Timothy Leary: Turn on, turne in, drop out

9_timothy-leary-american-psychologist-and-writerAccidenti! La coscienza è energia ricevuta e decodificata dalla struttura. Onde e particelle.
Ci sono altrettanti livelli di coscienza quanti sono i livelli d’energia e le strutture per decodificare.
L’essere umano ha a disposizione altrettanti livelli di coscienza quante sono le strutture anatomiche per decodificare l’energia.
La coscienza è un procedimento chimico. Dapprendimento, la memoria, la sensazione, la percezione… tutti gli aspetti dell’apprendimento sono chimici.
Chimico è il linguaggio della psicologia. Psico-chimici sono gli strumenti della psicologia.
L’uomo non poteva capire il mondo esterno finché non avesse decifrato i messaggi dei diversi livelli della biochimica. Attraverso la comprensione e il controllo delle sostanze chimiche e dei simboli fabbricati dall’uomo, l’uomo ha decifrato e controllato l’energia del seme, della cellula, della molecola, dell’atomo.
L’uomo non può capire e controllare il mondo interno (coscienza) finche non avrà decifrato i diversi livelli chimici del suo corpo.
L’istruzione, in futuro, si dovrà basare sull’us0 consapevole delle sostanze chimiche. Quali sono i libri che leggi è una domanda irrilevante.
Quali sono le molecole che usi per accenderti?
Le sostanze chimiche sono il linguaggio del tuo sistema nervoso e dei tuoi organi di senso.
Le sostanze chimiche sono il linguaggio delle tue cellule.
Le sostanze chimiche sono il linguaggio delle tue molecole.
L’uomo può contare su cinque grandi livelli di coscienza. Per fare buon uso della propria testa, per accendersi saggiamente, bisogna prendere contatto e riconoscere questi livelli.

1. Sonno — stordimento
2. Simbolo
3. Senso
4. Cellula
5. Molecola

Le sostanze chimiche sono le chiavi che aprono questi cinque livelli.
1. Sonno – stordimento: può essere provocato naturalmente dalla fatica indotto per mezzo di stupefacenti: sostanze oppiacee, barbiturici, tranquillanti, alcool. Gli stupefacenti (e tra questi l’alcool) sono tossici per l’organismo, conducono all’assuefazione, e si rivelano, da ultimo, letali.
2. Consapevolezza simbolica: e provocata da sostanze chimiche, quali la serotomina, che drogano la Coscienza. La normale consapevolezza dipende dalle sostanze chimiche. Siete tutti incastrati dai simboli.
3. Consapevolezza sensoriale: è la consapevolezza localizzata negli organi del senso. Questo stato può essere provocato da diversi procedimenti: esercizi di respirazione, esercizi visuali (mandala), suoni, yoga, meditazione. Le droghe che accendono i sensi sono le sostanze psichedeliche di tipo mite: marijuana, piccole dosi di mescalina (100 mg) e l’LSD (25 g)-
4. Consapevolezza cellulare: è provocata da dosi moderate di sostanze chimico-psichedeliche: mescalina (300-500 mg) o LSD (50-150 g).
5. Coscienza molecolare: è provocata da forti dosi di LSD (300-1000 g).

Le sostanze chimiche psicoattive sono strumenti per la modificazione della coscienza:
1. Gli stupefacenti sono come paraocchi… servono per sfuggire alla realtà.
2. I simboli sono “visione normale”.
3. La marijuana si può paragonare alle lenti correttive: acutizza e intensifica la realtà.
4. La mescalina (300-500 mg) è come il microscopio… accende per i messaggi Cellulari.
5. L’LSD (300-1000 g) è come il microscopio elettronico: riduce qualsiasi struttura a una significante danza di particelle balenanti e di onde.
Non accenderti finché non sai quello che stai facendo.

SINTONIZZATI! La tua vita si compie in un oceano di energia le cui maree fluttuano e pulsano intorno a te. Il tuo stato di coscienza determina i livell del’energia esterna di cui sei consapevole. Se sei stordito… sei spento.
Pensa all’alcoolizzato, al tossicomane. Se resti intrappolato al livello simbolico, ti sintonizzi con i simboli che ti circondano. Un mondo di morti robot.
Se ti accendi ai sensi, ti sintonizzi con il gioco delle energie — luce, suono, pressione atmosferica — che continuamente ti lambisce le terminazioni sensoriali. Il mondo è vivo e pulsante.
Se ti accendi all’energia cellulare puoi sintonizzarti con l’antico svolgersi dell’energia seminale… illimitata nelle sue rinnovantesi manifestazioni.
Se ti accendi alle molecole puoi sintonizzarti con le danze fondamentali del1’energia. Vibrazioni.
Allenamento e pratica insegneranno come disporre l’ambiente cosi che tu possa sintonizzarti alla perfezione… far parte dell’unità dell’energia.

