati espansi attraversano il tempo e toccano un’essenza superiore. Umore stesso, e lo stesso amore dei corpi, generano lampi di vita dove il tempo svanisce. Usciamo dal tempo seriale, e accarezziamo un tempo biologico e un tempo cosmico. Zone di tempo liberato. Perfino certe esperienze collettive apparentemente legate a una data e a un luogo, il movimento psichedelico, ad esempio, sono accadute come squarci nel tempo storico, svelamenti di mondi paralleli con un loro senso del tempo autonomo ed espanso. È in questi eventi che sciolgono il tempo che gli esseri umani vivono il proprio stato di grazia; dove l’eternità non ha niente a che vedere con il tempo.

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IO DI FRONTE ALLA LEGGE SONO ASOCIALE

Luigi Assandri (1915-2008), il protagonista di questo libro, non è stato un teorico e nemmeno un dirigente politico, ma un semplice operaio anarchico torinese.
Avvicinatosi all’anarchismo nei primi anni del secondo dopoguerra (dopo essersi congedato dalla PS) è per molti anni uno dei più attivi militanti libertari del capoluogo piemontese.
Autodidatta, per mezzo della lettura si forma una vasta cultura sul pensiero e sulla storia dell’anarchismo, diventandone poi un grande divulgatore.
Se è pur vero che tutta la produzione editoriale degli anarchici è sempre dovuta allo sforzo personale di alcuni individui (o di piccoli gruppi di persone) la vicenda di Assandri è di per sé singolare. Completamente da solo (avvalendosi al massimo dell’ausilio della sua compagna, Adele Gaviglio) stampa e distribuisce nel corso della sua esistenza un’enorme mole di materiali di propaganda: bollettini, opuscoli, libri e manifesti. E il tutto servendosi di mezzi poverissimi: ciclostile e fotocopiatrice.
Questo ovviamente, pur essendo già di per sé materia di rilevanza storica, non esaurisce l’interesse riguardo la sua figura. Dopo aver attraversato negli anni della giovinezza i periodi più neri della storia dell’anarchismo, quelli della guerra fredda e dell’isolamento politico, si ritrova dopo il ’68 a stretto contatto con i giovani che allora, sempre più numerosi, si avvicinavano alle idee libertarie, lasciando un’eredità di insegnamenti di ricordi e di affetto che, per chi ha vissuto quella stagione, è doveroso ricordare.
La storia, per gli anarchici, non è fatta né da condottieri né dalle masse amorfe, ma da individui coscienti e determinati, anche se semplici lavoratori. Come è il caso di Assandri.

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