AUTOPRODUZIONE

xxxAutoproduzione è, da un pezzo, parola di moda. E’, come ogni altra parola alla moda, rappresenta un concetto vago, tale da permettere a molti di imprimervi i propri significati e, in alcuni casi, anche i propri interessi. Vi è chi, ad esempio, si impegna a confonderla con il mitico terzo settore, da cui tanti sperano di trarre denari e carriere in cambio di un po’ di declamazioni eque e di un pizzico di chiacchiere solidali. vi è persino chi pretende di identificarla con l’odiosa e spregevole autoimpresa, il coniglio transgenico uscito dal casco dell’autonomo e della tuta bianca del disobbediente, oppure con l’autovalorizzazione grata a tutti coloro che sono ansiosi di monetizzare l’antagonismo proprio e, del caso, pure quello altrui (un esempio caratteristico è la messa in vendita di filmati, materiali, scritti di esperienze collettive gratuite, quali quelle del Virus di via Correggio a Milano). Converrà perciò precisare che noi intendiamo qui per autoproduzione, ogni attività che degli individui, o dei gruppi, rinunciando volontariamente a ricorrere alle possibilità esistenti sul mercato, scelgano di svolgere con forze proprie per fruirne essi stessi, da soli o insieme con altri, ma sempre in uno spirito di gratuità e senza chiedere contraccambio alcuno. Autoproduzione tipica, e particolarmente immediata è quella della coltivazione della canapa. Autoproduzione tradizionale e diffusissima è quella che si svolge ai margini delle metropoli negli orti abusivi. Ma anche attività più complesse e meno alimentari, come i giornali, i cd, le fanzine, i manifesti, i volantini, sviluppati in proprio, con propri strumenti, magari assemblati senza passare per la cassa di alcun negozio. Affini all’autoproduzione sono il riciclaggio, appunto, di strumenti informatici, elettronici, meccanici, di mobili, abiti, giocattoli, le mille soluzioni creative alla complessità delle esigenze e alla banalità delle soluzioni offerte dal bazar delle merci e delle bugie. (Continua)

 

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Richard Evans Schultes

RichardEvansSchultesForse la massima autorità nel campo dell’etnomedicina e delle piante psichedeliche, pioniere nella ricerca etnobotanica su peyote, ayahuasca e funghi sacri. Già professore di biologia alla Harvard University e direttore dell’ Harvard Botanical Museum. Per quattordici anni ha vissuto e lavorato tra le tribù dell’Amazzonia, studiandone i costumi e la farmacopea, dividendo con loro usi e costumi.
Dotato di uno spiccato senso dell’umorismo, ha sempre dimostrato una sensibilità straordinaria verso i popoli che incontrava; nelle sue spedizioni in terre inospitali e potenzialmente ostili, non ha mai portato con se un’arma, convinto che non esistessero Indiani ostili, e che la loro gentilezza poteva venire alla luce soltanto trattandoli con reciproca gentilezza. Nel corso della sua lunga vita ha documentato l’uso di oltre 2000 piante medicinali, raccogliendo qualcosa come 24.000 campioni e dando il nome a 120 specie, tra cui la Pauroma schultesii, la cui radice trova impiego contro l’ulcera, e l’Hiraea schultesii, le cui foglie vengono utilizzate nel trattamento delle congiuntiviti.
Già editore del prestigioso Economic Botany, è stato membro di numerose accademie scientifiche, tra cui la National Accademy of Sciences e ha avuto numerosi riconoscimenti internazionali, tra cui spiccano la medaglia d’oro della Linnean Society e la decorazione del governo colombiano per il suo lavoro in Amazzonia; il suo nome è legato inoltre a un parco protetto di oltre due milioni di acri nella foresta pluviale colombiana.
Sopravvissuto alla moglie Dorothy e a tre figli, a infinite malattie tropicali, tra cui la malaria e il beri-beri, si è spento nella sua casa di Boston nell’aprile del 2011, sconfitto da una salute ormai cagionevole e dal morbo di Alzheimer.

