10 100 1000 NUVOLE RADIOATTIVE

Il midollo osseo, l’epitelio intestinale, le gonadi, i linfociti e la cute riportano il maggior danno dopo l’irradiazione dell’intero corpo.
L’irradiazione alle gonadi, a seconda dell’intensità, può produrre effetti differenti che, comunque, sfociano prevalentemente nella sterilità. Nelle donne mediamente sono sufficienti dosi di 300-600 rad sull’intero volume di entrambe le ovaie per ucciderne buona parte e produrre sterilità definitiva occorrono dosi di circa 400-600 rad.
L’induzione di tumori da radiazioni è un effetto differito, perché i tumori si manifestano dopo un lungo intervallo di tempo dall’irradiazione. Il meccanismo della carcinogenesi radioattiva è ancora sconosciuto.
Attualmente le teorie più valide sono due. La prima ipotizza che le radiazioni attivano un virus cancerogeno latente, la seconda ipotizza che le radiazioni provochino direttamente mutazioni nel DNA con potenzialità carcinogena. Non si hanno prove che per l’induzione di tumori ci siano dosi di soglia, in alcuni casi le dosi più elevate sono meno efficaci delle dosi modeste per provocare l’insorgenza dei tumori. La leucemia è forse la neoplasia umana di cui è meglio documentata la relazione con l’irradiazione in base alla rilevazione di dati effettuati a carico di numerosi gruppi di persone. I sopravvissuti all’esplosione di Hiroshima mostrano un’aumentata incidenza delle leucemie in confronto ad una equivalente popolazione non esposta (1.500.000 contro 300.000).
Altri esempi di tumori umani radio indotti sono riscontrabili nei bambini delle isole Marshall del Pacifico; essi furono esposti al fall-out radioattivo conseguente ad una esplosione sperimentale atomica avvenuta nel 1954. Un mutamento del vento, mai prima avvenuto, portò polvere radioattiva sopra le isole: lo iodio 131, radioattivo, provocò tumori alla tiroide nel 50% dei bambini attorno ai dieci anni di età. Tumori delle ossa comparvero in molte donne che dipingevano le cifre luminose sui quadranti degli orologi (avevano l’abitudine di leccare la punta dei loro pennelli e di ingerire in tal modo sostanze radioattive, che si depositarono sulle loro ossa).
Perché difendiamo con ostinazione questo mondo che non ci appartiene invece di partecipare anche noi a questa festa!?!? Non abbiamo alcun motivo di preoccuparci o agitarci come fanno i vari Regan, Craxi o Degan. Loro hanno qualcosa … anzi, molto da difendere: gloria, potere, proprietà, denaro ecc.
Noi non abbiamo nulla da perdere, siamo soli, con i nostri passi striscianti e trasgressivi sperduti in questa città di merda, con in testa ogni giorno un solo obbiettivo: la sopravvivenza. L’unica soluzione per diventare una volta tanto protagonisti e trasformarsi geneticamente, mutare, per partecipare attivamente a questa distruzione molecolare. Non preoccupiamoci di cibi radioattivi, degli ortaggi a foglia larga, del latte fresco, dell’acqua piovana (mai visto fragole così buone e così a poco prezzo come in questo periodo).
Liberiamo gli atomi imprigionati nei lager nucleari di Caorso, Trino e Latina per una società finalmente senza servi né padroni. Scoperchiamo i rifugi antiatomici dei ricchi in piazza Crimea. Noi siamo vaccinati, perché noi siamo portatori di virus; forse il non futuro si può realizzare davvero, non cantandolo solamente ma costruendolo radiazione su radiazione.
SOFFRIRE MENO MORIRE TUTTI
C.A.P.I.R. Collettivo Anarchico Per l’Inferno Radioattivo
(Tratto da AVARIA numero quattro Torino 1986)

 

 

 

 

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Tom Robbins. Non raccomando l’amanita muscaria come divertimento

