Internazionale Situazionista. Lo strano nome dei nichilisti che vogliono trasformare il mondo.

Nel 1966 , per la prima volta La Stampa, all’epoca più che mai giornale della FIAT, informa i propri lettori dell’esistenza dell’Internazionale situazionista. L’articolo appare sulla versione pomeridiana del giornale su cui,  precedentemente, era apparso qualche accenno all ‘IS, ma sempre connesso alle attività artistiche di Pinot Gallizio.

0112_02_1966_0271_0003_5586112Senza che nessuno se lo aspettasse, nemmeno i diretti interessati, una lista dallo strano nome di “Internazionale situazionista” ha trionfato nelle elezioni per gli organismi rappresentativi nell’Università di Strasburgo. Come suo primo gesto dopo la conquista del piccolo parlamento studentesco, l’Internazionale situazionista ha annunciato che entro quindici giorni scioglierà l’attuale organizzazione universitaria, dando così una immediata prova della serietà dei suoi propositi rivoluzionari. L’Internazionale situazionista ha un programma estremamente nichilista: essa vuole “trasformare il mondo e cambiare il modo di vivere degli uomini. Sciogliere la società presente ed accedere al regno della libertà. Godere senza ostacoli, fare della rivoluzione proletaria una festa”. Appena ottenuta la strepitosa maggioranza all’Università di Strasburgo essa ha stampato e diffuso in diecimila copie un opuscolo in cui la società contemporanea viene definita “più che decadente“, l’università è considerata “l’organizzazione istituzionale dell’ignoranza“, i professori sono descritti  come “poveri cretini“, gli studenti sono tali “che non meritano che ci si occupi di loro“; per quanto riguarda i movimenti politici, il leninismo è giudicato “il nemico“, la rivoluzione cinese “ è pietrificata nel burocraticismo “; la Chiesa, infine, viene accusata dei peggiori mali che angustiano gli uomini. Questo sfogo irrazionale potrebbe sembrare assolutamente risibile ed essere considerato alla stregua di un qualunque manifesto futurista e surrealista, del passato, se il fatto che, con questi programmi, l’Internazionale situazlonista ha raccolto la maggioranza dei consensi all’Università di Strasburgo, non facesse pensare (e temere) qualcosa di peggio e di più grave. Le organizzazioni rivali hanno fatto subito notare che il successo degli internazional-situazionisti a Strasburgo è stato favorito dall’assenteismo della massa studentesca, che non si è recata a votare (come del resto capita dappertutto):, ma proprio questo può voler dire ohe ancora una volta la massa amorfa rischia di consegnarsi per ignavia, debolezza, incertezza dei propri ideali, nelle mani di una minoranza aggressiva e ben certa almeno di quello che non vuole più. Cli effetti potrebbero essere pericolosi: nell’opuscolo diffuso dagli internazional-situazionisti si legge che lo studente povero ha tutto il diritto di prendersi i libri dello studente ricco, e questi non ha nessun diritto di protestare. Le autorità accademiche si sono allarmate, si sono riunite, hanno deciso di prendere provvedimenti disciplinari contro i responsabili degli insulti ai professori e dell’incitamento al furto. Ma serviranno a qualcosa? Da anni ormai la scuola, in ogni Paese‚ si trova a dover fronteggiare un problema di grandi proporzioni, contro cui non sembra sufficientemente armata: il problema tante volte discusso dei giovani arrabbiati. E’ escluso che soluzioni superficiali possano servire allo scopo di ridurre questa ribellione alle normali manifestazioni di impazienza e di idealismo esasperato della gioventù di ogni tempo. Infatti‚ beatniks, arrabbiati, capelloni, in qualunque modo si chiamino, stanno confusamente elaborando una loro vera e propria filosofia della vita, un sistema dunque destinato a sopravvivere agli anni giovanili e a trasformarsi in un atteggiamento a suo modo razionale nei confronti della società e dell’esistenza individuale. Questo atteggiamento è di rivolta continua, una specie di trotzkismo morale, e la sua arma più tagliente è la provocazione. Qualunque occasione è buona per  provocare.(…) Giuseppe del Colle – La Stampa 28/11/1966

ti potrebbe anche interessare:

varistudqui il testo completo

Pubblicato in Internazionale Sitazionista | Contrassegnato , | Commenti disabilitati su Internazionale Situazionista. Lo strano nome dei nichilisti che vogliono trasformare il mondo.

