Il fumatore di oppio

Il polmone è una sacca di globuli. Ogni globulo si divide in alveoli, in diretta corrispondenza con i bronchi. Un globulo imita l’intero polmone di una rana. La superficie interna, liscia, è tappezzata da una rete di capillari sanguigni. Di modo che il polmone disteso, stirato, ricoprirebbe duecento metri quadrati. Avete letto bene.
Il fumo impregna dunque in un colpo solo centocinquanta metri quadrati di superficie polmonare.
La massa sanguigna polmonare, che ha uno spessore di soli sette millesimi di millimetro, rappresenta un litro di sangue.
Data la velocità della circolazione polmonare si può immaginare la massa di sangue che attraversa l’apparato respiratorio.
Da qui gli effetti istantanei dell’oppio sul fumatore.
Il fumatore sale lentamente come una mongolfiera, lentamente si rigira e lentamente ricade su una morta luna che con la sua debole attrazione gli impedisce di ripartire.
Che si alzi, che parli, che si muova, che sia socievole, che in apparenza viva, gesti, andatura, pelle, sguardi, parola, tutto rifletterà una vita sottomessa e leggi diverse per pallore e peso.
Il viaggio inverso avrà luogo a suo rischio e pericolo. Il fumatore paga in anticipo il riscatto. L’oppio lo lascerà si andare, ma il ritorno è senza incanto.
Una volta tornato sul suo pianeta, ne conserva la nostalgia.
(Jean Cocteau)

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Lo spirito dell’allodola

Da sinistra:Bobby Sands, Francis Hughes, Ray McCreesh, Patsy O’Hara, Joe McDonnell, Martin Hurson, Kevin Lynch, Kieran Doherty, Thomas McElwee, Michael Devine.

L’allodola, soffrendo per la perdita della sua libertà, non cantava più, non aveva più nulla di cui essere felice. L’uomo che aveva commesso questa atrocità, come la chiamava mio nonno, voleva che l’allodola facesse quello che lui desiderava. Voleva che cantasse, che cantasse con tutto il cuore, che esaudisse i suoi desideri, che cambiasse il suo modo di essere per adattarsi ai suoi piaceri.

L’allodola si rifiutò e l’uomo si arrabbiò e divenne violento. Egli cominciò a fare pressioni sull’allodola perché cantasse, ma non raggiunse alcun risultato. Allora fece di più. Coprì la gabbietta con uno straccio nero e le tolse la luce del sole. La fece soffrire di fame e la lasciò marcire in una sudicia gabbia, ma lei ancora rifiutò di sottomettersi.
L’uomo l’ammazzò.
L’allodola, come giustamente diceva mio nonno, aveva uno spirito: lo spirito della libertà e della resistenza.
Voleva essere libera, e morì prima di sottomettersi al tiranno che aveva tentato di cambiarla con la tortura e la prigionia.
Sento di avere qualcosa in comune con quell’allodola e con la sua tortura, la prigionia e alla fine l’assassinio. Lei aveva uno spirito che non si trova comunemente, nemmeno in mezzo a noi umani, cosiddetti esseri superiori.
Prendi un prigioniero comune, il suo scopo principale è di rendere il suo periodo di prigionia il più facile e comodo possibile. Alcuni arrivano ad umiliarsi, strisciare, vendere altri prigionieri, per proteggere se stessi e affrettare la propria scarcerazione. Si conformano ai desideri dei loro carcerieri e, a differenza dell’allodola, cantano quando gli dicono di cantare e saltano quando gli dicono di muoversi.
Sebbene il prigioniero comune abbia perso la libertà, non è preparato ad arrivare alle estreme conseguenze per riconquistarla, né per proteggere la propria umanità. Costui si organizza in vista di un rilascio a breve scadenza. Ma, se incarcerato per un periodo abbastanza lungo, diventa istituzionalizzato, diventa una specie di macchina, incapace di pensare, controllato e dominato dai suoi carcerieri.
Nella storia di mio nonno era questo il destino dell’allodola, ma lei non aveva bisogno di cambiare, né voleva farlo, e morì per questo. Bobby Sands

Bobby Sands, detenuto politico irlandese, lasciato morire in carcere dopo sessantasei giorni di sciopero della fame, il 5 maggio 1981; dopo una settimana, il 12 maggio, è la volta di Francis Hughes. Raimond McCreesh e Patsy O’Hara muoiono il 21 maggio. Tra luglio e agosto del 1981 la stessa sorte toccherà ad altri sei prigionieri.
Questo testo venne, all’epoca dei fatti tradotto, impaginato e diffuso da Horst Fantazzini

