Il DMT è ampiamente diffuso in piante, funghi e animali, uomo compreso. Per l’uomo, il DMT endogeno potrebbe agire come neurotrasmettitore e ansiolitico, mediare i processi della percezione sensoriale, produrre l’attività onirica e i fenomeni ipnagogici, agire a livello di processi cellulari specifici e avere un’azione adattativo-protettiva in processi biologici, oltre a essere correlabile a fenomeni quali la genesi delle malattie mentali e la morte ed essere coinvolto nel nostro processo evolutivo. Le piante e i preparati contenenti DMT trovano uso in contesti tradizionali, mentre in contesti non-tradizionali per la sostanza si può parlare di uso magico, religioso, psiconautico-enteogenico, ludico-ricreazionale, psicofarmacologico e psicoterapeutico. La fenomenologia del DMT comprende essenzialmente l’accesso a realtà alternative ed a realtà multidimensionali (iperspazio), l’effetto dissociante, le esperienze fuori dal corpo (OBE), le esperienze prossime alla morte (NDE) e l’incontro con entità, alieni e UFO. Ma soprattutto, l’esperienza con il DMT ha profonde implicazioni su ciò che si intende per realtà, ponendo la domanda se il mondo in cui la sostanza ci proietta rappresenti una realtà autonoma come quella esperita nello stato di coscienza ordinario. Gli effetti visivi del DMT sono fonte di ispirazione artistica, sia nell’ambito dell’arte amerinda tradizionale che di quello dell’arte psichedelica moderna. L’uso di psichedelici in generale avrebbe permesso la nascita di intuizioni che hanno portato a importanti sviluppi in campo scientifico e tecnologico. Attualmente, esiste ciò che si può definire una “mitologia del DMT”, che si esprime attraverso forti connotati simbolici e di autoidentificazione tra gli utilizzatori. Essa si esprime soprattutto negli aspetti fenomenologici più caratteristici della sostanza e in un lessico specifico.
Toro G., 2017, “DMT. Usi, fenomenologia e ipotesi”, Avvicinamenti, Pinerolo (Autoproduzione). pag. 540, euro 15.
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