1962: i rapitor cortesi

LA STAMPA Varese, 13 novembre 1962. […] Non pareva proprio d’essere in Tribunale, tanto quest’aria benevola ondeggiava visibile dal pretorio all’emiciclo, sino a sfiorare le toghe dei giudici. Il diplomatico ha reso la sua deposizione senz’ombra di risentimento, anzi, senza neppure preoccuparsi di nascondere la simpatia che lo lega ormai alla brigatella dei dieci o dodici ragazzi che un giorno, sul finire dello scorso settembre, lo portarono via con un pretesto, in auto, e lo tennero per tre giorni e mezzo prigioniero in una baita di montagna. Presidente — Ma quando la fecero salire su quell’auto, non ebbe la sensazione di essere minacciato? Elias — Ero preoccupato, ma soltanto perché andavano troppo veloci con quella macchina! Presidente — Ma armi, in quel viaggio, ne vide? Le fu puntata qualche pistola contro? Elias — Fui urtato da qualcosa di duro, ma non posso dire che fossero armi. Presidente — Che cosa le dissero i suoi rapitori? Elias — Che non avevano nulla contro di me, che mi avrebbero rilasciato dopo tre o quattro giorni, che non mi avrebbero fatto del male, che facevano questo per salvare un amico spagnolo condannato a morte. Presidente — Non pensò di opporre resistenza? Elias — No, quando mi diedero quelle assicurazioni che non sarei stato maltrattato che mi avrebbero lasciato libero entro pochi giorni, io li lasciai fare senza difficoltà. Presidente — Vide che maneggiassero pistole in quella baita, i suoi rapitori? Elias — Sì, ad un certo punto saltò fuori una pistola, ma per poco tempo. Presidente — Ma non si sentì minacciato? Elias — No, per niente, per niente! Presidente — Stamattina abbiamo interrogato il De Tassis. Ci è parso un po’ seccato perché lei gli avrebbe detto: «Guardi che se io avessi voluto scappare lo avrei potuto fare perché lei si è messo a dormire mentre mi faceva la guardia ». Il De Tassis avrebbe replicato: « Io avevo le chiavi della baita in tasca, lei non poteva fuggire… ». Elias — Beh, sì, ci siamo fatto anche questo discorso. Eravamo entrati in confidenza. Ormai la cosa era su un piano, come dire?, di reciproca… «Di reciproca stima », ha completato un avvocato della difesa. Ed il vice-console, ridendo: «Esatto, di reciproca stima ». A questo punto, l’aria benevola che fin dal primo momento ha cominciato a spirare su questo processo è esplosa in una risata aperta che ha scosso tutta l’aula. Ridevano tutti, avvocati, parte lesa, imputati, carabinieri. P. M. — È facile adesso portare il processo in chiave umoristica. Ma ricordiamoci che c’è anche una chiave tragica. Lei, signor console, soffriva di disturbi cardiaci? Sua moglie soffriva di disturbi cardiaci? Elias — Sì, io e mia moglie abbiamo sofferto di disturbi cardiaci, in passato. Presidente — Sua moglie fu molto impressionata per il suo rapimento? Elias — Si, ma me lo spiego. Lei era lontana, non sapeva dove fossi e con chi… Il vice-console ha poi confermato che una volta si offrì di versare del denaro ai suoi rapitori, quelle millecinquecento lire che aveva nelle tasche al momento del ratto. Elias — Li avevo pregati di comperarmi una medicina, ma quelli rifiutarono: «Noi, danaro non ne tocchiamo ». Oh! gran bontà dei rapitori di buona famiglia! […]  II dott. De Giacomo (P.M.) dice che egli respinge un’impostazione politica del processo: « Qui non si fa il processo al generale Franco, qui non si può prendere occasione dalla causa di rapimento per elevare censura ai sistemi giudiziari in vigore in un Paese amico. La politica non deve entrare in quest’aula. Dò atto agli imputati che essi agirono ritenendo che il loro amico, l’anarchico Conill, fosse condannato a morte, ma non interessa a me, non interessa a questa causa il sapere se fu veramente condannato a morte o se la pena di morte fu soltanto richiesta ». Gli avvocati difensori (sono uno stuolo, tra cui alcune tra le toghe più famose dei fori della Lombardia e del Veneto) hanno fatto notare che le testimonianze invocate erano necessarie alla causa, perché si riferiscono al particolare valore morale e sociale del gesto degli imputati. Il