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Guy Debord va al cinema

Debord in sala montaggio

Tecnicamente ed esteticamente, le pellicole di Debord sono fra le opere più brillanti e innovative della storia del cinema. Ma, effettivamente, non sono tanto “opere d’arte” quanto provocazioni sovversive. A mio parere sono i più importanti film radicali che siano mai stati fatti, non soltanto perché esprimono la più profonda prospettiva radicale del secolo scorso, ma perché non hanno avuto alcuna seria concorrenza cinematografica. Alcuni film hanno rivelato questo o quell’aspetto della società moderna, ma quelli di Debord sono i soli che presentano una critica coerente di tutto il sistema mondiale. Alcuni cineasti radicali hanno fatto riferimento, a parole, allo straniamento brechtiano, cioè ad incitare gli spettatori a pensare ed agire da sé stessi invece di spingerli all’identificazione passiva nell’eroe o nell’intreccio, ma Debord è praticamente il solo che abbia veramente realizzato quest’obiettivo. A parte alcuni lavori di livello nettamente inferiore e che sono stati influenzati da lui, i suoi film sono i soli che abbiano fatto un uso coerente della tattica situazionista del détournement degli elementi culturali esistenti per nuovi obiettivi sovversivi. Il deturnamento è stato spesso imitato, ma nella maggior parte dei casi soltanto in modo confuso e semicosciente, o per uno scopo puramente umoristico. Non si tratta soltanto di giustapporre a caso degli elementi incongrui, ma piuttosto (1) di creare una nuova unità coerente che (2) critica a sua volta il mondo esistente e la sua relazione con questo mondo.
Le opere di Debord non sono né discorsi filosofici da torre d’avorio, né proteste militanti ed impulsive, ma degli esami implacabilmente lucidi delle tendenze e delle contraddizioni più fondamentali della società in cui viviamo. Ciò vuol dire che si deve rileggerle (o nel caso dei film, rivederli) numerose volte, ma ciò vuol dire anche che rimangono pertinenti come prima, mentre innumerevoli mode radicali o intellettuali sono apparse e scomparse. Come ha notato Debord nei Commentari sulla società dello spettacolo, nei decenni che sono seguiti alla pubblicazione della Società dello spettacolo (1967) lo spettacolo è diventato più pervasivo che mai, al punto di soffocare praticamente ogni coscienza della storia pre-spettacolare e ogni possibilità anti-spettacolare: “il dominio spettacolare è riuscito ad allevare una generazione piegata alle sue leggi.
(Ken Knabb Aprile 2003)

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MoRUS. il museo degli spazi occupati

A New York c’è il Museum of Reclaimed Urban Space — MoRUS, un museo sugli spazi occupati creato in un edificio in cui sono attive altre occupazioni. Lo spazio ripreso è stato trasformato in uno luogo di esposizione d’arte per attivisti, mantenendo i propri marcati elementi originari. A differenza di altri musei, le sue pareti non sono di un bianco ospedaliero, ma un assemblaggio di forme e colori, pareti con mattoni a vista e pilastri pieni di scritte a bomboletta.  .Cartelli su cui si legge “Sostenibilità”, “Patrocinio della bicicletta” e “Risanamento pubblico” conducono allo scantinato pieno d’oggetti e di ritratti di occupanti del quartiere. Il Museo dello spazio urbano conserva la memoria dei movimenti che sono vissuti e, come nel caso di Occupy Wall Street, ancora vivono a New York City. La sua missione è promuovere e sostenere l’attivismo urbano per mezzo d’audio, video e fotografie. Sovente, i direttori del museo e i volontari alimentano discussioni invece di produrre documenti o volantini. Il MoRUS, amano dire, è un tipo di museo diverso: “è una forma proattiva di militanza. Non è un’istituzione.”

Il Novecento ci ha lasciato in eredità il concetto che le opere dell’ingegno umano, ormai trasformate in merce, trovano nei musei la loro tomba, il luogo dove, neutralizzati, sono destinati a pura contemplazione estetica che ne vanifica il messaggio, tanto più se di protesta o di rottura.  Negli musei, della scienza, del cinema, del rock, eccetera, gli oggetti esposti, per il fatto di essere in quel luogo,  si trasformano in altro di quello che erano, diventano ideologia. Che cosa si può sperare di trovare in un museo della tecnologia, se non il luogo di produzione di un valore simbolico  che si vuole vendere, in questo caso l’idea che la tecnologia è una conquista dell’umanità? E in un museo della rivoluzione cubana o delle torture quale merce si va a comprare? E in un museo degli spazi occupati?

