La rivoluzione (mancata) degli psichedelici

Gli anni ’50 del Ventesimo secolo furono gli anni in cui in Occidente si riscoprirono le sostanze psichedeliche ad opera di un ristretto numero di appassionati, accademici e militari. Gli psichedelici dovettero essere ri-scoperti in quanto la civiltà industriale è una delle pochissime società generalmente ignare delle piante psicotrope e in cui non si osserva alcun utilizzo generale nell’ambito delle guarigioni, iniziazioni, pratiche religiose, eccetera. LSD, mescalina, psylocibe sembravano promettere cambiamenti rivoluzionari in svariati campi dell’indagine scientifica e della medicina, nonché una rivoluzione nel concetto stesso di ricerca scientifica. Premesse che sono praticamente rimaste insoddisfatte, soffocate da una lunga e violenta reazione anti-psichedelica. Questa opposizione, messa inizialmente in atto dal governo statunitense, perpetuò una lunga e cupa tendenza puritana, che condusse il mondo verso la grande follia delle moderne politiche proibizioniste. Lo stesso establishment scientifico sembrò – e sembra – essere contagiato da questa situazione malata: oggi sono rari gli scienziati che hanno la percezione di quanto sia importante e potenzialmente rivoluzionario, da un punto di vista scientifico, lo studio delle sostanze psicotrope. Gli accademici, nella loro quasi totalità, non hanno alcuna consapevolezza del fatto che la riscoperta degli psichedelici è stata una delle più importanti evoluzioni sociali e scientifiche del Ventesimo secolo. Chi esprimesse queste idee si renderebbe imperdonabilmente esposto al ridicolo della grande maggioranza degli scienziati. La censura e ancor più il pregiudizio, l’autocensura, e la carriera in questo campo sono padrone assolute. Non è difficile intuire chi, da questa vera e propria repressione intellettuale, abbia tratto vantaggio.

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