Locoismo II

reindeer1Un caso noto da tempo di animali dediti all’uso di una droga psicoattiva riguarda le renne della Siberia, che si cibano del fungo allucinogeno Amanita muscaria (agarico muscario). Si tratta del fungo allucinogeno per eccellenza, il bel fungo delle fiabe dal cappello rosso cosparso di chiazze bianche. Le origini del suo utilizzo umano come inebriante si perde nella notte dei tempi e i dati archeologici ed etnografici hanno dimostrato la difuisione di questa pratica in Asia, Europa e nelle Americhe.
Questo fungo cresce sotto certi tipi di alberi, in particolare conifere e betulle. Durante l’estate siberiana, le renne si cibano fra l’altro di un insieme di funghi, ma il fungo preferito è l’agarico muscario che cresce nelle foreste di betulle. Esse vanno letteralmente a caccia di questo vistoso fungo e lo cercano proprio per lo stato di ebbrezza che procura loro. Dopo averlo mangiato, corrono di qua e di la senza un apparente scopo, fanno rumore, contorcono la testa e si isolano dal branco. Il più piccolo morso di agarico muscario induce nelle renne un vistoso stato di ebbrezza, caratterizzato dalla contorsione della testa, che è una delle manifestazioni più difuise fra gli animali che si trovano in uno stato di ebbrezza.
È noto che negli uomini che si cibano di questo fungo la loro urina diventa anch’essa allucinogena. Fra le popolazioni siberiane v’era il costume di bere l’urina di chi si inebriava col fungo per conseguire un’ebbrezza ulteriore, a quanto si dice più potente di quella ottenuta con il fungo. Anche le renne “vanno matte” per l’urina di altre renne o degli uomini che si sono cibati dell’agarico muscario. Anzi, le popolazioni siberiane avrebbero scoperto le proprietà inebrianti dell’urina osservando il comportamento delle renne. Ogni qualvolta le renne percepiscono l’odore dell’urina nelle vicinanze, si precipitano su di essa, ingaggiando fra di loro delle battaglie per ottenere i primi posti attorno alla “pioggia dorata”.
Anche gli scoiattoli e i tamia striati vanno alla ricerca e si inebriano con questo fungo, allo stesso modo  molto probabilmente, come si vedrà più avanti  delle mosche.
Altri grandi ricercatori dell’ebbrezza fungina sono i caribù del Canada. Durante le loro migrazioni questi animali si muovono in una lunga fila indiana. Quando la colonia passa vicino a un gruppo di Amanita muscaria, le femmine adulte se ne cibano avidamente. Nel giro di una-due ore questi caribù abbandonano la colonia e corrono agitando i loro posteriori in maniera goffa e contorcendo la testa. questo comportamento ha un certo costo per il branco, poiché così facendo le madri lasciano incustoditi i piccoli, che rimangono di frequente vittime dei lupi. Anche le madri inebriate che restano isolate dalla colonia sono a volte vittime dei lupi. Giorgio Samorini

Ti potrebbe anche interessare:

torocop

 

 

Pubblicato in Stati di coscienza modificati | Contrassegnato , , , , | Commenti disabilitati su Locoismo II

ROCK’ N’ ROLL ACIDO

Gli effetti del LSD erano stati notati per la prima volta nel 1943, ma l’allucinogeno raggiunse un’immensa popolarità negli anni Sessanta grazie soprattutto agli sforzi di proselitismo di due ricercatori dell’università di Harvard, Timothy Leary e Richard Alpert. Entrambi vennero espulsi dall’università nei primi anni sessanta appunto a causa del sostegno a favore di questa droga, che non mancò di suscitare un vasto scalpore sulla stampa. Per Leary in particolare l’LSD divenne una specie di Messia, e si mise a predicarne il vangelo attraverso gli Stati Uniti, dovunque vi fossero persone abbastanza avventurose per cercare nuove esperienze.
Gli eredi dello spirito ribelle del rock’ n’ roll, gli artisti e musicisti di Los Angeles, San Francisco, New York e Londra, erano proprio questo tipo di persona: erano loro i politici del piacere, i nemici della società tradizionale, e tutti per lo più già esperti nell’uso della droga. Si lanciarono immediatamente alla scoperta dell’LSD. Era una scusa per scollarsi di dosso i vecchi atteggiamenti convenzionali, perché questo allucinogeno trasformava il soggetto che ne faceva uso, nelle parole di Hunter S. Thompson, “al centro stesso dell’identità.” Certamente trasformò lo stile e l’immagine della musica rock.
La cultura della droga crebbe rigogliosa soprattutto sul fertile suolo della California, dove l’LSD rimase legale fino all’ottobre del 1966.
Lungo la baia di San Francisco, l’LSD entrò rapidamente a far parte di un ambiente che abbracciava posizioni profondamente radicali e si estendeva dalla zona di North Beach fino al famoso quartiere di Haight-Ashbury di San Francisco. Vi si incontravano gli studenti rivoluzionari dell’università di Berkeley, gli attivisti della Lega per la libertà sessuale, corpi di danza e di mimo, e il nascente movimento delle comuni. La metà degli anni Sessanta vide una ricchissima gamma di festival, danze e spettacoli di beneficenza (compresi i famosi esperimenti di acido di Ken Kesey), durante i quali musicisti, poeti, pittori di maschere facciali, combriccole di Hell’s Angels e perfino gente ordinaria venivano stipati tutti insieme in un vasto salone, invitati a prendere l’LSD e poi abbagliati dagli spettacoli di luci, conditi con musica, film, trucco e travestimenti esotici, e lasciati a scaldarsi per tutta la notte. Era “fluido”, la parola in voga per descrivere quelle esperienze.
Jerry Garcia, conosciuto anche sotto il nome di Capitan Trips (ovvero capitano viaggi, stimolati dall’allucinogeno, ben inteso), e alcuni dei suoi amici, fradici di acido, suonavano e cantavano durante i primi esperimenti di LSD. Erano chiamati i Warlocks, che più tardi divennero i Grateful Dead. In quei giorni, i membri del gruppo prendevano droga in abbondanza, ed era comune, così correva la voce, che prendessero acido prima di ogni spettacolo. Il gruppo era finanziato da un tale Augustus Owsley Stanley III, uno studente di ingenieria che aveva mandato in malora gli studi per costruirsi un laboratorio dove produceva gran parte dell’LSD che circolava a San Francisco.
“L’acido ha trasformato completamente la consapevolezza individuale”, disse Garcia a quei tempi. “Gli USA sono cambiati negli ultimi anni proprio perché tutte queste esperienze psichedeliche significano: ecco qui la nuova coscienza, ecco la nuova libertà, ed è tutto qui dentro, in voi stessi”.

