CHAPPAQUA

Il protagonista arriva in una città. Si chiama Russel. Viene portato via in macchina da un autista. E’ una continua allucinazione. Entra in una clinica per disintossicarsi. Gli viene fatta una iniezione, poi scappa. Russel va a finire in una bara durante una cerimonia in cui i fedeli entrano in trance. Ma lui si risveglia nella clinica. Parla con uno psicologo. Dice che vuole andare a Chappaqua. Si vede la festa di paese di Chappaqua. Lui è un bambino. Si vedono danze indiane. Belle visioni. Il peyote. Cominciò tutto con quello per Russel. Il peyote gli ha dato fantastiche visioni. Inca e una donna bellissima. Un cervo. Allucinazioni. Allucinazioni di Russel. Le allucinazioni diventano un incubo. Russel diventa Dracula. Si ritorna nella clinica. Russel scappa e va a Parigi. Entra in un bar. Beve. Russel è sempre più ubriaco. Ogni tanto compare William Burroughs. E poi di nuovo musica e danza indiana. Strade dell’India sporche e povere. A Parigi è ubriaco. Entra in un locale jazz. Continua a bere e a ballare. Si ritrova in clinica dove balla con un’infermiera. Ritorna nel locale jazz. Le immagini continuano ad alternarsi velocemente. Passa dall’India dove impara la meditazione. Si ritrova su un cammello e va a fumare hashish insieme a dei santoni. Assiste ad una danza sfrenata di una bellissima donna. Compare una roulette dove lui gioca con altri giocatori. I giocatori si passano una siringa e si iniettano una droga. Ritorna la donna bellissima che ora fa l’amore con Russel. Tutto questo sempre intervallato dal locale jazz e dalla clinica. Fischio di un treno. Russel cade a terra morto, Santoni indiani, Russel che balla con una donna in un bosco. Infine fugge con un elicottero gridando “Addio!”
Chappaqua di Conrad Rooks è riuscito a diventare manifesto del pensiero beat e splendido documento di un’epoca, al di là degli evidenti meriti tecnici. Il film è semi-autobiografico: Rooks mette in scena con allucinata sincerità la sua vita interpretando il protagonista Russel Harwick, un ricco ubriacone strafatto che va in una clinica privata per disintossicarsi da alcol e allucinogeni. L’intera pellicola è un susseguirsi di deliri visionari, il viaggio di un tossicomane in crisi di astinenza dentro se stesso, i suoi timori, i suoi sogni e i suoi ricordi, dove lo spazio e il tempo non esistono più e la realtà si piega alle sue emozioni e ai suoi desideri. Harwick/Rooks, e con lui tanti altri, in quei primi anni ’60, vorrebbe solo raggiungere uno stato di serenità mentale, di un equilibrio tra il suo essere e la società che lo circonda e influenza, una sensazione, un luogo ideale che identifica nel paesino di Chappaqua.
Il film è un viaggio anzi una summa di viaggi, anzi un inseguirsi di viaggi nel viaggio. Nello spazio e nel tempo, nella droga e per uscire dalla droga, nella storia e nella Storia, nella realtà e nell’irrealtà. Dalla culla alla bara, da Stonehenge agli Indiani d’America e non, dalle metropoli industriali ai sobborghi del terzo mondo. Nelle religioni e nelle religiosità, nei riti e nei rituali. Ed anche un viaggio nella storia della musica e del cinema.
I mezzi di viaggio sono di volta in volta in un crescendo vorticoso l’alcool, l’LSD e il Peyote.

 

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