Noi intenderemo qui, per “autoproduzione”, ogni attività che degli individui, o dei gruppi, rinunciando volontariamente a ricorrere alle possibilità esistenti sul mercato, scelgano di svolgere con forze proprie per fruirne essi stessi, da soli o insieme con altri, ma sempre in uno spirito di gratuità e senza chiedere contraccambio alcuno.
Autoproduzione tradizionale e diffusissima è quella che si svolge ai margini delle metropoli negli orti abusivi. Chi vive a Torino, ne può vedere qualcuno davanti a El Paso, lungo la ferrovia, e i raccordi autostradali. Ma anche attività più complesse e meno alimentari, come i giornali, i cd, le fanzine, i manifesti, i volantini, sviluppati in proprio, con propri strumenti, magari assemblati senza passare per la cassa di alcun negozio. Affini all’autoproduzione sono il riciclaggio e l’autocostruzione, appunto, di strumenti informatici, elettronici, meccanici, di mobili, abiti, giocattoli, le mille soluzioni creative alla complessità delle esigenze e alla banalità delle soluzioni offerte dal bazar delle merci e delle bugie.
Si tratta di un fenomeno che, a mano a mano che il capitalismo convertiva in merce ogni possibile attività umana, è divenuto sempre meno funzionale agli equilibri sociali e perciò sempre meno accettato, con la conseguenza di essere crescentemente sospinto ai margini e anche oltre i margini della legge. Si pensi a tutte le regole igieniche e sanitarie, chiaramente concepite per definire igienico il veleno industriale e antigienico l’orto individuale; si pensi alle regole sul copyright, che praticamente considerano illegale tutto ciò che non nasce e muore in forma di merce; si pensi alle normative sulla sicurezza, che presuppongono la fabbrica come luogo “naturale” della produzione. Si impiantano orti su terreni demaniali non più utilizzati, si autocostruisce su aree spesso abbandonate e occupate abusivamente, ecc.
L’autoproduzione, comunque la si guardi, non riesce proprio ad essere legale: prima ancora che a causa dell’ostilità aperta dell’industria (che vi intuisce una concorrenza inafferrabile) e dello stato (che vi scorge un’evasione totale dal meccanismo fiscale), a causa della sua indefinibilità. È una materia su cui è impossibile legiferare validamente: è un terreno in cui, per definizione, ciascuno fa quel che gli pare.
L’autoproduzione è perciò, diciamolo pure, costitutivamente anarchica.
NAUTILUS – 2009
Ti potrebbe anche interessare: Il testo completo: Autoproduzione