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Non raccomando l’Amanita muscaria come divertimento. Se qualcuno volesse provare l’esplosione micologica, potrei suggerirgli una delle numerose varietà di Psilocybe come esempi più tranquilli, sicuri, dotati di una maggiore capacità di introspezione. (…) D’altra canto, mi rendo canto che molti di voi signore e signori, potrebbero tranquillamente tracannare sudore freddo di cobra se solo sospettaste che questa possa ‘“farvi” per cui, fatemi un piacere, se e quando avrete a che fare con l’amanita, state attenti. Potreste per sbaglio raccogliere le Amanita Pantherina, che le somiglia molto, eccetto che per il colore, che spazia dal giallo accesa al beige. In questa caso potreste stare seriamente male. La Pantherina contiene lo stesso “veleno” della muscaria, salo in dosi più massicce. A voi drogati fradici assicuro che non avrete nessuna voglia di aumentare la dose: ciò che questo può significare è un lungo periodo di incoscienza, forti spasmi muscolari e un mal di testa assassino, un mal di testa da un mondo al di là dell’aspirina. Vi sconsiglio altresì dal consumarlo in situazioni sociali in cui potreste avere dei diverbi; una qualsiasi offesa reale o immaginaria potrebbe farvi venir vaglia di devastare il vicinato. La cosa più intelligente è quella di assumere piccole quantità di fungo (a di sorseggiarne il succo) ad intervalli di mezz ‘ora, dato che è impossibile determinarne il dosaggio esatto. Geneticamente, l’amanita muscaria è straordinariamente complessa e nessun altro affare che cresce (ad eccezione di qualche rara orchidea) è così sensibile alle condizioni ambientali, di conseguenza, esistano ampie variazioni nella chimica dell’amanita. L’ammontare dei “veleno” può variare dl molto da posta a posto, da stagione a stagione, persino da fungo a fungo. (Tom Robbins: Il fungo magico, 1978).

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Alexander Trocchi e il Sigma Project

Alexander Trocchi, a Parigi elaborò al fianco di Guy Debord e Jacqueline de Jong le tesi rivoluzionarie e i primi manifesti di quella che sarebbe presto diventata l’Internazionale Situazionista. Nelle riunioni semiclandestine sulla riva sinistra della Senna veniva predisposta la technique du coupe du monde, una presa non cruenta del potere planetario attraverso la lenta infiltrazione nei mezzi di produzione culturale di massa. Per anni ancora, ben oltre la plausibilità dei suoi piani, Trocchi portò in dibattiti e pubblicazioni sui due continenti il suo Sigma Project, quella che sul numero della rivista dell’Internazionale Situazionista uscito nel gennaio 1963 lui prospettava come l’insurrezione invisibile di un milione di menti. “Il colpo di stato mondiale deve essere culturale nel più vasto senso del termine. Con i suoi mille tecnici, Trotsky occupò i viadotti e i ponti e gli snodi telefonici e le centrali elettriche. La polizia, vittima delle convenzioni, contribuì alla sua brillante impresa montando la guardia ai vecchi chiusi nel Cremlino. Loro stessi non avevano avuto la necessaria elasticità mentale per cogliere che la loro presenza nelle tradizionali sedi del governo era irrilevante. La Storia li aveva aggirati. Trotsky aveva le stazioni ferroviarie e le centrali elettriche, e all’atto pratico il “governo” veniva chiuso fuori dalla Storia da parte delle sue stesse guardie. Così l’insurrezione culturale deve impossessarsi delle reti della comunicazione e delle centrali della mente”. Per la presa dei mezzi di produzione culturali i tecnici silenziosi avrebbero dovuto essere un milione, e il nome del progetto, il sigma simbolo algebrico della somma, voleva forse contenere anche l’enorme forza dell’unione.
La rivoluzione culturale si sarebbe contemporaneamente impadronita delle università, ne avrebbe ridisegnato la funzione e i metodi. “Le burocrazie delle università si mescolano con la burocrazia di stato, vi si specchiano in piccolo. […] Le università sono divenute fabbriche per la produzione di funzionari qualificati. Il sistema competitivo incoraggia le tattiche diligenti, ben oliate, quelle più plausibili. È certamente una sofferenza e forse perfino un pericolo per uno studente interessarsi profondamente alla sua materia, o dovrà sempre essere pronto a dimostrare le sue competenze; gli studenti nelle nostre università sono talmente occupati a esercitarsi nell’apparenza che si incontra raramente qualcuno che si preoccupi della realtà. L’intero sistema è un esiziale anacronismo. […] L’Università Spontanea – un luogo dove inventare efficaci moduli comportamentali, dove gli allievi possano imparare come dovremo essere se dovremo essere e fare insieme. […] La secessione unanime delle menti più vitali è la sola risposta. Il basilare cambiamento di condotta descritto finora deve accadere. STA ACCADENDO. Il nostro problema è rendere gli uomini consci di questo fatto, e ispirarli a partecipare. L’uomo deve prendere il controllo del suo futuro: solo così potrà mai sperare di ereditare la Terra”.
In una lettera da Parigi datata 21 settembre 1957, quando da oltre un anno Trocchi viveva negli Stati Uniti, Guy Debord lo saluta così: “Comunque, qui ci divertiamo. Conto sempre su di te per due o tre piccole rivoluzioni in cantiere. A presto”.

