In Italia il rebetiko, (una musica greca nata agli inizi del XX secolo), e la sua storia sono praticamente sconosciute. La cosa più semplice che si si può dire su questo tipo di musica è che è possibile paragonarla al blues. Sono canzoni altrettanto belle, altrettanto profonde ed emozionanti dei più bei blues con i quali presentano così tante somiglianze. L’unica, la sola grande differenza è che le origini del blues sono rurali mentre il rebetiko da sempre è stato la musica della città e della notte. I principali compositori popolari greci dei rebetika – Tsitsanis, Vamvakàris, Daskalàkis, Mitsàkis, Papaioànnu, Màthesis, Bàtis – sono sullo stesso livello dei più grandi compositori blues come Armstrong, Fals Waller e Sidney Bechet. Sfortunatamente, il rebetiko si è evoluto molto più velocemente del blues principalmente a causa dell’influenza del turismo, che in pochi anni ha modificato i luoghi, l’ispirazione e il modo di orchestrazione di queste melodie, così che il suo periodo autentico, quello in cui sgorga da solo dalle bocche e dalle dita dei compositori popolari, non dura più di mezzo secolo. Diciamo che i primi rebetika, con ritmi, atmosfere ed esecuzioni definite che non cambieranno successivamente, sono del 1920 circa. E’ una musica che si suona essenzialmente con il buzuki e il baglamas e i cui testi ruotano intorno alla taverna, il vino, la miseria, la notte, la morte, la prigione, i porti, l’hashish, il narghilè. Canta il Rebetis cioè un uomo dei bassifondi, un uomo del “milieu” o semplicemente del sottoproletariato urbano: un uomo povero ed emarginato, un uomo dello strato infimo della società, nel significato e nel valore borghese del termine.
Il rebetiko rivalorizza il termine ipocosmos vale a dire il vero mondo, il mondo dove c’è vita, sofferenza, realtà, in contrasto con il mondo convenzionale e falso della borghesia e dell’intellighenzia.
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