Ti potrebbe anche interessare:

almanacco psichedelico

Pubblicato in General, Musica, Stati di coscienza modificati | Contrassegnato , , , | Commenti disabilitati su ROCK’ N’ ROLL ACIDO

La Cannabis nella medicina ayurvedica I

ayurvedaLa scienza medica ayurvedica è vecchia di tremila anni e i suoi fondamenti sono di natura cosmologica: vale a dire che la concezione che essa ha dell’uomo (e della salute come della malattia) è unitaria e strettamente collegata con il resto del cosmo. L’uomo è visto come un essere in cui sono presenti e inscindibili i suoi attributi fisici, psicologici e spirituali a sua volta collegati con gli elementi aria, acqua e fuoco, chiamati in sanscrito Tridoscha.
Sarebbe lungo spiegare la teoria dei Tridoscha; diciamo solo che lo stato di salute è caratterizzato dall’ecquilibrio dei tre Doscha corporei, la malattia e qualsiasi altro disagio fisico deriva dallo squilibrio di uno, due o anche tutti e tre. Pertanto, la cura delle malattie, ovvero la pratica terapeutica, consiste nel ripristinare l’equilibrio mediante diversi mezzi: igiene personale, dieta, farmaci, chirurgia, yoga, ecc. Tra i rimedi farmacologici un ruolo importante hanno le piante medicinali e i loro derivati e tra le prime troviamo la Cannabis Indica o la Cannabis Sativa che, come vedremo, viene utilizzata in diversi modi.
La Cannabis rientra tra i medicinali che vengono usati nella cura detta Vajikarana. Le medicine appartenenti a questa terapia tendono a favorire il vigore e la vitalità in stato di salute, aumentando il benessere fisico, migliorando la memoria e l’intelligenza, fornendo un buon incarnato, mantenendo vivi i sensi e la sessualità. In breve, la terapia vajikarana conferisce salute, vigore, prosperità, reputazione e virilità. Tuttavia i rimedi vitalizzanti (e virilizzanti) non danno risultati se applicati su un organismo non perfettamente ripulito: quindi occorre sempre far precedere una terapia purificante. In molte formule di medicina vajikarana compare la cannabis come componente capace di accrescere il potere del rimedio e di renderlo più assimilabile rilassando l’organismo.
Tutte le parti della cannabis sono attive farmacologicamente: le inflorescenze, le foglie, i semi la resina e le fibre. I medicamenti ottenuti con la cannabis hanno proprietà stomachiche, antispasmodiche, sedative, analgesiche e afrodisiache.
Secondo i principi della medicina ayurvedica, la cannabis ha qualità amare ed astringenti. E’ calda e leggera, migliora il fuoco gastrico e l’appetito, ha effetto ipnotico, riduce le viscosità e l’aria.
Viene usata per aumentare la sensazione  di euforia e di vigore al momento del coito, ma bisogna rilevare che è uno stupefacente e non è indicato per chi è di costituzione debole. Viene utilizzata anche la Cannabis sativa fresca, che contiene olio volatile, estraibile dai frutti o dai semi, composto di cannabene, idrato di cannabene e diversi altri alcaloidi. Secondo l’Ayurveda, l’uso abituale di cannabis conduce al decadimento fisico, alla dispepsia, alla melanconia e all’impotenza. In dosi abbondanti, produce esaltazione mentale, ebbrezza, sdoppiamento della coscienza e, infine, perdita della memoria e prostrazione. E’ usata come ritentivo in caso d’eiaculazione precoce, come afrodisiaco contro la debolezza sessuale o l’impotenza ed è prescritta come astringente in caso di diarrea e dissenteria. (M.P. Cannabis N°3) (segue)

Ti potrebbe anche interessare:

flora-psicoattiva

 

 

 