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Zisly: alle origini dell’anarco-primitivismo. Stato naturale e stato primitivo

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Negli ultimi anni , ci sono dei libertari anti-scientisti, cioè Naturiens , persone che vogliono far capire che si può vivere molto bene della natura stessa, se ci si limita allo stretto necessario imposto a tutti: cibo, vestiario, alloggio, affetti,  attività. Dobbiamo abbandonare la Civiltà, il sistema stupido della scienza, della chimica, dell’ artificiale, del lusso, dei e dee moderne, per vivere una vita semplice, la vita dei nostri antenati, che non avremmo mai dovuto abbandonare, per combattere la vita surriscaldata, la vita al vapore, che i civilizzati conducono a loro danno! Si deve anche abbandonare il macchinismo anti-artistico e stupido, perché non c’è  bisogno di quello per vivere bene , in modo bello, sano, libertario! L’obiettivo è semplificare la vita, non complicarla. Poiché i  Naturiens sono stati spesso accusati di voler tornare allo stato primitivo, cioè indietro, quando al contrario vogliono un ritorno allo stato naturale, vogliamo chiarire, oggi, questo punto, perché c’è una sfumatura. Consentitemi di riprodurre le righe che seguono , estratte dal giornale Le Naturien ( n ° 3 , maggio 1898 ), perché io non saprei dirlo meglio:
Qual è la differenza tra il ritorno alla natura e allo stato primitivo?
Dobbiamo prima intenderci sulla parola: ritorno alla Natura. A nostro avviso, il ritorno alla natura è in primo luogo il ripristino dello stato naturale della Terra, vale a dire, la libera vegetazione della flora autoctona, che regola il regime climatico e dell’acqua, e garantisce il riparo e l’alimentazione della fauna selvatica.
Rimandiamo il lettore che desidera conoscere questi temi ai trattati di botanica e zoologia dei diversi paesi.
Si vedrà che in proporzione al numero massimo di popolazione la Terra può, in queste circostanze, dare da mangiare a tutti, in modo vario, abbondante, speciale e particolare per ogni stagione.
Quello che intendiamo per “Stato di natura della Terra”, è quindi il territorio con le sue condizioni topografiche rispettate, con i suoi dislivelli e le sue depressioni, con i suoi corsi d’acqua non controllati o incanalati, con i suoi laghi, perfino con le paludi, la cui utilità va oltre la cecità dei nostri interessi civilizzati; lo stato naturale, è il bosco protettivo con innumerevoli piccoli impianti che alimentano le diverse categorie di animali; è lo stato naturale dell’uomo, è il libero possesso della terra e dei suoi prodotti, piante, animali e minerali, di tutto ciò che è in superficie; stiamo parlando degli stessi minerali che possono essere raccolti nel sottosuolo e sufficienti per i suoi reali bisogni. Per  l’essere umano, lo stato naturale è, dopo il soddisfacimento dei bisogni fisici, il libero esercizio delle sue facoltà intellettuali, ma sia ben chiaro: il libero esercizio vale a dire che egli farà tale cosa, o svolgerà tale funzione sulla base di ciò che suggeriscono i suoi bisogni o la sua fantasia, ma seguendo