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Albert Hofmann & Aldous Huxley

Al congresso di Stoccolma, organizzato nel 1963 dalla World Academy of Arts and sciences (WAAS ), Huxley avanzò la proposta di discutere, in aggiunta e come complemento al tema «Risorse Mondiali», la questione «Risorse Umane», cioè l’esplorazione e lo sfruttamento delle potenzialità nascoste, tuttora inutilizzate, degli esseri umani. Un’umanità spiritualmente più matura, con una più ampia consapevolezza del mistero imperscrutabile dell’esistenza, avrebbe potuto conoscere e rispettare in maggior misura le basi biologiche e materiali della vita sulla terra. Soprattutto per gli occidentali, con la loro razionalità ipertrofica, la crescita e l’espansione di una conoscenza diretta della realtà, non ostruita dal discorso né dai concetti, avrebbe rappresentato un salto evolutivo non indifferente. Huxley riteneva le sostanze psichedeliche validi aiuti per conseguire questo tipo  di educazione. Lo psichiatra Humphry Osmond – inventore del termine psichedelico (lo schiudersi dell’anima) – lo sostenne con una relazione sulle significative potenzialità degli allucinogeni.
Il convegno di Stoccolma fu la mia ultima occasione d’incontro con Aldous Huxley. Il suo aspetto fisico era già segnato da una grave malattia, ma la sua profonda radiosità era rimasta intatta.
Morì il 22 novembre 1963, lo stesso anno e lo stesso giorno in cui fu assassinato il presidente Kennedy. Ricevetti da Laura Huxley una copia della lettera indirizzata a Julian e Juliette Huxley, dove riferiva ai cognati dell’ultimo giorno di suo marito. I medici l’avevano preparata a una fine drammatica, poiché la fase terminale del cancro alle vie respiratorie, di cui soffriva Aldous Huxley, è solitamente accompagnata da convulsioni e attacchi di soffocamento. Malgrado ciò, morì in modo sereno e tranquillo.
La mattina, quando ormai era troppo debole per poter parlare, aveva scritto su un foglio di carta: «LSD – provalo – intramuscolare, 100 mmg». La signora Huxley ne comprese il significato, e trascurando i timori del medico che prestava assistenza, eseguì con le proprie mani l’iniezione desiderata – gli somministrò la medicina moksha. Albert Hofmann

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Memento vivere vs memento mori

Noi non vogliamo più una scuola in cui si impara a sopravvivere disimparando a vivere. La maggior parte degli uomini non sono stati altro che animali spiritualizzati, capaci di promuovere una tecnologia al servizio dei loro interessi predatori ma incapaci di affinare umanamente la vita e raggiungere così la propria specificità di uomo, di donna, di fanciullo. Al termine di una corsa frenetica verso il profitto, i topi in tuta e in giacca e cravatta scoprono che non resta più che una misera porzione del formaggio terrestre che hanno rosicchiato da ogni lato. Dovranno progredire nel deperimento, o operare unamutazione che li renderà umani.
E’ tempo che il memento vivere prenda il posto del memento mori che bollava le conoscenze sotto il  pretesto che niente è mai acquisito.
Ci siamo lasciati troppo a lungo persuadere che non c’era da attendere altro dalla sorte comune che la  decadenza e la morte. É una visione da vegliardi prematuri, da golden boys caduti in senilità precoce perché hanno preferito il denaro all’infanzia. Che questi fantasmi di un presente coniugato al passato cessino di occultare la volontà di vivere che cerca in ciascuno di noi la via della sua sovranità!
Per spezzare l’oppressione, la miseria, lo sfruttamento, non basta più una sovversione avvelenata dai valori morti che essa combatte. É venuta l’ora di scommettere sulla passione incomprimibile di ciò che è vivo, dell’amore, della conoscenza, dell’avventura che chiunque abbia deciso di crearsi secondo la sua “linea di cuore” inaugura ad ogni istante.
La società nuova comincia dove comincia l’apprendistato di una vita onnipresente. Una vita da percepire e da comprendere nel minerale, nel vegetale, nell’animale, regni da cui l’uomo deriva e che porta in sé con tanta incoscienza e disprezzo. Ma anche una vita fondata sulla creatività, non sul lavoro; sull’autenticità, non sull’apparire; sull’esuberanza dei desideri, non sui meccanismi di rimozione e di sfogo. Una vita spogliata della paura, dell’obbligo, del senso di colpa, dello scambio, della dipendenza.
Perché essa coniuga inseparabilmente la coscienza e il godimento di sé e del mondo. Raoul Vaneigem

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Debord: …e se ci avessero fatto costruire 2 o 3 città?