Pubblicato in Stati di coscienza modificati | Contrassegnato , , , , | Commenti disabilitati su La Cannabis nella medicina ayurvedica I

Peyote. Voi parlate di Dio, noi parliamo con Dio

02a143ce4c36a24199fd9d2bc4cf683bAlla base del rito vi è la credenza che nella pianta – data da Dio solo agli indiani – ci sia una parte dello Holy Spirit (Sacro Spirito) che penetra nei fedeli attraverso l’esperienza diretta, cioè con la consumazione sacramentale.
“Voi entrate nelle vostre chiese per parlare di Dio – aveva detto il capo comanche Quanah Parker rivolgendosi ai bianchi – noi entriamo nei tepee per parlare con Dio”.
Per i peyote eaters, i mangiatori del cactus peyote, il rituale è la porta d’accesso al Grande Mistero e, nello stesso tempo, rappresenta la manifestazione esteriore di un evento interiore. In quasi tutte le religioni sparse nel mondo, “coloro che compiono un rituale – rileva N. Drury -ritengono che ciò che stanno facendo non sia semplicemente una “rappresentazione”, ma possegga un legame con una particolare forma di realtà sacra e interiore: essi sono convinti di essere parte, per tutto il tempo in cui si svolge il rito, di un dramma mistico che può comportare l’unione con una divinità, l’identificazione con una sorgente di salute spirituale (e materiale) o l’atto di incarnare un qualche tipo di potere trascendente. In tal modo… (si) ritiene di penetrare in una dimensione assai più vasta e assai più temibile del mondo della realtà che ci è familiare. Si tratta insomma di prendere parte a un mistero, di lasciare il mondo quotidiano e di entrare nel cosmo in un tempo sacro e qualitativamente particolare. Molti antropologi e sociologi fanno fatica ad accettare questo concetto, in quanto essi sono culturalmente abituati a descrivere nei particolari gli eventi esteriori, a seguire sistematicamente i modelli di comportamento e le modalità secondo le quali nel loro contesto sociale tali comportamenti appaiono significanti, e spesso tendono a ritenere che quest’ultimi costituiscano tutto ciò che avviene”.
E’ proprio nel rito collettivo che si svolge con modi e tempi consacrati, che il cactus peyote possiede un’efficacia salutare sia sul piano spirituale sia su quello medico-terapeutico.
E’ credenza che esso sia un toccasana, una panacea per ogni male e sofferenza, per ogni bisogno dell’animo; e attraverso le visioni sacre, le allucinazioni, determinate dal peyote, trait-d’union tra l’uomo e la divinità, si viene edotti e purificati con l’incontro personale con Dio. Nando Minella

Ti potrebbe anche interessare:

samoallu

 

 

Pubblicato in Stati di coscienza modificati | Contrassegnato , , , , , , | Commenti disabilitati su Peyote. Voi parlate di Dio, noi parliamo con Dio