l’orientamento del sistema sensoriale che lo guiderà nella ricerca delle sensazioni. Sarà allora che l’uomo  sempre desideroso  di sperimentare  sensazioni piacevoli,  istintivamente eviterà tutto ciò che potrebbe offendere, piegare e alterare il suo corpo, ed essendo dotato di senso di ingegnosità, è certo che si impegnerà nella realizzazione di cose artificiali, ma solo quelle che non danneggeranno la sua  salute, pur dandogli una buona soddisfazione, se non superiore quanto meno uguale alla quantità di sforzo fornito; in una parola bisognerà che esso trovi quello che potrebbe essere chiamato lo scambio tra le sue facoltà e i suoi desideri, un beneficio reale e ampi benefici compensativi degli sforzi fatti.
Ecco quindi ciò che intendiamo per stato naturale della terra e stato naturale dell’uomo: lo stato perpetuo, lo stato normale, primordiale.
Tenendo conto delle condizioni stabilite da queste fasi di formazione, lo stato primitivo era anche lo stato naturale, ma poiché l’inevitabile legge del moto implica la trasformazione, è impossibile confondere lo stato naturale successivo con lo stato naturale originario.
Per essere più precisi, diciamo che nel periodo terziario la Terra era coperta da una vegetazione speciale che formava un suolo un po’ molle, e un’atmosfera umida e calda. Certamente era  la terra allo stato naturale, ma era lo stato naturale originario.
Quando più tardi nel periodo quaternario il suolo, con esplosioni sotterranee, vide trasformare la sua configurazione in altitudini e depressioni, la vegetazione crebbe secondo  l’altitudine e la latitudine, si stabilì una flora nuova, così come cambiò il regno animale: era sempre stato di natura, che per noi è da considerarsi preliminare e primitivo, ma è successivo rispetto al periodo terziario.
Se parliamo di uomo, dobbiamo anche considerare che, nel rispetto della legge del moto, come qualsiasi altro prodotto della natura, ha subito trasformazioni diverse e felici fino a quando si è trovato nello stato di natura;  anche a causa di queste trasformazioni, non è possibile rivendicare lo stato primitivo dell’uomo,  ma certo  le condizioni naturali che gli consentano, come per lo stato primitivo, di seguire lo sviluppo normale così felicemente iniziato; gli assicurino con la la forza e la salute, lo sviluppo fisico che ha subito un arresto e addirittura un calo durante i periodi chiamati Civiltà. Ma  per convincersene, occorre respingere la favola della miseria naturale e abbandonare la convinzione che la produzione artificiale, vale a dire la Civiltà, ha levato l’uomo da una situazione deplorevole per porlo in un altra molto più favorevole. Basterebbe un esame, un semplice esame per constatare la ricchezza della produzione naturale, e allora apparirebbe l’inutilità della produzione artificiale con il suo corollario di incidenti e  malattie”.
Io penso sia abbastanza chiaro. Spero che dopo questa lettura  ciascuno potra avere un’idea più precisa delle grandi linee della teoria naturienne tanto derisa – oh amarezza – anche da parte dei cosiddetti spiriti avanzati. Henri Zisly (Le Flambeau n°1, 1901)

