Innanzitutto, cosa resta da salvare? L’impero della distruzione ha continuato a espandersi fin dal Neolitico,2 rafforzando costantemente le basi scientifiche e materiali (industriali) della sua potenza per lanciarsi, agli albori del XIX secolo, in un’offensiva generale (finale?) contro il vivente. Quella che da Chaptal, il chimico e imprenditore ministro di Napoleone I, viene per analogia chiamata “la rivoluzione industriale”, quando invece fu un’accelerazione verticale, ininterrotta e forse esponenziale, iniziata nel Medioevo, e anche prima. Da allora, tutti gli indicatori statistici (economici, demografici, di crescita, produzione, consumo, traffico, comunicazioni, inquinamento, distruzione, ecc.) hanno un andamento che assomiglia alla traiettoria di un missile che punta sempre più velocemente allo zenit. Molti ne sono entusiasti e lo chiamano progresso.
Gran parte dell’attività scientifica consiste nel fare l’inventario di queste distruzioni e delle loro autopsie, e nel tenere un registro di quelle in corso. Avremo così la soddisfazione di sapere che la nostra stessa scomparsa è in gran parte il risultato di un suicidio; e questo suicidio è il risultato dell’istinto di morte, teorizzato da Freud..’ Vale a dire una volontà infantile di onnipotenza che finisce per volgersi
contro se stessa, poiché il potere crescente dei mezzi acquisiti supera la saggezza di chi li detiene.
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