Crimethic III. Tecnologie nuove – Strategie antiquate

banneraNella seconda metà del Ventesimo secolo, i radicali si erano organizzati in enclave sottoculturali dalle quali lanciavano attacchi contro la società. L’invito a praticare la disoccupazione conflittuale presupponeva un contesto di spazi controculturali in cui le persone potessero rendersi intimamente partecipi a qualcos’altro.
Oggi il orizzonte culturale è diverso, la stessa sottocultura sembra funzionare in maniera differente. Grazie alle nuove tecnologie di comunicazione, si sviluppa e si diffonde molto più velocemente, e viene sostituita con altrettanta rapidità. Il punk rock, per esempio, non è più una società segreta alla quale gli studenti delle scuole superiori sono iniziati attraverso le musicassette registrate dai compagni di classe. È ancora partorito/ prodotto) da coloro che vi prendono parte, ma adesso funziona come un mercato di consumo ed è trasmesso attraverso luoghi impersonali, come le bacheche di annunci e i siti da cui scaricare brani musicali.
Non c’è da sorprendersi se le persone sono coinvolte meno intimamente: con la stessa facilità con cui lo hanno scoperto, possono passare a qualcos’altro. In un mondo fatto di informazione, la sottocultura non pare più al di fuori della società, a indicare una possibile via di fuga, ma si presenta come una delle molte zone al suo interno, una semplice questione di gusti.
Nel frattempo, Internet ha trasformato l’anonimato, un tempo prerogativa di criminali e anarchici, in un tratto aspetto tipico della comunicazione quotidiana. Eppure, inaspettatamente, organizza le identità e le posizioni politiche in base a una nuova logica. Lo scenario del discorso politico è tracciato in anticipo dagli URL: è difficile produrre un immaginario collettivo del potere e della trasformazione quando ogni affermazione è già inserita in una costellazione nota. Un manifesto su un muro può essere stato affisso da chiunque; sembra indicare un sentimento generalizzato, anche se rappresenta solo le idee di una persona. Una dichiarazione su un sito Internet, invece, compare in un mondo perennemente segregato in ghetti ideologici. L’immagine di CrimethInc. come movimento underground decentrato al quale chiunque poteva partecipare ha ispirato una miriade di attività, finché pian piano la topografia di Internet ha fatto sì che l’attenzione si concentrasse su un’unica pagina.
Così Internet ha parallelamente realizzato e reso obsolete le potenzialità che avevamo scorto nella sottocultura e nell’anonimato. Si potrebbe dire lo stesso della nostra perorazione del plagio. Dieci anni fa pensavamo di prendere una posizione estrema contro la paternità delle opere e la proprietà intellettuale, mentre in realtà eravamo precorrevamo appena l’evoluzione degli eventi. Le settimane spese a setacciare le biblioteche in cerca di immagini da riutilizzare prefiguravano un mondo in cui praticamente tutti fanno la stessa cosa per il proprio blog adoperando la funzione di ricerca immagini di Google. Il concetto tradizionale di paternità di un’opera è soppiantato da nuove forme di produzione, come il crowdsourcing, che indirizzano verso un possibile futuro in cui il lavoro volontario gratuito sarà una componente importante dell’economia – quale parte integrante del capitalismo, anziché forma di resistenza ai suoi valori.
E qui arriviamo a uno dei modi più nefasti in cui i nostri desideri hanno trovato realizzazione nella forma, più che nel contenuto. La distribuzione gratuita, un tempo considerata dimostrazione concreta di un’alternativa radicale ai modelli capitalistici, è ormai data per scontata in una società in cui i mezzi di produzione materiale sono ancora nelle mani dei capitalisti. I formati elettronici si prestano alla distribuzione gratuita delle informazioni; questo costringe chi produce formati materiali, come i quotidiani, a cederli o a cessare l’attività, per essere rimpiazzati da blogger felici di lavorare gratis. Al contempo, il cibo, l’alloggio e altre necessità della vita, per non parlare degli strumenti necessari per accedere ai formati elettronici, sono costosi come sempre. Questa situazione offre ai diseredati qualche possibilità di accesso  a determinati beni a tutto vantaggio di coloro che già controllano vaste risorse: è perfetta per un’epoca di disoccupazione dilagante, in cui sarà necessario pacificare i farne uso. Implica un futuro in cui un’élite ricca userà il lavoro gratuito di un vasto insieme di lavoratori precari e disoccupati per preservare il proprio potere e la loro dipendenza.
L’aspetto più raccapricciante è che questo lavoro gratuito sarà assolutamente volontario, e darà l’impressione di portare benefici per tutti, invece che per l’elite.
Forse la contraddizione essenziale della nostra epoca è che le nuove tecnologie e forme sociali permettono di adottare un modello orizzontale di produzione e distribuzione delle informazioni, ma creano maggiore dipendenza dai prodotti delle multinazionali. (segue)

Pubblicato in Critica Radicale | Contrassegnato , , , , | Commenti disabilitati su Crimethic III. Tecnologie nuove – Strategie antiquate

NANOTECNOLOGIE

Il punto centrale dell’odierna fase tecno scientifica è la maggior dinamicità e convergenza delle tecnologie dell’infinitamente piccolo, con conseguenze quasi illimitate, dato che tutti gli ambiti di produzione lavorano ormai sulla stessa materia prima, la vita sottile e invisibile di atomi, molecole e particelle. È in atto il tentativo di decifrare il funzionamento cellulare e atomico della macchina natura, adattarlo alle esigenze di produzione industriale e creare il MERCATO DEL CORPO DA LABORATORIO. Questo già avviene con gli altri esseri viventi da molto tempo, ma ora le tecniche si affinano, non solo quelle propriamente tecnologiche, ma anche quelle di persuasione, disinformazione, convincimento, per consentire più agevolmente di centrare l’obiettivo: l’uomo. Il passaggio dell’uomo in “uomo altro” non è solo un passaggio in termini culturali o sociali; questo è il presente, ultima fase di una concezione ideologica della vita in cui “l’uomo nuovo” nasce da una rivoluzione politica/sociale, da un ferreo controllo culturale o da timidi esperimenti di eugenetica o da tutte queste cose insieme: è l’uomo del ‘900, l’uomo della fase industriale del capitale, in parte di quella informatica, ma non di quella nanotecnologica diffusa. Il futuro ci riserva una formidabile mutazione antropologica, una diversificazione – di carattere genetico programmato – tra gli umani in un contesto profondamente manipolato adatto ad accoglierlo. Ora viviamo in metropoli sempre più invisibili, metà vita nel traffico e l’altra metà in un’insicurezza diffusa, dovuta al lavoro, alla solitudine, all’ansia dei consumi. Se non reggeremo a tutto questo sono pronti a cambiarci dentro, nel cuore, nel fegato, nei polmoni, nelle ossa, nel cervello, nel DNA: un’evoluzione forzata per adattarci allo sfruttamento e resistere al disastro.
Chi gestisce e finanzia le nanotecnologie non sembra avere alcuna difficoltà a investire cifre colossali nella ricerca e nella produzione, in previsione di un aumento vertiginoso del loro uso. Le nanotecnologie sono pervasive, trovano applicazione in ogni settore: s’infiltrano nel cibo, nei cosmetici, nei materiali, nei sistemi di controllo, nel corpo umano. Non è facile sapere dove sono utilizzate; soltanto pochi specialisti potrebbero informarci seriamente sul loro uso nell’alimentazione, nella produzione di farmaci, di armi o negli esperimenti sul clima.
Il progresso di un uomo diventato appendice viva di un sistema nanotecnologico, che non è assolutamente in grado di controllare, conoscere, gestire, è nullo. La dipendenza è totale, la libertà tendente a zero, la vita anche.