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LSD una atomica nel cervello

LSD inferno per pochi dollari o Una atomica nel cervello è il primo film psichedelico italiano e uno dei primi a puntare sugli acidi per catturare un po’ di pubblico. Lo dirige sotto falso nome, Massimo Mida Puccini classe 1917. La storia punta decisamente sul bondiano di serie Z, con l’agente segreto Rex Miller (Guy Madison), che si introduce in una banda di spacciatori di LSD che hanno intenzione di dominare il mondo con la droga. Il capo dell’organizzazione segreta criminaloide, la ECCO è un certo Mister X. Ma il loro chimico, una donna, Francesca, è in realtà un agente infiltrato.
Le cose migliori sono i numeri dei drogatoni dei bei tempi, anche se sono tutti di una certa età e non giovani hippies e le seguenze con l’agente Rex in preda ai deliri, proprio con l’atomica nel cervello come lanciava il titolo. Infatti, Il film si fa involontariamente comico quando deve rappresentare gli effetti dell’LSD. C’è per esempio un filmino propedeutico mostrato a Miller, sulle sperimentazioni della droga sui Marines. Nel filmino vediamo prima i Marines marciare ben intruppati, e dopo una decina di secondi saltare a destra e sinistra, piangere, ballare, pregare in quella che è davvero una scena di delirio collettivo. Stesso discorso quando ci viene mostrata la visuale soggettiva di chi ha assunto LSD. Immagini tremanti e fotogrammi sovrapposti, chi è sotto LSD vede il viso del suo interlocutore trasformarsi e diventare simile alle maschere africane o ai dipinti di Modigliani. Effetto ricavato dalla stessa tecnica dei fotogrammi sovrapposti usata per la prima volta da Fritz Lang nel 1922 nel suo Dottor Mabuse. Colori psichedelici soprattutto rosso, gesti epilettici, trasformazione delle persone in mostri, cagnolini e guerrieri mongoli e voli dalle finestre, occhi dilatati, risa isteriche, rigidità muscolare e pulsioni sessuali.
A concludere il tutto Nicola Di Bari, in veste psichedelica, che canta Un fiore rosso. Il fiore rosso ci rimanda all’immagine che vede Rex quando osserva la faccia di Francesca sotto acido. Lei, invece, lo vede come una tigre.
Per una parte della critica è uno dei film più psicotronici e allucinanti che si siano mai visti anche se la sceneggiatura sembra un formaggio svizzero tanti sono i buchi, ma quel che è chiaro è che il messaggio, per niente indiretto, della pellicola è che l’ LSD fa male, non lo devi prendere guai a te. Anche se il film in generale scatena la voglia opposta.
L’ultima chicca invece della solita scritta finale: “The End” abbiamo: “FINE ALLA LSD”

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”Mi chiamo Kuvar, sono sballato, sono felice, sempre mangerò i funghi“

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L’azione allucinogena dell’Amanita muscaria e delle altre amanite psicoattive è legata al consumo del fungo crudo, sia fresco che essiccato; al riguardo Roger Heim riferisce di una doppia prova d’ingestione d’Amanita muscaria: in seguito alla prima ingestione del fungo crudo, l’autore ebbe allucinazioni in bianco e nero, caratterizzate dal raddoppiamento delle montagne vicine; l’ingestione del fungo cotto invece gli provocò soltanto una leggera intossicazione gastrointestinale, manifestatasi il giorno dopo l’ingestione. La dose riportata dalla maggior parte dei cronisti in Siberia sembra essere di 3 o 4 cappelle, ma alcuni individui particolarmente robusti o allenati sono stati visti consumarne anche 10.
“Gli effetti del veleno divennero evidenti quanto gli uomini consumarono il quarto fungo. I loro occhi presero un’espressione feroce (non uno sguardo acquoso come quello degli ubriachi), con un vero e proprio scintillio, e le loro mani incominciarono a tremare nervosamente. I loro movimenti si fecero bruschi e maldestri, come se avessero perso il controllo degli arti. Entrambi erano ancora coscienti. Dopo pochi minuti li colpì una profonda letargia, ed essi iniziarono a cantare in modo lento e monotono improvvisando canzoni il cui significato era approssimativamente: «mi chiamo Kuvar, sono sballato, sono felice, sempre mangerò i funghi». Le canzoni si fecero via via più vivaci e forti, interrotte a volte da parole urlate in fretta… e la parte superiore del corpo prese a muoversi sempre più violentemente. Questa condizione durò circa dieci minuti. Improvvisamente i due si alzarono dai loro posti e chiesero ad alta voce e nervosamente dei tamburi… Le donne portarono due tamburi e li porsero ai due intossicati. E così iniziò un’incredibile danza con canti, un forsennato tambureggiamento e una furiosa corsa attorno al campo, durante la quale i due uomini disseminavano qua e là ogni cosa a portata di mano, finché non furono completamente esausti. Di colpo crollarono come morti e sprofondarono in un pesante sonno- mentre dormivano dalle loro bocche colava saliva e il loro polso si fece più lento.
E’ questo sonno che procura i più grandi piaceri – gli intossicati hanno i sogni più fantastici. Questi sogni sono molto sensuali e si vede ogni cosa che si desidera vedere.” (Enderli, 1903)