RITIRATI! Non riuscirai ad accenderti e a sintonizzarti se continuerai a rimanere schiavo dei simboli. Devi distaccarti dalla pressione di simboli folli. Disintòssicati dal vizio dei simboli!
Tieni una stanza della tua casa sgomberata dai simboli. Pianifica la tua esistenza in modo da distaccarti gradualmente dai simboli e muoverti con fermezza.
Lascia il lavoro, la scuola. Vattene dalla città. Rompi qualsiasi rapporto con gli appartenenti alla specie schiava dei simboli.
Ogni cosa, ogni secondo, ogni persona, ogni movimento ti spinge o
verso lo stordimento, o
verso il simbolo, o
verso la consapevolezza sensoriale, o
verso l’avviluppo cellulare, o
verso la consapevolezza molecolare.

Non esporti per abitudine, ciecamente, ad ambienti che provocano stordimento o Passuefazione ai simboli.

Ritirati.

Timothy Leary. Tam on, tune in, drop out. “East Village Other”, n. 16, 15 luglio – 1 agosto 1966

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Quando il tempo è perduto

Se si considera in tutta la sua estensione la crisi della società contemporanea non credo sia possibile guardare ancora agli svaghi come ad una negazione del quotidiano.
Per il capitalismo classico, il tempo perduto è ciò che è estraneo alla produzione all’accumulazione, al risparmio.
La morale laica, insegnata nelle scuole della borghesia, ha impiantato questa regola di vita.
Il fatto è che il capitalismo moderno, con un’astuzia inaspettata, ha bisogno di aumentare i consumi, di innalzare il livello di vita.
Possiamo dire quindi che questa espressione classica del tempo perduto è rigorosamente priva di senso.
Poiché contemporaneamente, le condizioni della produzione parcellizzata e
cronometrata sin nei particolari sono diventate perfettamente indifendibili, obsolete ed antieconomiche, la morale, già in atto nella pubblicità nella propaganda e, in tutte le forme dello spettacolo dominante, ammette invece apertamente che il tempo perduto è quello del lavoro, giustificato solo dai vari livelli del guadagno, che permette di comprare il riposo, i consumi, gli svaghi, cioè una passività quotidiana fabbricata e controllata dal capitalismo.
Ora se consideriamo l’artificiosità dei bisogni del consumo, creata dal nulla, ed incessantemente stimolata dall’industria moderna, se si riconosce il vuoto degli svaghi e l’impossibilità del riposo, si può porre la domanda in modo più realistico: che cosa non sarebbe tempo perduto? In altre parole: lo sviluppo di una società dell’abbondanza dovrebbe portare all’abbondanza di che cosa?

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ZERZAN: Dove sono la libertà, l’autenticità, la felicità e la comunità?

la-tecnologia-rende-liberi-graficanera-NO-COPYRIGHT-1024x723Un breve testo del 1873, Dell’autorità, fu la sfida di Engels agli anarchici. In sostanza lui dice: “Volete la libertà? Fate un salto in fabbrica e ditemi dov’è il vostro concetto di libertà”. Questo è uno dei primi atti d’accusa contro la fabbrica, la vita industriale. In altri termini, al posto di un mondo sempre più industriale – con sempre più inquinamento e sempre più schiavitù salariale – noi vogliamo un mondo che annulli la crescita cancerogena dell’industria stessa. Il punto centrale della modernità è che, in special modo attraverso l’applicazione della scienza e della tecnologia, la specie umana avanza verso uno stato di perfezione. La traiettoria della modernizzazione è quella di un miglioramento costante. Tutti i problemi sono risolti. Beh, qualcosa è andato terribilmente storto! Terribili costi accompagnano ogni singola cosiddetta soluzione che la società di massa ha prodotto.

