La vita è una festa, facciamo festa alla vita

Sono portato a pensare che una coscienza sveglia smuova il mondo più facilmente che lo scatenarsi dell’entusiasmo gregario. La radicalità è una radiosità attraente, una scorciatoia che interrompe i percorsi ordinari della riflessione laboriosa.
Creare la mia felicità favorendo quella degli altri è più in sintonia con la mia volontà di vivere che i lamenti della critica-critica, il cui muro ottura o perlomeno oscura i nostri orizzonti.
Vi sono fiammate d’impazienza in cui griderei volentieri “Lasciatevi andare! Sbattete nelle fogne gli adulatori del denaro! Rompete gli ormeggi del vecchio mondo, abbracciate l’unica libertà che ci rende umani, la libertà di vivere!”.
Non ignoro che fare ricorso alle parole d’ordine e alle esortazioni dà più importanza alla cappa d’inerzia che alla coscienza che la incrina e finirà per spezzarla. Tuttavia niente e nessuno m’impedirà di gioire al pensiero di non essere il solo ad auspicare un tornado festivo che ci libererà, come di una brutta colica, dei morti-viventi che ci governano. Il ritorno della gioia di vivere irride la vendetta, il regolamento di conti, i tribunali popolari. Il respiro degli individui e delle collettività va oltre le strutture corporative, sindacali, politiche, amministrative, settarie; evacua il progressismo e il conservatorismo, queste messe in scena di un egualitarismo cimiteriale che è ormai il portato delle democrazie totalitarie. Apre all’individualista, inacidito dal calcolo egoista, la via di un’autonomia in cui scoprirsi come un individuo unico, incomparabile, offre la migliore garanzia di diventare un essere umano a pieno titolo. L’individuo ascolta i consigli ma rifiuta gli ordini. Imparare a rettificare i propri errori lo dispensa dai rimproveri. L’autonomia s’iscrive nel dolce stil novo destinato a soppiantare il regno del disumano.
Lasciar marcire quel che marcisce e preparare le vendemmie. Questo è il principio alchemico che presiede alla trasmutazione della società mercantile in società vivente. Non è forse l’aspirazione a vivere superando la sopravvivenza a innescare ovunque l’insurrezione della vita quotidiana? Vi è in questo una potenza poetica di cui nessun potere può venire a capo, né con la forza né con l’astuzia. Se la coscienza tarda ad aprirsi a una tal evidenza è perché siamo abituati a mettere a fuoco le cose a rovescio, a interpretare le nostre lotte quotidiane in termini di sconfitte e vittorie senza capire che è l’anello al naso che ci conduce al macello.
Vagando tra appassimento e rinnovamento, abbiamo acquisito il diritto di schivare e abbandonare una danza macabra di cui conosciamo tutti i passi, per esplorare una vita di cui, purtroppo, abbiamo potuto conoscere soltanto dei piaceri furtivi.
La nuova innocenza della vita ritrovata non è una beatitudine né uno stato edenico. È lo sforzo costante richiesto dall’armonizzazione del vivere insieme. Spetta a noi tentare l’avventura danzando sul sepolcro dei costruttori di cimiteri. (Raoul Vaneigem, 21 aprile 2021)

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