Luigi Assandri, un semplice operaio anarchico torinese

All’epoca, a Torino circolavano moltissime pubblicazioni realizzate per lo più dai gruppi extraparlamentari e dagli studenti. Quelle di Luigi si distinguevano tra tutte, naturalmente per i contenuti, ma soprattutto per lo stile: inconfondibile. I libri (che nessun altro stampava con il ciclostile) avevano la copertina in cartoncino verde o rosso e il dorso ricoperto con un nastro adesivo colorato; gli opuscoli, quasi tutti facsimili di vecchie pubblicazioni, con la copertina, ma più spesso con la quarta di copertina, illustrata da lui. è in quelle pagine e ancor più nei volantini e nei manifesti che produceva, che esprimeva il suo pensiero e l’estro creativo. Chi guardava quell’opuscolo intuiva immediatamente che non c’era nessun approccio intellettualistico in quelle pagine né tanto meno in chi gliele proponeva. Aveva di fronte un ex operaio, con mani dure come sassi, che non aveva alcun timore della discussione, anzi la cercava, e le sue pubblicazioni erano solo un mezzo per arrivarci. In una pagina si poteva trovare la scritta “sevizie mediovali” con a fianco un prete e le sue vittime, una A cerchiata e “autogestione”, un riferimento all’Associazione Internazionale dei Lavoratori e alla rivoluzione spagnola e in piccolo, ma impossibile da non leggere, «chi dice dittatura proletaria, dice carne di stato insaccata». All’interlocutore veniva fornito un menù poliedrico con più di uno spunto di discussione, che infatti avveniva. Spesso accesa, ma sempre corretta. Se si inquadra meglio cosa faceva Luigi, come lo faceva, l’ambito culturale ed etico di riferimento – quello operaio e quello anarchico – e le sue attività politiche ed editoriali, è inevitabile non considerarlo un esponente paradigmatico dell’autodidattismo e in particolare di quello anarchico.

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