Nella seconda metà del Ventesimo secolo, i radicali si erano organizzati in enclave sottoculturali dalle quali lanciavano attacchi contro la società. L’invito a praticare la disoccupazione conflittuale presupponeva un contesto di spazi controculturali in cui le persone potessero rendersi intimamente partecipi a qualcos’altro.
Oggi il orizzonte culturale è diverso, la stessa sottocultura sembra funzionare in maniera differente. Grazie alle nuove tecnologie di comunicazione, si sviluppa e si diffonde molto più velocemente, e viene sostituita con altrettanta rapidità. Il punk rock, per esempio, non è più una società segreta alla quale gli studenti delle scuole superiori sono iniziati attraverso le musicassette registrate dai compagni di classe. È ancora partorito/ prodotto) da coloro che vi prendono parte, ma adesso funziona come un mercato di consumo ed è trasmesso attraverso luoghi impersonali, come le bacheche di annunci e i siti da cui scaricare brani musicali.
Non c’è da sorprendersi se le persone sono coinvolte meno intimamente: con la stessa facilità con cui lo hanno scoperto, possono passare a qualcos’altro. In un mondo fatto di informazione, la sottocultura non pare più al di fuori della società, a indicare una possibile via di fuga, ma si presenta come una delle molte zone al suo interno, una semplice questione di gusti.
Nel frattempo, Internet ha trasformato l’anonimato, un tempo prerogativa di criminali e anarchici, in un tratto aspetto tipico della comunicazione quotidiana. Eppure, inaspettatamente, organizza le identità e le posizioni politiche in base a una nuova logica. Lo scenario del discorso politico è tracciato in anticipo dagli URL: è difficile produrre un immaginario collettivo del potere e della trasformazione quando ogni affermazione è già inserita in una costellazione nota. Un manifesto su un muro può essere stato affisso da chiunque; sembra indicare un sentimento generalizzato, anche se rappresenta solo le idee di una persona. Una dichiarazione su un sito Internet, invece, compare in un mondo perennemente segregato in ghetti ideologici. L’immagine di CrimethInc. come movimento underground decentrato al quale chiunque poteva partecipare ha ispirato una miriade di attività, finché pian piano la topografia di Internet ha fatto sì che l’attenzione si concentrasse su un’unica pagina.
Così Internet ha parallelamente realizzato e reso obsolete le potenzialità che avevamo scorto nella sottocultura e nell’anonimato. Si potrebbe dire lo stesso della nostra perorazione del plagio. Dieci anni fa pensavamo di prendere una posizione estrema contro la paternità delle opere e la proprietà intellettuale, mentre in realtà eravamo precorrevamo appena l’evoluzione degli eventi. Le settimane spese a setacciare le biblioteche in cerca di immagini da riutilizzare prefiguravano un mondo in cui praticamente tutti fanno la stessa cosa per il proprio blog adoperando la funzione di ricerca immagini di Google. Il concetto tradizionale di paternità di un’opera è soppiantato da nuove forme di produzione, come il crowdsourcing, che indirizzano verso un possibile futuro in cui il lavoro volontario gratuito sarà una componente importante dell’economia – quale parte integrante del capitalismo, anziché forma di resistenza ai suoi valori.
E qui arriviamo a uno dei modi più nefasti in cui i nostri desideri hanno trovato realizzazione nella forma, più che nel contenuto. La distribuzione gratuita, un tempo considerata dimostrazione concreta di un’alternativa radicale ai modelli capitalistici, è ormai data per scontata in una società in cui i mezzi di produzione materiale sono ancora nelle mani dei capitalisti. I formati elettronici si prestano alla distribuzione gratuita delle informazioni; questo costringe chi produce formati materiali, come i quotidiani, a cederli o a cessare l’attività, per essere rimpiazzati da blogger felici di lavorare gratis. Al contempo, il cibo, l’alloggio e altre necessità della vita, per non parlare degli strumenti necessari per accedere ai formati elettronici, sono costosi come sempre. Questa situazione offre ai diseredati qualche possibilità di accesso a determinati beni a tutto vantaggio di coloro che già controllano vaste risorse: è perfetta per un’epoca di disoccupazione dilagante, in cui sarà necessario pacificare i farne uso. Implica un futuro in cui un’élite ricca userà il lavoro gratuito di un vasto insieme di lavoratori precari e disoccupati per preservare il proprio potere e la loro dipendenza.
L’aspetto più raccapricciante è che questo lavoro gratuito sarà assolutamente volontario, e darà l’impressione di portare benefici per tutti, invece che per l’elite.
Forse la contraddizione essenziale della nostra epoca è che le nuove tecnologie e forme sociali permettono di adottare un modello orizzontale di produzione e distribuzione delle informazioni, ma creano maggiore dipendenza dai prodotti delle multinazionali. (segue)
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