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IL GIOCO

bimbi altalenaDefinizione di gioco: Il gioco è un’attività che può possedere una funzione ricreativa, una educativa, una biologica e sociale; coinvolge una o più persone ed è basata su: un obiettivo che i/il giocatore/i devono cercare di raggiungere (che può anche essere diverso per ciascun giocatore) nell’ambito dell’attività del gioco.
Definizione situazionista del Gioco: Non si può  sfuggire alla confusione del vocabolario e alla confusione pratica che circondano la nozione di gioco se non considerandola nel suo movimento. Dopo due secoli di negazione attraverso una continua idealizzazione della produzione, le funzioni sociali primitive del gioco si presentano solo più come sopravvivenze imbastarditeframmiste a forme inferiori he deivano direttamente dalle necessità dell’organizzazione attuale di questa produzione. Nello stesso tempo, in rapporto dello sviluppo stesso delle forze produttive, compaiono delle tendenze progressive del gioco. La nuova fase di affermazione del gioco sembra debba caratterizzarsi con la scomparsa di ogni elemento competitivo. Il problema di vincere o di perdere, finora quasi inseparabile dalla attività ludica, appare legato a tutte le altre manifestazioni della tensione tra individui per l’appropriazione dei beni. Il sentimento dell’importanza del vincere nel gioco, che si tratti di soddisfazioni concrete o più spesso illusorie, è il prodotto avvelenato di una cattiva società. Questo sentimento è ovviamente sfruttato da tutte le forze conservatrici che se ne servono per mascherare la monotonia e l’atrocità delle condizioni di vita che impongono. Basta pensare a tutte le rivendicazioni sviate per mezzo dello sport agonistico. Non solo le folle si identificano con giocatori professionisti o con certe squadre, che assumono lo stesso ruolo mitico delle stelle del cinema che simulano la vita e degli uomini dello stato che decidono in vece loro, ma anche il succedersi senza fine dei risultati di queste competizioni non cessa di appassionare chi vi assiste. La partecipazione diretta a un gioco, anche preso tra quelli che richiedono un certo esercizio intellettuale, è altrettanto poco interessante appena si tratta di accettare una competizione, fine a se stessa, nel quadro di regole fisse.
L’elemento di competizione dovrà scomparire a vantaggio di una concezione davvero più collettiva del gioco: la creazione comune degli ambienti ludici scelti. La distinzione centrale che bisogna superare è quella che si stabilisce tra il gioco e la vita corrente, in quanto il gioco viene considerato un’eccezione isolata e provvisoria. La vita corrente, condizionata finora dal problema del sostentamento, può essere dominata razionalmente e il gioco, che rompe radicalmente con un tempo e uno spazio ludici delimitati, deve invadere l’intera vita. In questa prospettiva storica il gioco non appare affatto al di fuori dell’etica, del problema del senso della vita. L’unica riuscita che si possa concepire nel gioco è la riuscita immediata sul proprio ambiente e l’aumento costante dei propri poteri. Mentre, nella sua attuale coesistenza con i residui di questa fase di declino, il gioco non può liberarsi completamente da un aspetto competitivo, il suo scopo deve essere perlomeno quello di provocare delle condizioni favorevoli per vivere direttamente. In questo senso è ancora lotta e rappresentazione: lotta per una vita a misura del desiderio, rappresentazione concreta di una simile vita.

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variis58

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Un bicchiere di vino

vino 5Possiamo constatare come il vino determina ogni sorta di comportamento, qualora si osservi come gradualmente muta i bevitori: se li coglie freddi di sobrietà e silenziosi, bevuto in quantità modesta li rende più ciarlieri, ma parlatori abili e arditi se la dose aumenta; conferisce baldanza nelle opere a chi continua a bere, ma se la quantità è eccessiva rende sfrenati ed esaltati, e quando è decisamente troppa toglie ogni inibizione e fa impazzire, come se si fosse epilettici dall’infanzia.
L’indole di individui diversi corrisponde così a quei mutamenti di carattere provocati nel singolo dal bere e dall’ingerire una data quantità di vino. Si può essere dunque ciarlieri, agitati, facili al pianto, per natura o per un passeggero stato di ebbrezza: tali infatti, alcuni vengono resi dal vino, come secondo la rappresentazione omerica:”e dice che, appesantito dal vino, versò lacrime copiose.”
C’è chi diviene compassionevole e selvaggio e taciturno: quest’ultima, in particolare è la caratteristica precipua del “melanconici”, che finiscono con l’uscire di senno. Il vino rende anche espansivi: ne è indizio che chi ha bevuto è indotto anche a baciare chi, per l’aspetto e per l’età, nessuno bacerebbe da sobrio.
Il vino, tuttavia, non rende eccezionali per molto, ma per poco tempo: la natura, sempre, finché si viva; arditi, taciturni, compassionevoli, vili, lo si è, infatti, pure per natura; è allora evidente che il vino e la natura determinano il carattere di ognuno con lo stesso procedimento, che consiste nel regolare con il caldo ogni funzione dell’organismo.