Se vuoi saperne di più:

Pubblicato in Critica Radicale, General | Contrassegnato , | Commenti disabilitati su NANOTECNOLOGIE

Riccardo d’Este: Erotismo e pornografia in carcere

riccardo88-2Francamente, in tutta la mia vita, la pornografia mi è sembrata come qualcosa di sporco, da rigettare. Poi succede che, ovviamente per volontà non mia, finisco in galera e la mia sessualità va a finire nella pornografia. A un certo punto compri Le Ore e gli altri giornali pornografici e lì vedi che questa pornografia non è poi così falsa, nel senso che in modo abnorme rappresenta alcune cose che tu desideri. In concreto, quando vedi la signorina che si becca tre cazzi in bocca, probabilmente è anche un tuo desiderio di vedere questo, cioè probabilmente non lo faresti mai, ma l’idea in qualche modo ti coinvolge e soprattutto lì nell’impotenza. In galera non puoi farlo! Allora lo proietti.
La pornografia che cos’è? è semplicemente un assurdo ideologico? Io non sono così convinto. Oppure è un qualcosa di desiderato e non praticato? Voglio dire che nella pornografia viene esasperato, quasi in modo ridicolo, qualcosa che tutti noi sentiamo.
Ciascuno ha un problema grosso che è quello della sua sessualità. Io, che mi eccito pensando che la mia donna faccia i pompini o scopi con un altro, senza volere assolutamente che mai ciò succeda perché questo diventerebbe in qualche modo negativo per la mia identità, lo riverso nella pornografia e lì vedo la signorina che fa i pompini a Giuseppe, a Giovanni e a Marzio. Quindi la pornografia è una valvola di sfogo.
Quando sei in galera sogni tutto! – perché non puoi avere niente – e trovi la sintesi geniale. La sintesi geniale è che vorresti fare tutte le cose possibili e immaginabili. Quando esci dalla galera non puoi fare tutte le cose possibili e immaginabili! Perché ci sono dei limiti oggettivi quali la gelosia e il comportamento degli altri.
La pornografia ha questa capacità, perché di ciò si tratta, di esprimere quello che tu non esprimi, che tu non hai il coraggio di esprimere perché nessuno ha il coraggio di esprimere fino in fondo i suoi tumulti interni sessuali. La pornografia te li fornisce.
Io ricordo Cicciolina che si prendeva tre cazzi in bocca. La cosa detta così fa evidentemente ridere. è una cosa buffa tre cazzi in bocca, senza senso, non ha nessun senso! Nel contesto erotico, cioè che lei era capace di beccarsi tre cazzi in bocca…
Aurifex:
Ma come si erano posizionati i tre?
Riccardo:
Erano allineati!
Aurifex:
Ma non contemporaneamente!
Riccardo:
Sì, certo, contemporaneamente! Se siamo in tre qua ce la fa anche Roberta!
Roberta:
Nei tuoi sogni!
Riccardo:
Ma tecnicamente non è impossibile! Uno qua (indica la parte interna sinistra della bocca), uno qua (indica la parte interna destra della bocca) e uno qua (in mezzo agli altri due). Davvero ci si arriva! La mia prima risposta era sul ridicolo, la seconda era che non mi sarebbe dispiaciuto essere in questo giro! Nel giro dei tre! La terza risposta, la piu’ interessante secondo me, è che ciò in qualche modo mi coinvolgeva: la donna-troia, i molti cazzi in bocca… cioè la pornografia gioca su questo piano che è, a mio avviso, un piano sbagliato e che però ti coinvolge, che ce l’hai dentro! è una malattia che tu hai dentro.
Per finire penso che la pornografia sia assolutamente essenziale. Sicuramente la mia fidanzata, che è qui presente, direbbe che no, mai si farebbe mettere una banana nella fica, però secondo me sì. Secondo me c’è qualcosa nella psiche umana che vuole la trasgressività, almeno per il sesso, e la trasgressività è un pò normale cioè alcune cose che puoi fare altre che non puoi fare: il cambio delle coppie, l’ammucchiate ecc. tutte cose, diciamo la verità, poverine e la pornografia è quello che le rappresenta.
Il desiderio pornografico, e ho desideri pornografici, abbiamo desideri pornografici, esiste perché non riusciamo ad avere desideri liberati.
Roberta:
In che rapporto vedi la pornografia e l’erotismo?
Riccardo:
Credo che l’erotismo sia un qualcosa che, tutto sommato, ciascuno esprime. L’erotismo è la voglia di succhiare una tetta o il cazzo che ti tira, qualcosa di fisiologico.
La pornografia no. La pornografia è laddove c’è l’assenza, la sostituisci con la presenza. Mi spiego. Quando mi facevo le seghe in carcere non me le sarei MAI potute fare vedendo la Cuccarini piuttosto che la Carrà, però in una situazione pornografica, immaginandoti in quel contesto, ci riuscivo.
La pornografia è la sostituzione dell’erotismo. Laddove l’erotismo non c’è per motivi svariati, cioè dove non riesce a esprimersi in quanto tale, la pornografia ne è la sostituzione.
Aurifex:
Fuori dal carcere hai ritrovato una sessualità normale?
Riccardo:
Dopo che hai vissuto quella sessualità frastornata, deviata, fuorviata ecc. è difficile che tu ritorni a quella normale, nel senso che tutti i tuoi fantasmi erotici vissuti nel carcere, in qualche misura li trasporti fuori. È chiaro che questo ha un suo tempo, e con il tempo le tue follie erotiche, pornografiche vanno discendendo.
Per fare un esempio, uscito dalle prigioni, con le varie signore o signorine con cui ho avuto rapporti… beh… insomma… per me era molto interessante – anche perché era nella cultura pornografica – pisciarsi addosso. Passato un certo tempo può essere interessante, curioso, erotico, ma non è decisivo. Lì invece sei sottomesso dalla pornografia. La pornografia ti ha fatto credere che alcuni gesti erotici siano quelli che poi, a loro volta, ti danno la “soddisfazione”, per ridere si dice la soddisfazione e mimi questo, lo fai. È chiaro che quando ti liberi da questo tipo di costrizione, perché in qualche misura sei più normale, questo non diventa così importante; diventa bello quando è un gioco erotico ma ininteressante se non lo è, mentre invece lì, nel gioco pornografico, lo è.
Penso che la pornografia abbia questo aspetto infame, di farti credere che un piacere lo sia in quei modi lì. Il piacere è vero che c’è anche in quei modi lì. Cioè il pompino: buona e santa cosa. Però se tu lo estranei e lo vedi come un gesto pornografico non è la stessa cosa. Lo stesso gesto materiale visto in una chiave pornografica e in una chiave erotica è una cosa completamente diversa.
Sono a favore della pornografia fintanto che può aiutare l’erotismo e sono assolutamente nemico quando è rappresentazione, cioè quando taglia le palle all’erotismo.
Intervento trasmesso durante la seconda puntata di THE ATROCITY EXHIBITION, in onda su Radio Kamasutra Centrale (Bologna), lunedì 7 novembre 1994.