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New Babylon di Constant Nieuwenhuys

New Babylon, modello di città in divenire, adatto ad una popolazione nomade sempre disposta al cambiamento, senza legami con vecchi modelli sociali che si rifanno alle “ormai obsolete ideologie della proprietà privata e della sedentarietà”. Gli accampamenti dei nomadi e i parchi gioco sono i suoi modelli ideali. Il tentativo di Constant è quello di riportare l’architettura e l’urbanistica nelle mani dei suoi proprietari, gli abitanti, che saranno così liberi di scegliere e modificare in qualsiasi momento, in base ai loro bisogni e desideri, il proprio habitat.
La sua New Babylon è immaginata temporanea, mutevole, ipertecnologica, ludica, nomade, la creazione delle situazioni è spontanea e naturale, il desiderio ed il suo soddisfacimento la fanno da padroni.
Constant, inizia ad ideare una città per una nuova era dell’umanità, in cui tutto il tempo libero, unito ad una visione della vita assolutamente nomade, senza occupazione fissa del suolo, senza appropriazione fissa dei mezzi di produzione, deve essere utilizzato solamente per creare quegli oggetti e quegli strumenti in grado di sostenere la libertà creativa del nuovo homo ludens.
La prima immagine di New Babylon esce nel 1957 su Potlacth, rivista dell’Internazionale Lettrista.
La città appare, ad un osservatore che la percorre, come sospesa sulla propria testa, non vi trova né strade, né marciapiedi, non essendoci una vera e propria città, ma uno spazio senza confini o, comunque, dai confini instabili, sempre mutevoli in base ai desideri alle esigenze che si manifestano.
Se si cerca di trovare dei punti di riferimento che possano chiarire una sua comprensione, in base ai canoni classici di città comuni a tutti, è tempo sprecato, non si troverà un centro urbano, dove sono collocate tutte le attività terziarie, o governative che siano, non si troveranno delle enormi periferie con caserme-dormitorio, né enormi strade per un continuo andirivieni casa-lavoro, lavoro-casa, per il semplice fatto che nella società di New Babylon non c’è lavoro, è stato eliminato, tutta la produzione è stata automatizzata. L’intera città è creata solamente per il soddisfacimento dei veri bisogni dell’uomo, quelli che la società del benessere capitalista borghese tende a nascondere. New Babylon è la città per una società del desiderio dove l’uomo dedica tutta la giornata alle attività creative.
Non si troveranno cartelli stradali che ci indicano direzioni, non essendoci direzioni da percorrere, ma una semplice erranza da attuare in una esplorazione continua di tutto lo spazio creato, presente e futuro.

 

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Camenisch: Sono un pastore, contadino e cacciatore delle Alpi retiche