Quelli che amano interrogarsi invano su ciò che la storia avrebbe potuto non essere – del genere: “sarebbe stato meglio per l’umanità che queste persone  non fossero mai esistite” – si porranno assai a lungo un divertente problema: non si sarebbe potuto acquietare i situazionisti, verso il 1960, con qualche riformismo lucidamente recuperatore, dando loro due o tre città da costruire, invece di spingerli agli estremi, costringendoli a scatenare nel mondo la più pericolosa sovversione che si sia mai vista?
Ma altri ribatteranno di certo che le conseguenze sarebbero state le stesse e che, cedendo un po’ ai situazionisti, che già non intendevano accontentarsi di poco, non si sarebbe fatto altro che aumentare le loro pretese e le loro esigenze, e si sarebbe soltanto giunti più rapidamente allo stesso risultato. Guy Debord, 1972

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THE LIVING THEATRE

L’incontro di due artisti, attivisti, pacifisti, Judith Malina e Julian Beck a New York nel 1943, ha dato la nascita all’idea di un teatro che potesse riunirli in una azione comune. Nel 1947 pensano ad un teatro di repertorio d’avanguardia, teatro sperimentale d’opposizione al teatro istituzionalizzato della Broadway. Vogliono un teatro diverso, che sia manifestazione di vita e creano il teatro vivente, The Living Theatre, che ha la sua prima il 15 agosto 1951 dentro l’appartamento dei Beck. Anarchismo, poesia, teatro politico, pacifismo, teatro orientale, automatismo, ricerca del linguaggio, suggerivano dai primi anni le vie che il gruppo poi percorreva. Fino all’apertura del teatro The Living Theatre nella Fourteenth Street, passando dal Cherry Lane Theatre e dal magazzino The Studio (chiusi dalle autorità per motivi irrisori, ragioni secondo loro, di sicurezza), diciannove spettacoli furono rappresentati, di autori come Paul Goodman, Gertrud Stein, Brecht, Lorca, Picasso, Jarry, Eliot, Auden, Strindberg, cocteau, Racine e Pirandello.
Il primo spettacolo fu “Many Loves” di William Carlos Williams, sulle molteplici forme dell’amore; nello stesso anno, “The Connection” di Jack Gelber, sul jazz, le droghe e la liberazione, seguito da “Questa sera si recita a soggetto” di Pirandello, che molto ha significato nello stile del Living, l’identificazione fra vita e teatro. L’influenza del teatro della crudeltà di Antonin Artaud si fa sentire in questo periodo di denuncia della sofferenza umana: il teatro deve ricondurre la cultura alla Vita. Distruggere i muri, allargare il campo della coscienza, accentuare il carattere sacrale della Vita.
La repressione è sempre presente, Judith e Julian furono arrestati una decina di volte fino al 1963. A causa del loro spettacolo “The Brig / La Galera”sulla violenza delle istituzioni americane, il Living Theatre venne perquisito dagli agenti delle imposte con chiusura del teatro. Julian e Judith furono condannati a 60 e 30 giorni di carcere. Alla fine degli anni 60 il Living va in esilio volontario in Europa. Partecipa a Parigi al movimento del 68’, occupando il Teatro Odeon a Parigi e movimentando il Festival del Teatro ad Avignone, per la prima volta il Living parla dell’anarchia e del pacifismo apertamente sul palcoscenico e finisce lo spettacolo dicendo “Il teatro è per le strade”.
Il suo esilio europeo fra il 1964-1968 ha creato ancora di più delle nuove possibilità; internazionalizzando i suoi elementi, ha imparato ad attraversare frontiere, cultura, linguaggio. Ha viaggiato, è diventato nomade, si è trasformato in un collettivo.
Il Living theatre è costituito da un gruppo di persone, provenienti da diversi paesi, che vivono lavorano insieme come collettivo. Intendono usare il loro lavoro, l’arte di fare teatro, come un contributo alla lotta della gente per la libertà di provare la gioia di una vita senza i limiti della violenza economica, politica e sociale.

