New York, 1953. Bill Lee (Peter Weller) stermina scarafaggi per mestiere, ma la moglie Joan usa il suo insetticida per drogarsi. Il dottor Benway, al quale chiede un parere, gli dà una polvere che dovrebbe liberare Joan dalla sua dipendenza. In realtà, si tratta di un allucinogeno che porterà i due ad un rapporto con la realtà del tutto alterato. Bill uccide – con ogni probabilità involontariamente – la moglie e fugge da New York nella enigmatica Interzona, dove perde del tutto il senso dello spazio e del tempo. Adopera una macchina per scrivere che gli parla e che gli rivela di essere un agente segreto incaricato di dargli una missione: scoprire gli agenti nemici che vivono nella stessa città. Conosce i Frost, una coppia di scrittori americani, di cui lei è la sosia della moglie morta. Incitato dai due, scopre la città, caratterizzata dai misteriosi Mugwump, mostri che convivono tranquillamente con gli uomini, e incontra un ragazzo del luogo, Kiki, di cui diventa amante. Tra i tanti personaggi, che hanno sempre qualcosa da nascondere o da cui fuggire, circola anche l’effeminato Cloquet che farà l’amore con Kiki. Quando tenterà di fuggire dalla claustrofobica Interzona insieme a Joan Frost, Bill verrà fermato al confine dove sarà costretto a ripetere l’omicidio della moglie.
Liberamente composto ed ispirato a particolari fasi della vita dell’autore William S. Burroughs (quando davvero cioè faceva lo sterminatore, quando uccise la moglie e quando gli amici Ginsberg\Martin e Kerouak\Hank cercavano di farlo pubblicare) e ad alcuni suoi romanzi e racconti quali “Il pasto nudo” e “Interzona” (e “Queer” e “Sterminatore”), il decimo film del canadese Cronenberg può essere assimilato solo con la stessa visionarietà ed eccentricità ermetica che ha contraddistinto la fonte d’ispirazione. Il regista Canadese infatti, attinge soprattutto dalla (bio)bibliografia più difficile ed ambigua dell’autore, considerata da molti addirittura illeggibile ed antiletteraria. Quello che Burroughs ha compiuto nella droga è stato un vero viaggio letterario che lo ha trasformato in insetto, la mutazione che Cronenberg non poteva non avvertire nell’impatto con suoi testi più rappresentativi. Ed in questa mutazione William Lee ci si immerge completamente, vivendola, ripudiandola, assuefacendosi. Ma a che cosa si va man mano assuefacendo Bill? Che cosa rappresenta veramente la polvere nera del millepiedi, la carne nera? È la carne stessa del tossico, Bill si assuefa alla sua condizione di tossico, “la Carne Nera è come un formaggio guasto, irresistibilmente delizioso e nauseante al punto che chi la divora mangia e vomita e mangia di nuovo finché non crolla esausto”.
Omosessualità, uso della droga e comportamento artistico riaffiorano continuamente nella vicenda. Il Il pasto nudo è un inferno fatto di dolore, solitudine, alienazione e, soprattutto, dipendenza.
Il regista canadese non parla delle visioni che può avere un drogato, ma si immerge in esse, disorientando e infine collegandosi all’origine proprio negli ultimi minuti del film, formando un discorso completo e raffinatissimo.
Il film amplifica la denuncia metaforica della società americana come mondo repressivo e violento, dove diversità e solitudine sono insieme la colpa e la pena.
Un film che potrebbe benissimo essere una metafora dell’operato della CIA, e di tutte le organizzazioni segrete che con le loro oscure manovre stanno catapultando il mondo verso il nuovo ordine mondiale.
Truman Capote considerava Burroughs un dattilografo dotato di forbici e carta: un esploratore di ritagli e di sovrapposizioni, potremmo dire, seguace del principio di cut-up di cui Naked Lunch era il primo grande esemplare in letteratura. Niente di più vicino al cinema, e al cinema di Cronenberg, a quella attitudine cioè di creare linee di associazioni tanto più autentiche quanto più invisibili o così frequentemente rimosse dall’essere umano. Far coincidere il racconto di un’allucinazione con un processo di dilatazione dalla coscienza.
“Ho usato droghe in molte forme: morfina, eroina, deludi, eukodal, pantopon, diocodid, diosane, opium, demerol, dolophine, palfium. Ho fumato droghe, le ho mangiate, le ho annusate, le ho iniettate in vena-pelle-muscolo, le ho assunte in supposte rettali. L’ago non è importante. Che voi le annusiate, le fumiate, le mangiate oppure ve le ficchiate su in culo il risultato è lo stesso: l’abitudine”. (William S. Burroughs)