marco-bannerSono un pastore, contadino e cacciatore delle Alpi retiche, residuo di un genocidio consumato dallo stesso nemico che, nel corso dei secoli, ha distrutto quasi del tutto la mia terra. Nelle vesti delle multinazionali dell’atomo e dello sfruttamento idroelettrico, turistico, del militarismo e dei suoi poligoni, con l’inquinamento radioattivo, chimico, da carburazione industriale e metropolitana, sopranazionale e via aerea, l’ipersfruttamento boschivo e agricolo, è responsabile storico della rapina della mia identità etnica, della mia terra e del mio lavoro”.
“È nella presa di coscienza del mio essere sfruttato, schiavo ed espropriato che sono semplicemente andato fino in fondo nel tentativo della mia liberazione e nel tentativo di contribuire con tutto me stesso alla liberazione e difesa della terra che ha ospitato e nutrito i miei avi e me. Sono stato catturato dal nemico e mi sono liberato; sono stato cacciato dalla mia terra, da cacciato sono diventato cacciatore, preda e nomade, ospite di molte terre e genti. La mia solidale coscienza globale, coscienza della globalità del nemico e della sua guerra di sfruttamento e sterminio totale, non poteva che dirmi che la lotta contro di lui è dovere per e su qualsiasi terra che mi ospita. Solo così riaffermo, comunque e ovunque, la mia quotidiana e umana dignità, responsabile, solidale e comune, con le mie sorelle e fratelli di ogni razza e lingua, oppresse e oppressi, sfruttate e sfruttati; solo così affermo la solidarietà con coloro che lottano, in qualsiasi modo lottino; solo così affermo la mia responsabilità, l’amore naturale e scontato per i nostri figli e per tutti i viventi di questo meraviglioso pianeta”.
“Anni orsono affermai che chi comprende il modo di procedere del capitalismo, e comprende che le sue esigenze sono totali, che sa o vuole rendersi conto che con questo sistema le previsioni per il futuro sono nulle, e non vuole essere costretto a essere insieme complice, schiavo e vittima di questa delirante dittatura consumfascista, deve per forza opporsi, combatterla con tutte le sue capacità, con tutta se stessa, con tutto se stesso. Dissi anche che si tratta di lotta per la sopravvivenza nuda e cruda, non più, da anni ormai, concepibile e necessaria solo per la salvaguardia delle libertà, della dignità, della terra e perciò del pane individuale o di classe o di gruppo sia esso etnico, ideale o altro. Non si tratta più di poter concepire, e lottare contro, sfruttamento, guerra di rapina, schiavitù, massacro, in un tal circoscritto. No, ormai si tratta della sopravvivenza di tutto il pianeta. Non si tratta di una crisi ecologica, ma degli ultimi attimi prima della fine di una demenziale e criminale corsa verso l’annientamento totale”.
“Il motore e la causa di questa corsa è lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo e sulla natura. È una storia millenaria di cosiddetto progresso e di cosiddetta civiltà, cresciuta come un cancro, con crescenti orrori di violenza e guerre per il dominio e tra domini, sfociata ora nella dittatura planetaria dei padroni della morte e dei loro capitali, delle loro multinazionali e dei loro Stati. Di fronte a queste evidenze non è certo vero che sia io il criminale, non è vero che sia io pericolosissimo per la società, non è vero che sia io l’ecoterrorista, ma tutto ciò vale drammaticamente per lo Stato e i suoi padroni, servi e apparati vari. Non ho bisogno di ricorrere alla menzogna, denigrazione massmediatico-poliziesca e scientifica, ai loro tribunali e carceri di annientamento per provarlo. Lo sappiamo, lo vediamo, lo respiriamo, lo beviamo, lo mangiamo e lo viviamo, se ancora di vivere si può parlare, tutte le viventi e tutti i viventi di questo pianeta, in ogni luogo, nell’acqua, sulla terra e nel cielo”.
“Non mi rimane perciò che rivendicare la giustezza e la pressante necessità di lotta di ribellione anche violenta e totale contro la violenza dei padroni dell’annientamento, la lotta che per dare a noi e ai nostri figli qualche speranza non può che essere socialmente, culturalmente ed ecologicamente radicale e rivoluzionaria. Ed è una lotta che deve partire dal quotidiano, contro le nostre mille complicità ideali e reali con il dominio diffuso del consumfascismo”.
“È partendo da noi che è necessario e pressante opporsi e organizzarsi. È necessario e pressante contribuire, individualmente o aggregandosi, alla neutralizzazione del consumfascismo, delle sue metropoli, fabbriche, galere, prodotti, infrastrutture, mezzi di comunicazione, psuedo-scienza, delle sue forme sociali, familiari e sessuali di rapportarsi e le conseguenti autorità dei governi nazionali e mondiali. È col pensiero globale e solidale, con l’azione diretta locale e immediata, che dobbiamo riaffermare l’autodeterminazione, il nostro potere sul nostro lavoro e sui nostri consumi, sul nostro corpo, mente e salute, sul nostro interagire sociale e con il territorio, la terra che ci ospita e nutre, che è dei nostri figli e dei figli dei nostri figli”.
“Le accuse che mi vengono mosse qui, mi possono solo onorare. Non ho certamente sparato alla Croce Rossa, né intascato tangenti, né sfruttato qualcuno, né fatto stragi di persone inermi, né torturato, nemmeno violentato donne e bambini… Rassegnazione e paura è complicità! Contro la rassegnazione, pensare l’impensabile! Contro la paura, imparare il coraggio!” – Dichiarazione sul processo di Massa, giugno 1992. Tratto da Rassegnazione è complicità, ed. l’Affranchi, 1992.