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Ralph Rumney su Debord

Ralph Rumney è stato tra i fondatori dell’Internazionale situazionista e, come quasi tutti i fondatori del gruppo, espulso da Debord. In un’intervista, alla domanda su quali fossero i rapporti tra Debord e gli altri situazionisti rispose: “C’era un’amicizia assai stretta, eppure questo non ha impedito le espulsioni. I due pittori che io chiamo i predecessori, Dufrene e Wolman furono esclusi in modo brutale. Mi domando se Dufrene si sia mai ñpreso. Mi ricordo di avere incontrato Debord poco dopo a Parigi, e mi disse: «sai ho incontrato Dufrene per strada, gli ho detto “ciao, a partire da oggi non ti livolgerò mai più la parola”. Dufrene, che considerava Debord come il suo migliore amico, c’è rimasto assai male. Wolman che era stato il delegato lettrista mandato in avanscoperta ad Alba per il congresso del ’56 fu escluso subito dopo. Lui anche l’ha presa male, credo per tutta la vita. E’ che non eri soltanto escluso dall’amicizia di Debord, ma anche da un gruppo di amici stretti. lo fui escluso per primo. Ma Debord aveva un’impazienza, lui ha preso una direzione e tutti noi esclusi un’altra, ma abbiamo continuato. Non è certo perché uno è scomunicato che cambia camicia. Sono critico nei confronti di Guy ma lo rispetto moltissimo e lo tengo in altissima stima, e non ho voglia di fare pettegolezzi, ognuno ha i suoi difetti e anche Guy ne aveva. Comunque, senza animosità. Devo dire che progressivamente Debord si è circondato di gente di mediocrità crescente, credo, per non sentirsi minacciato, doveva essere molto meno sicuro di sé di quanto non appaia negli scritti.
Insomma, dispiace dirlo, ma alla fine della sua vita la gente che era attorno a lui io trovo diflicile stimarla. E un po’ crudele questo, ma non voglio togliere niente a quello che ha fatto Debord, che è grandissimo”. Ralph Rumney

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Henry Lefebvre – la città da costruire? “lucidamente” utopica

Ogni progetto di riforma urbanistica mette in discussione le strutture, quelle della società esistente, quelle dei rapporti immediati (individuali) e quotidiani, ma anche quelle che si pretende d’imporre, attraverso le costrizioni e le istituzioni, a ciò che resta della realtà urbana. In sé stessa riformista, la strategia di rinnovamento urbano diventa “forzatamente” rivoluzionario, non per forza di cose, ma contro le cose stabilite. La strategia urbana fondata sulla scienza della città, ha necessità di un supporto sociale e di forze politiche per diventare operante.
Ciò significa che conviene elaborare una serie di proposte:
a) un programma politico di riforma urbanistica, riforma non definita dai quadri e dalle possibilità della società attuale, non assoggettata al “realismo” anche se basata sullo studio della realtà (in altre parole: la riforma così concepita non si limita al riformismo).
b) Progetti urbanistici molto avanzati, comprendenti “modelli” di forme spaziali e di tempi urbani senza preoccuparsi del loro carattere più o meno utopico o realizzabile (cioè a dire lucidamente “utopici”). Non sembra che questi modelli possano risultare né da un semplice studio delle città e dei tipi urbani esistenti, né da una semplice combinazione di elementi. Le forme spaziotemporali saranno – salvo esperienza contraria – inventate e proposte dalla prassi. L’immaginazione deve manifestarsi; non l’immaginario che permette la fuga e l’evasione, che trasporta ideologie, ma l’immaginario che si investe nell’appropriazione (del tempo, dello spazio, della vita fisiologica, del desiderio). Perché non opporre alla città eterna città effimere e centralità mobili ai centri stabili? Tutte le audacie sono permesse. Perché limitare queste proposte alla sola morfologia dello spazio e del tempo? Non è escluso che certe proposte riguardino lo stile di vita, il modo di vivere la città, lo sviluppo dell’urbano su questo piano. In queste due serie di proposte alcune saranno a breve, alcune a medio e a lungo termine, queste ultime costituiranno la strategia urbana propriamente detta. Henry Lefebvre -1968

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