Ti potrebbe anche interessare:

ruillan-cop

 

Pubblicato in Carcere, Critica Radicale | Contrassegnato , , | Commenti disabilitati su Riccardo d’Este: Erotismo e pornografia in carcere

Crimethinc II. Non lavorare – Quale lavoro?

banneraLa provocazione che caratterizzò la nostra gioventù fu prendere alla lettera il motto situazionista NON LAVOREREMO MAI. Alcuni di noi decisero di provare sulla propria pelle se fosse realmente possibile. Questo atto di spavalderia rivelò tutto l’ingegno della spontaneità giovanile, e tutte le sue insidie. Anche se molti altri avevano percorso questa via in passato, per noi fu come essere i primati lanciati per primi nello spazio. In ogni caso, facevamo qualcosa, prendevamo il sogno della rivoluzione sul serio, come un progetto che si può avviare immediatamente nella propria vita, con – come si diceva allora – un aristocratico disprezzo per le conseguenze.

È forte la tentazione di snobbarla come semplice rappresentazione artistica Eppure dobbiamo intenderla come un primo tentativo di rispondere alla domanda con la quale i presunti rivoluzionari si confrontano tuttora negli Stati Uniti e in Europa occidentale: che cosa può mettere fine alla nostra obbedienza? Gli insurrezionalisti contemporanei cercano di porsi lo stesso interrogativo oggi, anche se le risposte offerte da molti di loro sono altrettanto limitate. Di per sé, né la disoccupazione volontaria, né gli atti di vandalismo gratuito sembrano in grado di scuotere la società e indirizzarla verso una situazione rivoluzionaria. Nonostante tutto, rimaniamo convinti della nostra intuizione iniziale: ci vorrà un nuovo modo di vivere per creare una situazione del genere; non si tratta soltanto di dedicare un numero sufficiente di ore ai soliti vecchi compiti. Il tessuto essenziale della nostra società – la cortina che ci separa da un mondo diverso – è soprattutto il buon comportamento degli sfruttati e degli esclusi.

