Vi sono due modi per combattere la malattia. Quello del medico, ma per efficace che sia, non cessa di inquietare l’argomento secondo il quale la medicina deve la sua esistenza e i suoi profitti proprio alla malattia. L’altro, meno spettacolare e tutto sommato poco praticato, consiste nell’esercizio, per ciascuno di una volontà di vivere che, sotto la sua unica responsabilità, lo tutela dall’entrare troppo facilmente nei morbosi intrichi della buona e della cattiva salute.
Niente di ciò che opprime il vivente è tollerabile – l’integralismo, il razzismo, il nazionalismo, l’assoggettamento della donna, l’abbrutimento degli uomini, i regimi dittatoriali, le relazioni di disprezzo, l’omicidio, lo stupro, l’inquinamento, il massacro della fauna e della flora, il maltrattamento dei bambini, la tortura, la prigione, l’incitamento alla paura e al senso di colpa. Ma se la vita ha bisogno delle vostre leggi per difendersi, evidentemente è perché non avete mai intrapreso di renderla offensiva.
Voi applicate l’amputazione, mentre non esiste una chirurgia dei trapianti e vi appellate alla chirurgia penale, benché la propagazione del vivente sia la sola arma assoluta che distrugge al passaggio il partito della morte.
Bisognerebbe, è vero, cominciare a non amputarvi di voi stessi, pugnalati dal quotidiano. Imparare il piacere di essere se stessi.
La vostra compagnia mi è stata più gradevole che in passato. Non mancherò all’occasione di farvi visita. Un consiglio amichevole al momento di lasciarvi: prima di chiedere il mio aiuto, riflettete, anche se sento già i miei compagni esclamare: “È successo quello che di peggio sarebbe potuto succedergli ai bei tempi della sua potenza: è diventato umano”.
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