Una nuova visione incombe su di noi. La realtà ci sta dicendo ad alta voce che senza un cambiamento sostanziale di direzione le cose non faranno che peggiorare. Dobbiamo riesaminare molto di quel che abbiamo assunto o dato per scontato. A proposito, quali sono alcuni dei vanti della tecnologia? Le opzioni ad alta tecnologia ci potenziano? È chiaro che ne veniamo depotenziati. La tecnologia connette? Siamo isolati, abbiamo sempre meno amici. Si abita sempre più da soli. “Amici” su facebook!? La tecnologia fornisce ricchezza e varietà? Omogenizzazione, la cultura più standardizzata di tutta la storia. Anche le questioni specifiche sono false, ad esempio: meno lavoro grazie alla tecnologia? PIÙ lavoro. Cultura senza carta? Sempre PIÙ carta consumata da tutte le fotocopiatrici e le stampanti dei computer.

E il concetto di “verde”, “sostenibile”? Aria più pulita? Ma a spese di un’acqua sempre più inquinata (per la pulizia delle ciminiere). Solare: pannelli fotovoltaici, una tecnologia molto tossica da produrre. E poi che farne quando non si potranno più usare? Automobili ibride: l’energia e le risorse necessarie alla produzione di un’auto superano quelle di un suo funzionamento “più pulito”. Turbine eoliche? Rumorose, orrende, uccidono gli uccelli e non producono molta energia.

Invece ci capita di sentire l’argomentazione secondo cui tutto sta in come la tecnologia viene usata. Le persone di Sinistra e di Destra insistono che la tecnologia è neutrale, semplicemente uno strumento! Non è affatto politica… bene, io offro alcuni esempi che suggeriscono diversamente. La tecnologia non è mai neutrale, è sempre politica, è l’incarnazione della società. È falso sostenere che la tecnologia sia neutrale. Non lo è mai stata. La tecnologia è l’incarnazione della società, di ogni società in ogni epoca. Nella tecnologia si possono leggere le priorità e i valori che in una società sono dominanti. Gli odierni sistemi tecnici esprimono qualità di efficienza, distanziamento, una certa freddezza, inflessibilità, dipendenza dagli esperti. Qualcosa di umano viene fuori, ma che è stato ridefinito da un ambiente sempre più tecnologico. Comunità? Comunità virtuale. Non ci sono più valori comuni quando la comunità reale è stata erosa fino a quasi scomparire.

Quindi pensiamo che se deve esserci un futuro, questo dovrà essere “primitivo”. Cos’è il primitivo? È compito di ciascuno approfondirlo, riconnettersi letteralmente. Non è affatto un termine peggiorativo. Che dire di un mondo faccia a faccia? Che dire della comunità? Che è stata cancellata. Secondo gli indigeni la civilizzazione è la tomba della comunità. Alcuni pensano che ciò avvenga originariamente e principalmente attraverso due istituzioni sociali: divisione del lavoro/specializzazione, porre le persone sotto l’autorità effettiva di altri, dividere il sé in ruoli, ovvero la società di classe; addomesticamento, che Jared Diamond definisce il “peggiore errore”, e altri lo stanno dicendo in alcuni libri recenti, un cambiamento verso il controllo, il dominio della natura, e noi facciamo parte del processo. Una lenta, impercettibile accumulazione durata migliaia di anni. Nei fatti, l’origine della proprietà privata. Una traiettoria ininterrotta, che ha portato fino alla clonazione, all’ingegneria genetica, alla nanotecnologia.

Il primitivismo è la risposta sul piano spirituale così come a livello sociale o politico. Una vita e un mondo non globalizzati, rilocalizzati, radicalmente decentrati dovrebbero favorire il recupero dell’integrità, dell’immediatezza, del contatto diretto con nostra madre Terra. Questo allontanamento dal mondo industriale sembra francamente inimmaginabile. Ma sappiamo che l’attuale traiettoria è disastrosa. Questo cambiamento ha la capacità di ispirare, di essere una visione di vita, di salute, di comunità.

Appunti di John Zerzan per i dibattiti durante il suo ultimo giro in Italia, settembre 2010.