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Miguel Amoros: come lupi affamati

tumblr_m5cx7qj4n71rv5bk6o1_400Il TAV, e le infrastrutture in generale, è uno strumento della riorganizzazione del territorio in favore degli agglomerati urbani, la forma spaziale idonea allo sviluppo capitalista. Dunque è un mezzo al servizio dell’espansione urbana illimitata, ovvero al servizio dell’urbanizzazione generalizzata. È un’esigenza della mondializzazione economica, una richiesta dei mercati globali. Facilita la penetrazione delle multinazionali negli Stati e contribuisce a trasformare in multinazionali le imprese e i monopoli statali. Di conseguenza l’opposizione al TAV è una lotta contro il capitalismo globalizzatore. Ma non solo su scala europea. Il TAV è anche un’ingiunzione dei dirigenti politici ed economici nazionali e rappresentanti delle autonomie: il capitalismo con nomi e cognomi di casa. Per questo motivo l’opposizione al TAV è in primo luogo una lotta contro la mafia politico-imprenditoriale nazionale. È l’espressione più chiara della lotta di classe moderna e bisogna tenerlo bene in mente quando si passa all’azione. Richiamare il Parlamento Europeo, la Commissione europea o i governi francese, spagnolo e italiano a riflettere sul presente e sul futuro delle reti trans-europee, come ha fatto la Dichiarazione di Hendaye nel gennaio del 2010, è completamente privo di senso.

La proliferazione delle infrastrutture è la prova della guerra totale che il capitalismo si è visto obbligato a muovere contro il territorio e la sua popolazione, i cui avamposti sono rappresentati dalle lobby partitiche e dai gruppi di pressione mediatici, finanziari e imprenditoriali. Sono l’espressione più autentica del nemico implacabile, la personificazione dello sviluppo predatore. Non si arrendono né concedono tregua e rappresentano una minaccia permanente. Non hanno radici.Muovendosi come lupi affamati i dirigenti si sono letteralmente dati alla macchia, o meglio, ci hanno mandato le loro macchine movimento terra e i bulldozer, scortate dalle forze dell’ordine, facendo di tutto per annientare territori che non hanno mai conosciuto né apprezzato. Il risultato è sotto gli occhi di tutti. Miguel Amoros

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L’informazione e la sua negazione

La realtà è quella che si decide che sia, non quella che è.

Noi ci atteniamo alle forme morali e condizionali della libertà, mentre chi ha il potere di determinare la natura delle categorie di interpretazione del reale giunge sino alla forma incondizionale, parodistica, parossistica, di liberazione dell’immagine, di liberazione attraverso l’immagine. Non si vede perché l’immagine, una volta liberata, non dovrebbe avere il diritto di mentire. E’ anzi probabilmente questa una delle sue funzioni vitali, ed è ingenuo pensare che si è liberata a profitto della verità.
L’immagine, e con essa l’informazione, non è legata ad alcun principio di verità o di realtà.
Il vero problema delle società attuali, allora non sono più la sovrapposizione di beni, ma l’eccesso di produzione di informazioni nel sociale, che rovescia paradossalmente “la società dell’informazione in una società afasica”, sempre più incapace di parlare.
Il flusso incessantemente in crescita delle informazioni nel sociale instaura quindi il dominio di una forma circolatoria pura, votata radicalmente alla circolazione forzata e sempre più ravvicinata delle informazioni.
La comunicazione non si basa necessariamente sull’informazione, ma costituisce una dimensione a sé; è il puro collegamento, il contatto, tutte quelle forme di combinatoria relazionale che non hanno bisogno di messaggio. L’essenziale è essere collegati, anche se non si ha nulla da “dire”.
Nell’informazione e nella comunicazione, il valore del messaggio è quello della sua circolazione pura, del fatto stesso che esso passa da immagine a immagine, da schermo a schermo.
L’informazione invece di fare comunicare si esaurisce nella messa in scena della comunicazione. Si gioca a parlarsi, a sentirsi, a comunicare, si gioca con i meccanismi più sottili di messa in scena della comunicazione.

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