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ARCHITETTURA E ANARCHIA

periferiaQuale rapporto, che non sia a priori contraddittorio, possono intrattenere l’architettura e l’anarchia? l’architettura è certamente un simbolo dell’autorità, ma non solo: essa è stata fin dal principio uno dei suoi strumenti, e non tra i minori, poiché costituisce una delle modalità indispensabili del suo esercizio.
«Ancora più che la rappresentazione ostentatoria del potere, l´architettura sta alla base di un´arte del comandare. Tutto il potere si esercita architettonicamente.»

I poteri pubblici introducono innumerevoli dispositivi di “pacificazione” con il contributo dell’architettura e dell’urbanistica, che devono dissuadere il “nemico interno” dall’entrare in azione e, in caso lo faccia, facilitarne la repressione, confermando così il legame tra la pianificazione urbana e il mantenimento dell’ordine sociale.

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Anarchia-e-architettura

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FORSE DA QUALCHE PARTE di Horst Fantazzini

horst fRagazzo,
senti il rumore del tuono?
Forse da qualche parte un uomo sta lottando.
Lotta per te, per me, per tutti,
ma pochi sanno dirgli grazie …
ragazzo,
senti lo stillicidio della pioggia?
Forse da qualche parte
Una vita si sta spegnendo
E questa pioggia è l’eco di un lontano dolore …
Ragazzo,
senti il peso di questo improvviso silenzio?
Forse da qualche parte un uomo è stato vinto,
fucili di venduti fratelli
gli hanno impedito di gridare “Libertà!”.
ragazzo,
il dolore di uno
dovrebbe essere il dolore di tutti
e non è giusto che
mentre tu piangi
altri ridono
e mentre tu ridi
altrove altri si disperano.
Ragazzo,
al prossimo tuono
non spaventarti,
alla prossima pioggia
non chiudere la tua finestra,
al prossimo silenzio
mettiti a gridare con rabbia!

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HORST-F

 

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CIVILIZZAZIONE O FUTURO PRIMITIVO

johnzerzanProduzionismo o futuro primitivo: due materialità. Una provocata dall’estinzione dello spirito, l’altra dall’aver abbracciato lo spirito nella sua realtà terrena. L’abbandono volontario del modo di vivere industriale non è una rinuncia, ma una regressione salutare. Abbandonando la condizione e la direzione attuale del mondo, andiamo a cercare una guida presso quelli che hanno continuato a vivere spiritualmente nella natura. Il loro esempio mostra cosa ci serve per percorrere la nostra strada verso ciò che tuttora attende, tutt’attorno a noi.
Il primitivismo trae forza dall’aver capito che, a prescindere da quanto le nostre vite siano state deprivate negli ultimi 10000 anni, gli essere umani paiono aver vissuto in modo sano e autentico per gran parte dei quasi due milioni di anni sul pianeta. Questa corrente antiautoritaria, si sta muovendo nella direzione del naturalismo primitivo e contro una totalità che si sposta esattamente in direzione opposta a questa condizione. La rivista “Terra Selvaggia” ha descritto questo sentimento in modo ammirevole: “E poi, in fondo, cos’è questa globalizzazione di cui si parla ultimamente, forse il processo di espansione dei mercati verso lo sfruttamento dei paesi più poveri, e delle loro risorse, a scapito di quelli ricchi? Forse l’uniformarsi delle culture e la diffusione di un modello dominante? Ma allora, perché non usare il termine civilizzazione, che suona sicuramente meno minaccioso, ma è calzante, senza necessita di neologismi. Non c’è dubbio che i media, e non solo, abbiano il loro buon tornaconto a mischiare di tutto nel vago minestrone anti-globalizzazione; sta a noi dunque fare chiarezza nelle cose, approfondire le critiche e agire di conseguenza”.
In questa lotta, o tutto o niente. Anarchia è solo un nome per quelli che abbracciano la sua promessa di riscatto e pienezza, e cercano di guardare in faccia il fatto che arrivarci sarà un lungo viaggio. Noi umani stavamo là, un tempo, se dobbiamo credere agli antropologi. Ora scopriremo se possiamo ritornarci.
Molto probabilmente, è la nostra ultima possibilità come specie.

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zerzancrepuscolo

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I funghi sacri e il culto dell’iboga

ibogaParlare di funghi allucinogeni, o per meglio dire di funghi sacri, non è facile, per molti motivi, due in modo significativo. Primo, perché questi funghi sono da considerarsi gli enteogeni universali, in quanto crescono in ogni Continente o a qualsiasi latitudine, e sono entrate a far parte del simbolismo magico e religioso di tutte le culture. Secondo perché ancora oggi rappresentano il vegetale psicotropo più usato sia a scopi rituali che a scopi ricreazionali.

