Un grosso interrogativo incombe: come farà a rifiutare il nucleare una società formata da individui che volenti o nolenti stanno ingurgitando veleni e tranquillanti, inquinando, depredando e violentando a ogni tappa delle loro esistenze quel complesso e armonioso sistema che la nostra lingua definisce natura; da uomini e donne allevati nella disciplina del consumo di merci e spettacoli, in formicai urbani sempre più grandi, spinti da sistemi di telecomunicazione perversi a vivere nel deserto virtuale disertando l’attività comune, repressi e depressi nel loro istinto di libertà, nel non potere più godere della possibilità di muoversi in un territorio familiare, benevolo e a disposizione di ognuno?
Quella atomica, bio-nano-tecnologica, cibernetica e digitale, è ormai la società della manipolazione della vita intera. Totalitaria, non ammette un altrove né alterità ma solo varianti superficiali di sé stessa e funziona nell’unico senso della produzione mercantile: le poche ipotesi alternative (come le cosiddette energie rinnovabili) non riguardano scelte di individui e comunità libere bensì prodotti di consumo circoscritti nel sistema del capitale. Tanto il nucleare quanto il sistema tecnico che lo precede e lo sostiene non lasciano più spiragli né possibilità di scelta e tra breve probabilmente non si saprà nemmeno che cosa sia una candela.
Con o senza nuove centrali, dunque, il nucleare è già qui tra noi. Impedirne la proliferazione nelle sue molteplici forme è comunque necessario, doveroso, non rimandabile.
Per riuscire nell’intento, bisogna iniziare praticare l’autogestione, la gratuità e l’azione diretta: non solo scontrandosi con le forze dell’ordine che necessariamente proteggeranno gli interessi dello Stato e dell’economia, ma provando a gestire le proprie vite e i territori che si abitano senza filtri istituzionali, senza gerarchie di esperti e senza che nessuno, seppur animato dalle migliori intenzioni, dica che cosa e come bisogna fare.
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