 

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Il cinema e la sua negazione

La coscienza spettatrice, prigioniera di un universo appiattito, delimitato dallo schermo dello spettacolo, dietro il quale è stata deportata la sua vita, non conosce più se non gli interlocutori fittizi che la intrattengono unilateralmente sulla loro merce e sulla politica della loro merce. Lo spettacolo, in tutta la sua estensione, è il suo «segno dello specchio” (Guy E. Debord)

Quando nel 1952 a Parigi, la prima proiezione di “Urla in favore di Sade” fu un grande successo: il pubblico restò parecchio interdetto. A tal punto da devastare il cinema. Lo anticipiamo: il film consiste in circa un’ora di fondo bianco con un “sottofondo” che consiste in un collage di dialoghi sconnessi (ma non tanto), interrotti da momenti di silenzio e schermo nero, che vanno dai 30 secondi ai 5 minuti fino al black out di 24 minuti che chiude il film. Una delle voci, verso l’inizio del film, annuncia: “Un momento prima dell’inizio della proiezione, Guy-Ernest Debord doveva salire sulla scena per pronunciare qualche parola d’introduzione. Avrebbe detto semplicemente: non c’è film. Il cinema è morto. Non possono esserci più film. Passiamo, se volete, al dibattito”. Se l’intenzione di Debord era quella di creare una reazione nello spettatore passivo, sicuramente c’era riuscito. Ma molti dei dialoghi lasciano intendere anche altro. Al momento della realizzazione del film Debord era fuori uscito dal gruppo dei Lettristi che si riuniva intorno a Isidore Isou, che vedeva come i continuatori di uno spirito di rottura nei confronti della società e dell’arte che era iniziato con Dada ed ha proseguito attraverso parte del Surrealismo e alcuni Futuristi. Deluso dall’approccio eccessivamente “artistico” alla vita e alla critica del sistema di autorità, Debord decide di formare l'”Internazionale Lettrista” insieme a Serge Berna, Jean-Luis Brau e Gil J Wolman (a cui è dedicato “Urla in favore di Sade”). L’obiettivo, quello di portare la poesia della vita, esigendo la bellezza nelle situazioni vissute. Da qui le premesse teoriche e pratiche dell’Internazionale Situazionista: l’appello ad un arte che sia “vissuta”, l’elaborazione della psicogeografia e della sua conseguente pratica, la deriva. Ma soprattutto la teoria e la pratica del détournement, ovvero quello di prendere una situazione (e per situazione intendiamo un evento, un testo, un immagine, una musica… un film) stravolgerla nel suo significante per darle un nuovo senso totalmente opposto.”Non è una negazione dello stile, ma lo stile della negazione” Già questo è uno dei sensi in cui si può interpretare “Urla in favore di Sade”. Per criticare il cinema e l’arte, Debord fa un film che è la negazione di sé stesso: sovverte lo spettacolo e i suoi stili, per comunicare altri messaggi, in maniera più o meno esplicita.
Basta pensare alla frase citata sopra, o altre come “L’ordine regna e non governa”, la lettura di vari articoli di legge o l’enunciazione dei primi “principi” situazionisti (“Le arti future saranno sconvolgimenti di situazioni, o niente”).
Già all’epoca, prima ancora di scrivere il più famoso “La società dello spettacolo”, Debord intendeva criticare il sistema spettacolare che rende passivo chi assiste, condizionando i suoi desideri e la sua esistenza ad ” una guerra dell’oppio permanente per far accettare l’identificazione dei beni alle merci”.

(Volantino distribuito prima della proiezione del film “Urla in favore di Sade” di Guy E. Debord nel novembre 2005 all’Ateneo Libertario di Napoli.)

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Camenisch: sono un prigioniero politico! Sono un prigioniero di guerra!

