Contro la Resilienza Nazionale

Ammissione di impotenza di fronte a disastri considerati fatali, la resilienza è fondamentalmente uno strumento di diversione: dalle cause dei disastri ai loro effetti, dalla loro oggettività sociale alla soggettività della loro gestione e percezione, dalla responsabilità dei leader a quella delle vittime.                                                                 Un’arma di adattamento di massa.
La resilienza è una tecnologia del consenso. Si tratta di accettare l’inevitabilità dei disastri, in particolare di quelli tecnologici, per imparare a “convivere” con essi senza mai prendersela con le loro cause. Consenso all’allenamento, all’apprendimento e alla sperimentazione di condizioni di vita degradate dal disastro. Consenso alla partecipazione per deresponsabilizzare i decisori e colpevolizzare le vittime. Il rapporto della missione sulla resilienza nazionale è perfettamente in linea con una profilassi partecipativa che chiede ai cittadini di cogestire i disastri con pezzi di spago per non ribellarsi: “Il vostro relatore ritiene che sia essenziale che [ in Francia ] la popolazione sia messa nella posizione di attori piuttosto che di consumatori, come quando siamo stati incoraggiati a farci da soli le mascherine sanitarie. Questo coinvolgimento potrebbe, a sua volta, ridurre la sensazione di ansia o addirittura di angoscia provata.” Come dire: Non ha senso arrabbiarsi, bisogna reagire in tempo.
La resilienza è un’arma di adattamento massiccio da cui dobbiamo allontanarci perché trasforma la sfortuna in merito. È diventata una metafisica di Stato della sfortuna, che giustifica il disastro come controparte ineluttabile del progresso, fino a farne la sua fonte. Il colpo di mano eugenetico dei terapeuti resilienti, maestri nell’arte di rispondere cambiando le domande, consiste nel sostenere che la catastrofe non è ciò che accade, ma l’impreparazione individuale e collettiva a ciò che accade. Progettano una felicità palliativa di poca salute, poca vita, poca pace, poca libertà, poco rifiuto e rabbia. Perpetuano ciò che già esiste, mentre occorre evitare che i disastri avvengano. (Questo testo è tratto da Thierry Ribault, Contre la résilience)

 

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