Tribunale, ascoltate le ragioni dei difensori e del Pubblico Ministero, si è ritirato per una lunga consultazione in camera di consiglio. Poi è uscito con un’ordinanza che è stata salutata dagli avvocati della difesa come una loro prima vittoria: è stato ammesso il nuovo teste, professor Carasol, sono stati confermati gli altri tre già in lista. Quindi è incominciata la sfilata degli imputati. Per primo ha parlato Amedeo Bertolo. Il 21 settembre lesse sul giornale Le Monde che l’amico Conill era stato sottoposto a processo e che per lui l’accusatore aveva chiesto la pena capitale. Impressionato, si mise a contatto con alcuni amici, con loro studiando un piano per «fare qualcosa» in favore dell’amico Presidente — Avevate armi? Bertolo — C’erano due pistole, ma erano nella baita, scariche. Le pallottole erano in un sacchetto. Presidente — Avevate detto a qualcuno, in città, di questo rapimento? Bertolo — Sì, la sera io ritornai a Milano. Incontrai il Fornaciari e gli dissi di portare su in baita viveri e denaro. Poi mi recai in biblioteca, dove incontrai alcune nostre amiche. Anche a loro dissi che avevamo rapito il vice-console… P. M. — E per la questione del finanziamento? Avevate fatto un piano d’accordo coi giornalisti di « Stasera »? Bertolo — No, sulle prime avevamo deciso che ognuno avrebbe pensato a sé… Poi, ci preoccupammo di prendere contatto coi giornali perché volevamo far sapere il motivo del rapimento del vice-console. Presidente — Ci può dire qualcosa sullo studente Conill? Bertolo — Lo conoscemmo durante un nostro soggiorno in Spagna. Conill era studente in chimica, un giovane anarchico generoso che rischiava la pelle per la libertà. Gli parlammo molte volte. Ci raccontò dei lavoratori delle Asturie arrestati, ci parlò degli studenti caduti nelle mani della polizia politica spagnola. Ci disse che in caso di arresto avrebbe preferito essere prigioniero dei militari, perché la polizia politica spagnola è formata da disperati che incrudeliscono sulle loro vittime ben sapendo che non hanno più che poco da vivere. P. M. — Al vice-console avete detto che egli era un ostaggio, che avevate intenzione di scambiarlo, sui Pirenei, con il giovane vostro amico Conill. Bertolo — Ma sì. Si sono fatti anche questi discorsi, ma per una vanteria… È seguito, davanti ai giudici, Gianfranco Pedron. Pedron — Chiesi scusa al vice-console del disturbo che gli avevamo dato. Dissi che ero fiero di quello che avevamo fatto. Osservai che anche lui doveva essere fiero di aver collaborato a salvare la vita di un uomo! Presidente — Magari non molto volentieri… Ecco il De Tassis. È, in questa comitiva di ragazzi, quello che ha i lineamenti più marcati, la voce più virile. De Tassis — Fui io a procurare una delle due pistole che avevamo nella baita. Il Bertani procurò l’altra. Presidente — E non le usaste? De Tassis — No, perché ad un certo momento si stipulò con il viceconsole un patto di gentiluomini… Lui non si sarebbe mosso, noi avremmo portato via le armi. Nel pomeriggio sale al pretorio il Tomiolo, un altro tra i bigs della compagnia. Presidente — Non mi verrete a dire, per l’amor di Dio che avete puntato le armi sul vice-console? Tomiolo — Mai! Luigi Gerli e Giovanni Battista Novello-Paglianti hanno aggiunto poco a quanto già sappiamo. Giorgio Bertani narra di quella targa d’auto che i rapitori portavano con sé, proponendosi forse di usarla (egli deve perciò rispondere anche di furto). Bertani — Ai miei amici, per vanteria, ho sempre detto di aver rubato quella targa. Ma non è vero. Me la diede un amico che l’aveva appena sostituita… Presidente — Il giornalista Dell’Acqua le consegnò una somma di denaro? Bertani — Sì, centomila lire. Trattenni le spese di viaggio e consegnai il resto al Sartori… Il giornalista Aldo Nobile, di Stasera ha narrato ai giudici di essersi interessato presso i giovani rapitori per la riconsegna del vice-console alla polizia. Il processo continua domani. Gigi Ghirotti  

L’esecuzione dell’anarchico Jorge Conill Vall non venne eseguita. (n.d.r.)

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