electricity-pylonSono un prigioniero politico! Sono un prigioniero di guerra! Benché sia anarchico, e quindi non ammetto il potere, non ammetto la politica, devo purtroppo riconoscere che alla politica di potere del capitale occorre contrapporre la conquista del potere da parte del proletariato. La nostra militanza è politica proletaria, resistenza, rivolta alla guerra del capitale contro l’umanità. Questo tribunale rappresenta il capitale, i suoi interessi economici, il suo Stato, la sua politica di potere: è un’arma per la sua guerra. Pertanto non è neutrale, e la sua pretesa di giustizia non solo per le questioni politiche ma a livello globale, non trova un riscontro oggettivo. Non può esservi giustizia finché esiste la proprietà privata e la concentrazione del potere, cioè lo Stato; non vi è uguaglianza finché esiste la proprietà privata e il potere statale. Giustizia e uguaglianza hanno lo stesso significato, ossia parità di diritti e di doveri, il che presuppone uguaglianza delle condizioni economiche, cioè proprietà collettiva, democrazia di base, libera federazione di collettività.
Ove esiste l’uguaglianza, esiste anche la libertà del singolo e della società. La libertà del singolo non è limitata dalla libertà di tutti, come intendono gli individualisti puri, poiché la libertà sociale non può limitare la libertà del singolo, in quanto quest’ultima non può esistere in antagonismo alla libertà sociale. Per contro, l’arbitrio che pretende diritti non fondati sull’unità sociale, non ha nulla a che vedere con la libertà: è solo dispotismo, che si basa sulla non-libertà degli altri; dipende quindi dalla disponibilità degli altri a subire il comando e l’autorità. L’arbitrio spezza l’unità tra società e individuo, creando divisioni innaturali e contrastanti con il principio di libertà.
Una conferma della possibilità di un sistema sociale basato sulla libera federazione delle collettività, ci viene quotidianamente dal regno animale, esaminato mediante gli strumenti dell’etologia. Un’altra conferma c’è data dalle società dei Pellerossa, o dalla nostra stessa storia. Ancora oggi esistono tracce di antiche forme di libertà anche nella struttura sociale svizzera. Esistono ancora modelli di democrazia di base e resti di autonomia. Cooperative, pascoli comuni, alpeggi, tuttavia sempre più ridotti dalla brama di ricchezza individuale e dalla necessità di espansione, soprattutto nel settore agricolo. Con ciò si sottrae al contadino povero la possibilità di sussistenza, il territorio diventa vieppiù proprietà delle banche, e questo a causa di sistemi di lavorazione sempre più onerosi sotto il profilo finanziario.
Chi ha assaporato il gusto della libertà, e chi ha fatto di questa la sua amante, non se la lascerà sottrarre. Combatterà il segno più tangibile della violenza che l’uomo arreca a se stesso e alla natura del nostro tempo: le montagne di immondizie e di veleno che contaminano il territorio e le nostre menti stuprate. Combatterà contro chi produce questa spazzatura e questo veleno. Si accorgerà che l’uomo è libero se lo è la società: che una società libera può essere creata solo da uomini liberi interiormente. L’uomo non può essere servo di qualcuno, ma sa che solo colui che non vuol essere padrone non può essere nemmeno servo. Questo è il nostro destino. Chi ora volesse supporre che per questa dichiarazione, con le sue numerose citazioni, io sia strumento nelle mani di una persona, di un potere o di un’ideologia, si sbaglia. Alla base delle mie convinzioni, delle mie azioni e del mio sistema di vita, stanno le mie esperienze come soggetto di questo sistema. Come studente, bohèmien, operaio, consumatore. Esperienze come individuo agente e cosciente nel rapporto con uomini, donne, gruppi, animali. La mia coscienza è il risultato della contemplazione critica della realtà e della mia persona. Risultato del tentativo costante di analizzare ed eliminare contraddizioni ed errori. Se uso parole di altri, se mi dichiaro di sinistra, è perché v’intravedo il più basso livello di contraddizione fra la mia identità, i miei sentimenti e una vera collettività capace di sopravvivere. Vi riconosco cioè la maggiore ricorrenza di punti concordanti tra la mia personalità e l’ambiente.
Ritengo inutili altre dichiarazioni relative alla mia persona, come trovo inutile dialogare con il tribunale. Con esseri umani sono sempre disposto a parlare, anche se sono giudici, poliziotti o danarosi. Ma la premessa è che si parli da essere umano a essere umano, e non con ingranaggi o vittime di funzioni o cariche, vittime di un clima di intolleranza, di fascismo strisciante, di repressione, di reazione, quali ritengo che siano gli individui allineati qui di fronte a me e che si arrogano il diritto di giudicare. Io non vi odio, ma voi siete i nostri nemici e i nostri boia!  – Dichiarazione al tribunale di Coira, gennaio 1981. Tratto da Rassegnazione è complicità, ed. l’Affranchi, 1992.

