Quando penso uomo, penso.
Patata, popò, papà, cacca, tetta,
e alla l del piccolo alito che esce fuori per rianimare ciò.
Patata, necessità del vaso di essere, che può essere avrà la sua portata.
E dopo patata, cacca, soffio del wc fatemi il piacere delle segrete necessità.
L’uomo che è internato e si può interrare quando non lo si è incenerito nel fonte battesimale dell’essere.
Perché battezzare è cuocere un essere contro la sua propria volontà.
Nudo per nascere e nudo per morire, l’uomo che si è cotto, strangolato, impiccato, graticolato e battezzato, fucilato e incarcerato, affamato e ghigliottinato sul PATIBOLO dell’esistenza,
“bum”,
quell’uomo mangia tre volte nella giornata.
Quando potrà mangiare in pace?
Voglio dire senza vampiro larvato tra le fessure della dentiera.
Perché chi mangia senza dio e tutto solo
?
Perché un piatto di semplici lenti è molto meglio dei Veda, Purana, Brahma Putra, Upanishad, Ramayana, i Kama Rupa o il TaraKyan per raggiungere il fagotto (strumento musicale) remoto delle tenebre della camera bassa in cui l’uomo attore rutta cannoni masticando la lente oculare dell’occhio sul piatto della propria sofferenza, – o abbaia imprecazioni quando le sue fibre si sfasciano sotto il bisturi.
Quando dico:
Merda, peto della mia verga,
(con tono imprecatorio, quel peto, eruttando sotto i colpi di stivale della polizia),
quando dico orrori della vita, solitudine di tutta la mia vita,
cacca, segreta, veleno, genia di morte,
scorbuto di sete,
peste d’urgenza,
dio risponde sull’Himalaya:
Dialettica della scienza,
aritmetica del tuo usufrutto, esistenza, dolore, osso raspato dello scheletro del vivere contro AZILUTH,
al quale,
io,
io dico ZUT.
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