La questione ecologica si impone fin dall’epoca della World Transumanist Association, antenata dell’odierna Humanity+. Vivere 120 o 150 anni, spingere i limiti della fertilità femminile attraverso tecniche di procreazione assistita, non provocherà forse l’esplosione della popolazione mondiale, non metterà sotto torchio gli ecosistemi, non accelererà il sorgere di irregolarità climatiche, non provocherà carestie?
I transumanisti statunitensi si preoccupano di tutto questo e, a partire dagli anni duemila, mobilitano il saggista e romanziere cyberpunk Bruce Sterling. Costui, nel gennaio 2000, fa circolare un manifesto per una nuova politica ecologista “verde smeraldo”. Le sue proposte per soppiantare le inquinanti città industriali del XX secolo sono: «prodotti profondamente glamour ed ecologicamente razionali; oggetti completamente nuovi fabbricati con materiali nuovi; sostituzione della materialità con l’informazione; creazione di un nuovo rapporto tra la cibernetica e la materia.»
Riguardo la questione della sovrappopolazione, i transumanisti ripetono che «allungandosi la durata della vita, ci sentiremo molto più responsabili delle conseguenze ecologiche dei nostri comportamenti.» (Humanity+) Detto in altri termini dall’utilitarista Peter Singer, «è preferibile che ci sia meno gente ma che viva più a lungo, perché chi è nato sa di che cosa la morte lo priva, mentre chi non esiste non sa cosa si perde.» Logico, no? Da parte dei “tecnoprogressisti” francesi, si sostiene che “là dove i cittadini vivono più a lungo, fanno meno figli”. E perciò il progresso tecnico accelererà la transizione demografica. Ma se dovessimo verificare il rapporto rischioso che c’è tra speranza di vita e responsabilità ecologica, il XX secolo dovrebbe smentirlo, tanto l’aumento della durata di vita sembra correlato, tra le altre cose, con l’aumento dei conflitti (e in alcuni casi si tratta di genocidi), delle catastrofi ecologiche o della messa a punto di bombe apocalittiche.
Per combattere il riscaldamento climatico un certo Matthew Liao, professore di filosofia alla New York University, assieme a Anders Sandberg e a Rebecca Roach di Oxford (dunque, non dei gestori di oscuri blog), hanno delle salde proposte transumaniste. La più semplice sarebbe di natura farmaceutica, come ad esempio l’assunzione di pillole in grado di provocare il disgusto per la carne o che aumenterebbero la nostra empatia. Sempre grazie alla selezione e all’editing genetico del tipo CRISPR, potremmo anche aumentare le nostre pupille con geni di felino per vedere di notte (e ridurre così gli impianti di illuminazione che divorano energia), e diminuire il peso e la taglia dell’umanità: «Riducendo la taglia media degli americani di 15 cm, si ridurrà la massa corporea del 21% per gli uomini e del 25% per le donne.» Una minore massa corporea significa minori bisogni energetici e nutritivi. D’altronde si creano maiali nani destinati ai laboratori farmaceutici. Perché non ci abbiamo pensato prima? Perché lo stato in cui si trovava l’ingegneria genetica non ce lo permetteva.
L’ecologia transumanista è impregnata di ideologia della “resilienza” – termine che viene dalla psicologia, sinonimo di adattamento alla degradazione delle condizioni di esistenza –, che oggi prevale perfino nelle Conferenze sul clima. «A priori non bisogna scartare alcuna idea se questa può sfociare in un migliore adattamento dei corpi al loro ambiente. […] Sul breve o medio termine, l’essere umano mi sembra infinitamente più flessibile e malleabile rispetto al pianeta che ci ospita.» Questa idea apparentemente nuova non è altro che una rimasticatura di Norbert Wiener che, già nel 1950, ci poneva di fronte a questo obbligo: «Abbiamo modificato così radicalmente il nostro ambiente che adesso dobbiamo modificare noi stessi per sopravvivere nel nostro ambiente nuovo.» Si tratta, nel solco della tradizione del darwinismo sociale, di permettere la sopravvivenza a chi meglio si adatta. Muoiano i deboli e gli inadatti.
Da qui la richiesta di trasformazioni genetiche. Ecco l’impostura. Dietro il volontarismo tecnico, domina la sottomissione; la degradazione del nostro ambiente è un fatto ineluttabile, a cui non ci resta altro che adattarci.
Questo transumanismo che si fregia di valori ecologisti e democratici contesta la vecchia amministrazione del disastro da parte delle “burocrazie verdi”. Non vuole presentarsi come un’ecologia della costrizione ma dell’aumento. O piuttosto, attraverso ogni aumento, mettere l’umanità allo stesso livello di un ambiente propriamente disumano. Sia perché ci surclassa – è la tesi di Ray Kurzweil, pioniere del transumanismo secondo il quale l’intelligenza artificiale ci costringe ad aumentare le nostre capacità cognitive – sia perché è ecologicamente invivibile. Probabilmente, entrambe simultaneamente. Ecco qual è la loro ambizione, un insulto ai fondatori dell’ecologia, agli Ellul, Charbonneau, Illich.
Portando avanti un discorso che si pretende ecologista, i transumanisti auspicano certamente disinnescare la critica e far aderire alla propria opinione. Ma l’impostura resta. Esiste una corrente “ecologista” tecnica. Il prodigio del Club di Roma, con il suo studio I limiti dello sviluppo del 1972, non è stato forse quello di aver elaborato il modello del mondo sul computer, qualche mese prima che la NASA lanciasse il suo primo satellite di osservazione e di monitoraggio della Terra?
Il progetto transumanista è l’esito della nostra sottomissione alla perizia tecnica. Si tratta di un progetto anti-umanista, per quanto ne dica Luc Ferry ne La révolution transhumaniste. Quando il saggista ci assicura che il transumanismo è un “iper-umanesimo”, mente. Quando afferma che non si tratta più «di subire l’evoluzione naturale, ma di padroneggiarla e condurla noi stessi», evita di definire questi “noi stessi”. Si tratta del popolo? O dei tecnocrati dirigenti, della loro stessa casta di ingegneri delle anime e dei corpi? Ma d’altronde cosa possiamo aspettarci dall’autore di Il nuovo ordine ecologico (1992), in cui assimilava l’ecologismo al nazismo e all’anti-umanesimo?
Nella favola transumanista, l’umanità non è composta da animali politici ma da animali-macchine. Questa favola riduce la storia al solo progresso tecnologico.
Ecologisti, se volete sopprimere le nocività e non adattarvi a esse, dovete ristabilire la storia. Non confondere progresso tecnologico con progresso sociale e umano. Bisogna scegliere, restare degli umani di origine animale oppure diventare inumani dall’avvenire meccanico.
TomJo, ottobre 2016 (tratto da Ecologismo e transumanismo)
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