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La città e i cittadini

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Nelle città la maggior parte delle persone non riesce a vivere come vuole; l’ambiente urbano, così com’è, non permette che nascano e si sviluppino le loro personalità; è inadatto a soddisfarne i bisogni, organizzato com’è a vantaggio di qualcos’altro. L’attività di ognuno, che sia lavoro, uso del tempo libero, dormire, cucinare, studiare, eccetera, è di norma organizzata in spazi che solo in minima parte possono essere creati, modificati e gestiti da chi li abita. Gli ambienti sono concepiti in modo tale che l’abitare sia funzionale non alla vita di ciascuno, ma agli interessi di persone estranee ad essa. Così la scuola è costruita primariamente per educare alla disciplina, la fabbrica o l’ufficio per creare profitto, i condomini per spezzare la socialità, il cubo in cui viviamo per ammansirci; difficilmente possono essere modificati.
Se si vuole cambiare qualche cosa nella propria casa si deve chiede il permesso a qualche autorità.
Regolamenti edilizi e burocrazie di ogni genere hanno criminalizzato ogni intervento creativo all’esterno, ma anche all’interno delle abitazioni.
Nell’intimo delle mura domestiche la possibilità di gestire lo spazio si limita a poche cose, per lo più intese a isolare all’interno delle quattro mura le persone che ci abitano.
L’unico ambito in cui si ha il permesso di organizzare la propria casa è confinato alla disposizione dei mobili, alla tinteggiatura delle pareti: tutto il resto è precluso, dove si abita e come si abita sono sotto stretto controllo.
Per cambiare tutto ciò, l’individuo deve evolversi, liberarsi dalla delega, diventare cittadino a tutti gli effetti fino a trovare il proprio posto e mettere le radici. Questo cambiamento spetta a coloro che nel territorio vivono, non a coloro che ci investono, e l’unico ambito in cui ciò è possibile è quello offerto dall’autogestione territoriale generalizzata, cioè la gestione del territorio da parte dei suoi abitanti attraverso assemblee comunitarie. La città deve generare un’aria che renda liberi gli abitanti che la respirano.

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Burrouhgs e lo yagé

burroughs-570x300[…] Il tedesco mi fissò un appuntamento per prendere lo Yage con il Brujo locale […] Lo stregone era sui settanta con un viso da lattante. Aveva la gentilezza insidiosa di un drogato dei vecchi tempi. Arrivai ad una capanna di paglia con il pavimento sudicio mentre stava calando la sera. Mi domandò immediatamente se avevo una bottiglia. Tolsi un quarto di aguardiente dal sacco da viaggio e glielo porsi. Si fece una bella bevuta e passò la bottiglia all’assistente. Io non bevvi perché volevo provare il brivido dello Yage allo stato puro. Il Brujo mise la bottiglia da una parte e si accosciò vicino ad un bacile fissato su di un tripode. Dietro al bacile c’era una nicchia di legno con una immagine della Vergine, un crocifisso, un idolo di legno, piume e pacchettini legati con dei nastri. Il Brujo rimase lì seduto senza muoversi per un gran tempo. Bevve un’altra gran sorsata dalla bottiglia. Le donne si ritirareno dietro una parete di bambù e non si fecero più vedere. Il Brujo cominciò a cantilenare sopra il bacile. Afferrai «Yage Pintar» ripetuto in continuazione. Sferzò l’aria sopra al bacile con uno scopettino per spazzar via quegli spiriti maligni che avessero avuto intenzione di infilarsi nello Yage […] Alla fine scopri il bacile e vi pescò dentro circa un’oncia di un liquido nero e me la porse in una sudicia tazzina di plastica rossa. Il liquido era oleoso e fosforescente. Lo bevvi d‘un fiato. Amare avvisaglie della nausea. Gli restitui la tazza e lo stregone e il suo asssitente bevvero anche loro […]. Dopo un paio di minuti un’ondata di vertigine mi travolse e la capanna si mise a girare vorticosamente. Era come partire sotto l’etere, o come quando si è molto ubriachi e ci si sdraia e il letto si mette a girare vorticosamente.
Lampi azzurri mi passarono davanti agli occhi. La capanna prese un aspetto arcaico […]. L’assistente stava fuori in agguato con la palese intenzione di uccidermi.
Venni colto da una nausea violenta, improvvisa e mi slanciai verso la porla andando a sbattere con la spalla contro lo stipite. Sentii Furto ma nessun dolore. Camminavo a stento. Nessuna coordinazione. I piedi erano come blocchi di legno. Vomitai violentemente appoggiandomi contro un albero e caddi al suolo in preda ad una disperata infelicità. Mi sentivo intorpidito come se fossi stato ricoperto da strati di cotone […]. Continuavo a ripetere «Voglio soltanto andarmene via di qui». Una stupidità meccanica incontrollabile si impossessò di me […] devo aver vomitato sei volte […] sentivo vomitare e gemere come se fosse stata un’altra persona [.. Le gambe e le braccia cominciarono a contrarmisi in modo incontrollabile […]. Rientrai nella capanna. I lampi azzurri ancora davanti agli occhi. Mi sdraiai e mi coprii con una coperta. Avevo freddo come con la malaria. Improvvisamente mi sentii molto insonnolito. La mattina dopo stavo benissimo a parte una certa stanchezza ed un leggero residuo di nausea. William Burroughs, Le lettere dello Yage