Nel giro di un decennio la storia ha reso obsoleto il nostro esperimento, accogliendo, per assurdo, la nostra rivendicazione di una classe inadatta al lavoro. Il tasso di disoccupazione negli Stati Uniti, presunto al 4% nel 2000, alla fine del 2009 era salito al 10% – contando soltanto le persone che cercavano attivamente un impiego. Gli eccessi della società dei consumi una volta offrivano a chi se ne chiamava fuori un certo margine di errore; la crisi economica ha eroso questo margine e ha conferito alla disoccupazione un sapore decisamente involontario.

È ormai evidente che il capitalismo non ha più bisogno di noi di quanto noi abbiamo bisogno di lui. E questo non vale soltanto per gli anarchici refrattari, ma per milioni di lavoratori negli Stati Uniti. Nonostante la crisi economica, le grandi multinazionali continuano a registrare enormi profitti, ma invece di usare queste entrate per assumere più dipendenti, investono nei mercati esteri, acquistano nuove tecnologie per ridurre il fabbisogno di manodopera, e distribuiscono i dividendi agli azionisti. Ciò che fa bene alla General Motors non fa bene al paese, insomma. Le aziende statunitensi più redditizie stanno ora trasferendo la produzione e i consumi all’estero, nei “mercati in via di sviluppo”.

In questo contesto, la cultura dell’autoesclusione assomiglia un po’ troppo a un programma volontario di austerità; ai ricchi conviene, se rifiutiamo il materialismo consumistico, dato che in ogni caso non c’è abbastanza per tutti. Alla fine del Ventesimo secolo, quando la maggior parte delle persone si identificava con la propria professione, il rifiuto di abbracciare il lavoro quale forma di realizzazione personale esprimeva il rigetto dei valori capitalistici. Oggi il lavoro saltuario e l’identificazione con le proprie attività ricreative, invece che con la carriera professionale, sono ormai normalizzati come condizione economica piuttosto che politica.

Il capitalismo sta facendo propria anche la nostra convinzione che le persone dovrebbero agire secondo la propria coscienza, invece che per un salario. In un’economia che offre abbondanti possibilità di vendere il proprio lavoro, è ragionevole sottolineare l’importanza di altre motivazioni per svolgere un’attività; in un’economia in crisi, essere disposti a lavorare gratuitamente ha implicazioni diverse. Lo Stato, per compensare gli effetti deleteri del capitalismo, fa sempre più assegnamento sulla stessa etica dell’autoproduzione che un tempo animava il movimento punk. Lasciare che i volontari ambientalisti ripuliscano la chiazza di petrolio provocata dalla BP costa molto meno di farlo fare a dipendenti retribuiti, per esempio. Lo stesso vale per Food Not Bombs, se lo si considera un programma di beneficenza anziché un metodo per generare flussi sovversivi di risorse e solidarietà.

Oggi la sfida non è convincere la gente a rifiutarsi di vendere il proprio lavoro, ma dimostrare come una classe in esubero sia capace di sopravvivere e resistere. Di disoccupazione ne abbiamo in abbondanza: dobbiamo interrompere i processi che producono povertà. (segue)

Pubblicato in Critica Radicale, General | Contrassegnato , , , | Commenti disabilitati su Crimethinc II. Non lavorare – Quale lavoro?

Gilles Ivain: architettura nuova per una civiltà nuova

Al centro: Ivan Chtcheglov

Al centro: Ivan Chtcheglov

Non si può parlare di architettura nuova se essa non esprime una nuova civiltà (e chiaro che non esiste né civiltà né architettura da molti secoli, ma solo degli esperimenti, di cui la maggior parte sono falliti: si può parlare delllarchitettura gotica, ma non esiste architettura marxista o capitalista, benché questi due sistemi rivelino tendenze similari, scopi comuni).
Ciascuno ha dunque il diritto di domandarci su quale abbozzo di civiltà noi vogliamo fondare un’architettura. Richiamo rapidamente i punti di partenza di una civiltà:
– una nuova concezione dello spazio (cosmogonia religiosa o meno).
– una nuova concezione del tempo (numerazione a partire da zero, diversi modi di svolgimento del tempo).
– una nuova concezione dei comportamenti (morale, sociologia, politica, diritto. L’economia è solo una parte delle leggi del comportamento che una civiltà accetta).
(. . .) Questa visione nuova del tempo e dello spazio che sarà la base teorica delle future costruzioni non è ancora a punto e non lo sarà mai del tutto prima di sperimentare i comportamenti in città riservate a questo effetto, dove saranno riuniti in maniera sistematica, oltre agli edifici indispensabili ad un minimo di comfort e di sicurezza, costruzioni cariche di un grande potere di evocazione e di influsso, degli edifici simbolici raffiguranti i desideri, le forze,  gli avvenimenti passati,  presenti e futuri. Gilles Ivain 

Pubblicato in Critica Radicale, Internazionale Sitazionista | Contrassegnato , , , | Commenti disabilitati su Gilles Ivain: architettura nuova per una civiltà nuova