Abbiamo bisogno di nuovi punti di riferimento. Il nichilismo affarista ha avuto l’ottima idea di spazzar via i valori patriarcali e il cattivo gusto di sostituirli soltanto con un feticismo del denaro pronto a svendere tutto al miglior offerente.
Certo la tavola è rasa ma come apparecchiarvi il meglio senza esporlo al peggio? Dalla cupidigia, dalla corsa al profitto, dal calcolo interessato non può nascere niente. Le loro incrostazioni nutrono, come un brodo di coltura, i germi d‘incurabili infezioni. La stessa contestazione vi si corrompe, quando vitupera il vecchio mondo con la modernità di una mentalità arcaica e si nega il piacere di scoprire i primi segni di rinnovamento.
Eppure — quante volte si dovrà ripeterlo? — solo la coscienza e l’esigenza del vivente possono gettare le basi di una nuova società.
A causa della sua gratuità, la vita è una realtà che nessuna forma di pensiero economizzato è capace di conoscere e riconoscere. Iniziamo appena a renderci conto fino a che punto essa, sfuggendo a ogni tentativo di contabilità, sia stata inafferrabile, incomprensibile, inaccettabile.
Non sostengo che i situazionisti siano stati i primi a esplorare l’universo dei desideri e delle passioni, liberando dalle loro pastoie quei valori umani chiamati a fondare una civiltà i cui progressi servano l’uomo anziché la merce. Ma perlomeno hanno acuito la coscienza di un’epoca in cui il ventaglio del possibile si andava aprendo a sorprendenti trasformazioni. Lungi dal limitarsi alla semplice constatazione, hanno illuminato il loro presente con la determinazione a distruggere ciò che impediva loro di vivere e a inventarsi un destino esaltante.
L’analisi intransigente dei situazionisti ha contribuito non poco alla banalizzazione di comportamenti che, a dispetto delle regressioni contingenti, si adoperano a forgiare il futuro: il rifiuto del lavoro in nome della creazione; il rigetto della rinuncia e del sacrificio a vantaggio del godimento; l’abolizione dello scambio a favore del dono; l’estirpazione dei meccanismi che economizzano l’uomo in nome della sovranità della vita e della sua gratuità.
Operando per la sparizione della società mercantile, l’Internazionale Situazionista ha accettato la sfida di inserire le divergenze personali su un canovaccio la cui invariabilità non soffriva né discussione né controversia.
Persisto nel ripudiare in anticipo chiunque non sia visceralmente risoluto a farla finita con un sistema economico fondato sullo sfruttamento della natura terrestre e della natura umana. Per contro, il dibattito sulla società vivente che soppianterà la società mercantile propone all’esplorazione e alla coscienza soggettive un territorio di una ricchezza e di un’incertezza insospettate. È questione di ricerca, di creatività, di sensibilità individuale.
So bene che esiste un rischio di goffaggini e di aberrazioni suscettibili di confortare la società dominante con la scusa di volerla abolire. Non nutro dubbi, tuttavia, che un progetto comune possa fondarsi a poco a poco nellesuberanza e nella confusione delle volontà d’emancipazione. Una verità unica è una verità morta, le verità che si cercano sono molteplici come la vita, basta che restino vive.
La maggior parte dei commenti azzardati sul progetto situazionista ha creduto di dover sostenere con la rigidità dello stile il rigore del discorso — non parlo dei regolamenti di conti che si autorizzano le larve cadute da quel cadavere che è sempre stato il situazionismo e che tanti proseliti continuano a friggere e rifriggere nel piatto delle mondanità. (Raoul Vaneigem, 2005)
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