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BANALITA’ di Ken Knabb

Il “mondo libero” non è libero; il “mondo comunista” non è comunista. Il vecchio movimento proletario non è riuscito a rovesciare la società di classe e si è smarrito nelle varianti riformiste o burocratico-totalitarie del capitalismo classico. Ovunque nel mondo la gente è ancora alienata dalla propria attività (ciò che è obbligata a produrre le si rivolta contro come una potenza estranea) e dunque tutti sono alienati gli uni dagli altri. Lo sviluppo moderno del capitalismo ha generato un nuovo stadio di quest’alienazione: lo spettacolo, nel quale ogni comunicazione tra gli individui è mediata dalle immagini che sono presentate loro, dalle “informazioni” o dalle avventure vissute per procura fino alle lodi encomiastiche delle merci e dei burocrati.
Questo sistema non ha risolto tutte le sue contraddizioni; nel corso degli ultimi due decenni sono apparse, in tutte le regioni del mondo, nuove lotte che mettono in causa diversi aspetti del sistema e che tendono a rifiutare la mediazione burocratica. Il progetto fondamentale implicitamente implicato in queste lotte, è l’abolizione dello Stato e di ogni potere gerarchico, dell’economia mercantile e del lavoro salariato. Le precondizioni tecnologiche per una simile trasformazione esistono già. La forma di organizzazione sociale capace di realizzarla è stata prefigurata dai consigli operai che apparvero durante le rivoluzioni represse nei primi decenni di questo secolo: assemblee generali democratiche degli operai e di tutti gli altri che si riconoscono nel loro progetto, assemblee che dissolvono ogni potere esterno e si federano a livello internazionale, eleggendo delegati incaricati di compiti precisi e che possono essere revocati in qualsiasi momento.
Non si può contribuire a tale rivoluzione facendo ricorso ai metodi manipolatori che riproducono le relazioni gerarchiche dominanti. Il compito dei rivoluzionari è di favorire la coscienza, l’autonomia e la coerenza delle lotte radicali senza diventare una nuova “direzione” che le dominerebbe. Per questa ragione, ed anche perché l’opposizione “costruttiva” tende ad integrarsi nel sistema, le tattiche appropriate sono in grande misura “negative” o critiche: si tratta di attaccare le istituzioni e le ideologie che rafforzano la sottomissione al sistema, e di segnalare le possibilità ed i limiti delle lotte contro di esso, pur lasciando la gente libera di scegliere in che modo rispondere alle situazioni così esposte.
Si tratta di fronteggiare il mondo reale nel quale viviamo; di legare teoria e pratica in un’attività sperimentale, per resistere alla tendenza della teoria a pietrificarsi in ideologia. Tutto ciò che aveva qualche valore nell’arte o nella religione può essere realizzato soltanto superandole come sfere distinte, mettendo in gioco la creatività e la ricerca della realizzazione sul terreno della vita quotidiana. “In una società che ha soppresso ogni avventura, la sola avventura possibile resta la soppressione di questa società.”
UFFICIO DEI SEGRETI PUBBLICI Aprile 1979

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CERNOBLUES: Dalla servitù volontaria alla necessità della servitù

