AUTOPRODUZIONE

xxxAutoproduzione è, da un pezzo, parola di moda. E’, come ogni altra parola alla moda, rappresenta un concetto vago, tale da permettere a molti di imprimervi i propri significati e, in alcuni casi, anche i propri interessi. Vi è chi, ad esempio, si impegna a confonderla con il mitico terzo settore, da cui tanti sperano di trarre denari e carriere in cambio di un po’ di declamazioni eque e di un pizzico di chiacchiere solidali. vi è persino chi pretende di identificarla con l’odiosa e spregevole autoimpresa, il coniglio transgenico uscito dal casco dell’autonomo e della tuta bianca del disobbediente, oppure con l’autovalorizzazione grata a tutti coloro che sono ansiosi di monetizzare l’antagonismo proprio e, del caso, pure quello altrui (un esempio caratteristico è la messa in vendita di filmati, materiali, scritti di esperienze collettive gratuite, quali quelle del Virus di via Correggio a Milano). Converrà perciò precisare che noi intendiamo qui per autoproduzione, ogni attività che degli individui, o dei gruppi, rinunciando volontariamente a ricorrere alle possibilità esistenti sul mercato, scelgano di svolgere con forze proprie per fruirne essi stessi, da soli o insieme con altri, ma sempre in uno spirito di gratuità e senza chiedere contraccambio alcuno. Autoproduzione tipica, e particolarmente immediata è quella della coltivazione della canapa. Autoproduzione tradizionale e diffusissima è quella che si svolge ai margini delle metropoli negli orti abusivi. Ma anche attività più complesse e meno alimentari, come i giornali, i cd, le fanzine, i manifesti, i volantini, sviluppati in proprio, con propri strumenti, magari assemblati senza passare per la cassa di alcun negozio. Affini all’autoproduzione sono il riciclaggio, appunto, di strumenti informatici, elettronici, meccanici, di mobili, abiti, giocattoli, le mille soluzioni creative alla complessità delle esigenze e alla banalità delle soluzioni offerte dal bazar delle merci e delle bugie. (Continua)

 

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