Dada e comunismo secondo Huelsenbek

Richard Huelsenbek

Richard Huelsenbek

Il dadaista è ateo, per istinto. Non è più metafisico, nel senso che trova, in frasi che dipendono da teorie della conoscenza, una regola per la condotta della sua vita; per lui non esiste più il “devi”; il bocchino per sigaretta e l’ombrello hanno per lui lo stesso valore non temporale che la cosa in sé. Anche un orinatoio pubblico è una cosa in sé. Di conseguenza per il dadaista il bene non è “migliore” del male: non esiste che la simultaneità, anche per i valori. Questa simultaneità, applicata all’economia dei fatti, è propria del comunismo, un comunismo a dir la verità che avrebbe rinunciato al principio del “voler fare meglio” e che avrebbe soprattutto l’obiettivo di distruggere tutto ciò che si è imborghesito. Il dadaista è quindi contro ogni idea di paradiso, qualunque sia, e una delle idee che gli è più estranea è quella per cui lo spirito sarebbe “l’unione di tutti i mezzi per migliorare l’esistenza umana”. La parola miglioramento gli è d’altra parte totalmente incomprensibile, sotto qualsiasi forma, perché egli vi scopre un’occupazione artigianale con la vita che, inutile, senza scopo e abietta com’è, non rappresenta certamente un fenomeno dello spirito e non ha quindi alcun bisogno di miglioramento nel senso metafisico del termine. Per il dadaista l’associazione delle due parole, spirito e miglioramento, è una bestemmia. Il male ha un significato profondo, la polarita degli avvenimenti vi trova un limite e il vero politico (come Lenin pare sia) mette, certo, il mondo in movimento, ossia dissolve delle individualità con l’aiuto di un teorema, ma non lo modifica. E, per quanto paradossale possa sembrare, è anche ll senso del comunismo. (Richard Huelsenbek, 1920)

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