Roger Belbeoch

Roger Belbeoch

La menzogna politica non ha niente di nuovo, ma la prospettiva di catastrofi nucleari le ha fornito una nuova dimensione (la chimica sta per colmare il suo ritardo e l’accoppiata chimica-nucleare non fa parte del mondo della finzione). Non sono più i politici ad essere i grandi bugiardi, del resto le loro menzogne non hanno alcuna importanza, ci si è fatta l’abitudine. Con il nucleare i “cittadini” sono diventati molto più esigenti e ormai sono degli esperti di ogni tipo che hanno preso il testimone e li stordiscono di menzogne: medici, scienziati, associazioni, sindacati, ecc. Le menzogne dei sostenitori del nucleare hanno dovuto affinarsi per diventare più credibili in modo da star dietro alle domande sempre più approfondite dei cittadini. La gestione di una catastrofe nucleare esige il mantenimento dell’ordine (viene formalmente indicato nelle introduzioni dei prospetti sulla gestione nucleare). Questa esigenza non è solo quella dei politici, di qualunque tipo siano state le loro promesse elettorali, essa è una necessità per poter minimizzare gli effetti biologici della catastrofe. In caso di disastro nucleare il “cittadino” è incapace di gestire il suo quotidiano, deve mettersi nelle mani degli “esperti”. Anche se questi non hanno alcun elemento per garantire una gestione “migliore”, sempre meglio delle possibili reazioni violente da parte dei “cittadini” perché la loro violenza potrebbe costargli caro, non tanto in termini di repressione poliziesca quanto in termini sanitari.
Attualmente la menzogna nucleare ha qualcosa di paradossale. La sua credibilità è stata innalzata a livelli molto alti e perciò, se i “cittadini” sono sempre più esigenti, non è per conoscere la verità ma per far sì che queste menzogne credibili evitino loro problemi di coscienza irrisolvibili. Infatti questi potrebbero provocare evidentemente delle “turbolenze sociali” pre-accidentali difficili da gestire sia per gli amministratori della società sia per i cittadini.
Esiste dunque una congiunzione assai curiosa tra la necessità dei gestori di mentire e la necessità dei “cittadini” che queste menzogne siano credibili. Numerosi esperti hanno capito questo problema e intervengono presso i dinosauri nucleari per affidare le menzogne a persone “competenti”, ma questo non è facile.
Fino ad oggi le menzogne e la dittatura degli esperti venivano accettate “volontariamente” bilanciando in modo incosciente i vantaggi (non per tutti) e gli inconvenienti. Adesso questa servitù nei confronti degli esperti è diventata una necessità per la migliore sopravvivenza delle “catastrofi”, qualunque esse siano. Si è passati dalla servitù volontaria alla necessità della servitù. Roger Belbéoch, introduzione a Tchernoblues. De la servitude volontaire à la nécessité de la servitude.

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Storia del popocatepel di Antonin Artaud

artaud37Quando penso uomo, penso.
Patata, popò, papà, cacca, tetta,
e alla l del piccolo alito che esce fuori per rianimare ciò.
Patata, necessità del vaso di essere, che può essere avrà la sua portata.
E dopo patata, cacca, soffio del wc fatemi il piacere delle segrete necessità.
L’uomo che è internato e si può interrare quando non lo si è incenerito nel fonte battesimale dell’essere.
Perché battezzare è cuocere un essere contro la sua propria volontà.
Nudo per nascere e nudo per morire, l’uomo che si è cotto, strangolato, impiccato, graticolato e battezzato, fucilato e incarcerato, affamato e ghigliottinato sul PATIBOLO dell’esistenza,
“bum”,
quell’uomo mangia tre volte nella giornata.
Quando potrà mangiare in pace?
Voglio dire senza vampiro larvato tra le fessure della dentiera.
Perché chi mangia senza dio e tutto solo
?
Perché un piatto di semplici lenti è molto meglio dei Veda, Purana, Brahma Putra, Upanishad, Ramayana, i Kama Rupa o il TaraKyan per raggiungere il fagotto (strumento musicale) remoto delle tenebre della camera bassa in cui l’uomo attore rutta cannoni masticando la lente oculare dell’occhio sul piatto della propria sofferenza, – o abbaia imprecazioni quando le sue fibre si sfasciano sotto il bisturi.
Quando dico:
Merda, peto della mia verga,
(con tono imprecatorio, quel peto, eruttando sotto i colpi di stivale della polizia),
quando dico orrori della vita, solitudine di tutta la mia vita,
cacca, segreta, veleno, genia di morte,
scorbuto di sete,
peste d’urgenza,
dio risponde sull’Himalaya:
Dialettica della scienza,
aritmetica del tuo usufrutto, esistenza, dolore, osso raspato dello scheletro del vivere contro AZILUTH,
al quale,
io,
io dico ZUT.

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