Il gruppo più numeroso appartiene ai funghi psilocibinici e un altro importantissimo gruppo di funghi allucinogeni appartiene alla classe degli alcaloidi isossazolici, rappresentati da funghi del genere Amanita, principalmente dell’Amanita muscaria.

Il culto bwiti ha come nucleo l’assunzione di iboga, ricavata dalla radice giallastra polverizzata della Tabernanthe iboga che ha come principio attivo libogaina

Il culto attuale è un insieme di influenze derivanti da antichi culti della morte degli Antenati e dal processo di evangelizzazione cristiana, particolarmente da quella cattolica. In effetti il bwiti è un sincretismo fortemente segnato dal modello cristiano nella sua topografia simbolica, nella sua organizzazione del tempio e della classe sacerdotale, addirittura nella liturgia, e le radici polverizzate dell’iboga sostituiscono l’ostia cristiana sia praticamente che concettualmente.

Conferenza al MEZCAL SQUAT
Corso Pastrengo Collegno (TO)

Mezcal Fly 2web insieme

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Sostanza delle culture e cultura delle sostanze

Mezcal Fly 2web insiemeMolti sono gli strumenti atti a modificare la coscienza, ma uno dei più importanti, forse il più importante di tutti, per antichità, per universalità, è il ricorso a piante o sostanze
psicoattive.
Aldous Huxley scrisse che è molto improbabile che l’uomo possa vivere senza paradisi artificiali, e questi paradisi artificiali sono da sempre ricercati per tre motivi apparentemente molto diversi l’uno dagli altri, ma che a ben guardare lo sono molto meno di quanto sembri. Un motivo magico-religioso, cioè per trascendere i confini del quotidiano e mettersi in contatto con una realtà che abitualmente sfugge alla coscienza ordinaria; un motivo direi esperienziale, vale a dire di percorso individuale, di conoscenza altra. Un motivo, infine, edonistico, ricreazionale. Cioè la ricerca dello “sballo”.
L’azione di queste sostanze è appunto lo stimolo all’immaginario, al fantastico, al piacere, attraverso la stimolazione di aree cerebrali percettive e cognitive. Nel cammino dell’uomo queste sostanze sono state immediatamente utilizzate; “immediatamente” nel senso di “senza mediazione” né scientifica né programmatica: non vi era bisogno di particolari elaborazioni per accettarle, perché esse erano “cibo”, un qualcosa da immettere nel corpo per vivere. E’ la cultura e i suoi stereotipi che rendono legale e moralmente accettabile una droga sociale –l’alcool- e inaccettabile un’altra -la cannabis- non certo le caratteristiche
chimiche dell’una o dell’altra. Soltanto partendo da una visione che integri biologia e antropologia, farmacologia e psicologia potremo aprire un dibattito serio, costruttivo e
senza isterismi: abbandonando i discorsi vuoti e moralistici potremo iniziarne uno completamente radicale, che da un lato coinvolga tutto l’apparato sociale ed economico qual è quello nel quale giornalmente dobbiamo vivere, e dall’altro tenga conto di nuove dimensioni di coscienza e di piacere.

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Zippy Times

Monument60’s Hippy + Technopersona = Zippy. Gli zippies lavorano per combinare l’idealismo con l’iniziativa privata per ottenere un nuovo modello di socialismo imprenditoriale. Il movimento più dinamico degli anni ’90, nato in Inghilterra, è un agglomerato temporaneo cresciuto per resistere alla repressione del governo britannico contro le forme di vita alternative. Attualmente sta coagulando un’improbabile comunità formata da sparse pattuglie di resistenza hippie, appassionati del computer, post-punkeria anarchica, ballerini ecstatici dei rave, rampanti imprenditori techno-spirituali, il tutto spruzzato con un revivalistico ritorno alla coscienza celtica pagana. Secondo l’Encyclopaedia Psychedelica uno zippie è una persona che ha trovato un equilibrio tra i due emisferi e raggiunto la fusione del tecnologico con lo spiriruale.Technoottimisti, technopratici, e positivi rifuggono sia dalla tecnofobia degli hippie sia dalla tecnodipendenza consumistica dei cyber-punks. Accaniti difensori delright to party sono iperattivi nell’organizzare situazioni collettive di incontro dove indulgere in sedute psicoattive, varie attività tribali e dove farsi bombardare da techno music devastante.
La differenza tra movimento zippie e movimento hippie è che questa volta partiamo già da metà strada.

Se vuoi saperne di più:

almanacco psichedelico

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