L’allodola, soffrendo per la perdita della sua libertà, non cantava più, non aveva più nulla di cui essere felice. L’uomo che aveva commesso questa atrocità, come la chiamava mio nonno, voleva che l’allodola facesse quello che lui desiderava. Voleva che cantasse, che cantasse con tutto il cuore, che esaudisse i suoi desideri, che cambiasse il suo modo di essere per adattarsi ai suoi piaceri.
L’allodola si rifiutò e l’uomo si arrabbiò e divenne violento. Egli cominciò a fare pressioni sull’allodola perché cantasse, ma non raggiunse alcun risultato. Allora fece di più. Coprì la gabbietta con uno straccio nero e le tolse la luce del sole. La fece soffrire di fame e la lasciò marcire in una sudicia gabbia, ma lei ancora rifiutò di sottomettersi.
L’uomo l’ammazzò.
L’allodola, come giustamente diceva mio nonno, aveva uno spirito: lo spirito della libertà e della resistenza.
Voleva essere libera, e morì prima di sottomettersi al tiranno che aveva tentato di cambiarla con la tortura e la prigionia.
Sento di avere qualcosa in comune con quell’allodola e con la sua tortura, la prigionia e alla fine l’assassinio. Lei aveva uno spirito che non si trova comunemente, nemmeno in mezzo a noi umani, cosiddetti esseri superiori.
Prendi un prigioniero comune, il suo scopo principale è di rendere il suo periodo di prigionia il più facile e comodo possibile. Alcuni arrivano ad umiliarsi, strisciare, vendere altri prigionieri, per proteggere se stessi e affrettare la propria scarcerazione. Si conformano ai desideri dei loro carcerieri e, a differenza dell’allodola, cantano quando gli dicono di cantare e saltano quando gli dicono di muoversi.
Sebbene il prigioniero comune abbia perso la libertà, non è preparato ad arrivare alle estreme conseguenze per riconquistarla, né per proteggere la propria umanità. Costui si organizza in vista di un rilascio a breve scadenza. Ma, se incarcerato per un periodo abbastanza lungo, diventa istituzionalizzato, diventa una specie di macchina, incapace di pensare, controllato e dominato dai suoi carcerieri.
Nella storia di mio nonno era questo il destino dell’allodola, ma lei non aveva bisogno di cambiare, né voleva farlo, e morì per questo. Bobby Sands
Bobby Sands, detenuto politico irlandese, lasciato morire in carcere dopo sessantasei giorni di sciopero della fame, il 5 maggio 1981; dopo una settimana, il 12 maggio, è la volta di Francis Hughes. Raimond McCreesh e Patsy O’Hara muoiono il 21 maggio. Tra luglio e agosto del 1981 la stessa sorte toccherà ad altri sei prigionieri.
Questo testo venne, all’epoca dei fatti tradotto, impaginato e diffuso da Horst Fantazzini