Sono un prigioniero politico! Sono un prigioniero di guerra! Benché sia anarchico, e quindi non ammetto il potere, non ammetto la politica, devo purtroppo riconoscere che alla politica di potere del capitale occorre contrapporre la conquista del potere da parte del proletariato. La nostra militanza è politica proletaria, resistenza, rivolta alla guerra del capitale contro l’umanità. Questo tribunale rappresenta il capitale, i suoi interessi economici, il suo Stato, la sua politica di potere: è un’arma per la sua guerra. Pertanto non è neutrale, e la sua pretesa di giustizia non solo per le questioni politiche ma a livello globale, non trova un riscontro oggettivo. Non può esservi giustizia finché esiste la proprietà privata e la concentrazione del potere, cioè lo Stato; non vi è uguaglianza finché esiste la proprietà privata e il potere statale. Giustizia e uguaglianza hanno lo stesso significato, ossia parità di diritti e di doveri, il che presuppone uguaglianza delle condizioni economiche, cioè proprietà collettiva, democrazia di base, libera federazione di collettività.
Ove esiste l’uguaglianza, esiste anche la libertà del singolo e della società. La libertà del singolo non è limitata dalla libertà di tutti, come intendono gli individualisti puri, poiché la libertà sociale non può limitare la libertà del singolo, in quanto quest’ultima non può esistere in antagonismo alla libertà sociale. Per contro, l’arbitrio che pretende diritti non fondati sull’unità sociale, non ha nulla a che vedere con la libertà: è solo dispotismo, che si basa sulla non-libertà degli altri; dipende quindi dalla disponibilità degli altri a subire il comando e l’autorità. L’arbitrio spezza l’unità tra società e individuo, creando divisioni innaturali e contrastanti con il principio di libertà.
Una conferma della possibilità di un sistema sociale basato sulla libera federazione delle collettività, ci viene quotidianamente dal regno animale, esaminato mediante gli strumenti dell’etologia. Un’altra conferma c’è data dalle società dei Pellerossa, o dalla nostra stessa storia. Ancora oggi esistono tracce di antiche forme di libertà anche nella struttura sociale svizzera. Esistono ancora modelli di democrazia di base e resti di autonomia. Cooperative, pascoli comuni, alpeggi, tuttavia sempre più ridotti dalla brama di ricchezza individuale e dalla necessità di espansione, soprattutto nel settore agricolo. Con ciò si sottrae al contadino povero la possibilità di sussistenza, il territorio diventa vieppiù proprietà delle banche, e questo a causa di sistemi di lavorazione sempre più onerosi sotto il profilo finanziario.
Chi ha assaporato il gusto della libertà, e chi ha fatto di questa la sua amante, non se la lascerà sottrarre. Combatterà il segno più tangibile della violenza che l’uomo arreca a se stesso e alla natura del nostro tempo: le montagne di immondizie e di veleno che contaminano il territorio e le nostre menti stuprate. Combatterà contro chi produce questa spazzatura e questo veleno. Si accorgerà che l’uomo è libero se lo è la società: che una società libera può essere creata solo da uomini liberi interiormente. L’uomo non può essere servo di qualcuno, ma sa che solo colui che non vuol essere padrone non può essere nemmeno servo. Questo è il nostro destino. Chi ora volesse supporre che per questa dichiarazione, con le sue numerose citazioni, io sia strumento nelle mani di una persona, di un potere o di un’ideologia, si sbaglia. Alla base delle mie convinzioni, delle mie azioni e del mio sistema di vita, stanno le mie esperienze come soggetto di questo sistema. Come studente, bohèmien, operaio, consumatore. Esperienze come individuo agente e cosciente nel rapporto con uomini, donne, gruppi, animali. La mia coscienza è il risultato della contemplazione critica della realtà e della mia persona. Risultato del tentativo costante di analizzare ed eliminare contraddizioni ed errori. Se uso parole di altri, se mi dichiaro di sinistra, è perché v’intravedo il più basso livello di contraddizione fra la mia identità, i miei sentimenti e una vera collettività capace di sopravvivere. Vi riconosco cioè la maggiore ricorrenza di punti concordanti tra la mia personalità e l’ambiente.
Ritengo inutili altre dichiarazioni relative alla mia persona, come trovo inutile dialogare con il tribunale. Con esseri umani sono sempre disposto a parlare, anche se sono giudici, poliziotti o danarosi. Ma la premessa è che si parli da essere umano a essere umano, e non con ingranaggi o vittime di funzioni o cariche, vittime di un clima di intolleranza, di fascismo strisciante, di repressione, di reazione, quali ritengo che siano gli individui allineati qui di fronte a me e che si arrogano il diritto di giudicare. Io non vi odio, ma voi siete i nostri nemici e i nostri boia! – Dichiarazione al tribunale di Coira, gennaio 1981. Tratto da Rassegnazione è complicità, ed. l’Affranchi, 1992.
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