Gli stati di coscienza modificati della reclusione

180442785-8416db37-6b07-4da0-9e0d-8925e6fcff52La  soglia del reclusorio è più tagliente del più affilato rasoio. Chi l’attraversa non può evitare uno sfregio la cui rimarginazione non è affatto scontata.
La prima rasoiata isola il neo-recluso dai suoi mondi consueti, lo decontestualizza totalmente e in un lampo lo getta in uno stato di spaesamento radicale. Il noto, il famigliare, l’abituale, scompaiono dal suo orizzonte sensoriale ed egli brancola, smarrito, nel vortice d’un risucchio che lo aspira entro un orrido di cui non percepisce altro che i pericoli. Lo stato di spaesamento trova nella vertigine la sua forma più consueta. Secondo Daniel Gonin, medico penitenziario e coordinatore di una ricerca condotta nelle carceri francesi per conto del Consiglio di Ricerca del Ministero della Giustizia, almeno “un quarto degli entranti in prigione soffre di vertigini (…). Quando questi malesseri si manifestano in forme spettacolari, per poco non arrivano a far cadere per terra coloro il cui equilibrio è più precario. Tuttavia, anche se in forme meno gravi, condizionano ogni detenuto, costituendo una sorta di mordenzatura, sulla quale si fissano progressivamente tutte le modificazioni sensoriali del recluso”!
La seconda rasoiata investe il flusso polimorfo degli stimoli ambientali che, improvvisamente, viene disseccato. La riduzione drastica degli stimoli ambientali induce, in chi la subisce, un grappolo di fenomenologie riconducibili alle transe di ipostimolazione.
Arnold Ludwig nella sua celebre catalogazione degli stati di coscienza osserva che la riduzione delle stimolazioni esterne può essere considerata il dispositivo induttore portante degli stati conseguenti alla reclusione.
Le ricerche sulla Riduzione degli Stimoli Ambientali hanno mostrato che le persone soggette a questa variazione accusano disfunzioni sensoriali, motorie, percettive, cognitive ed emozionali. Ed inoltre, in un estremo tentativo di difesa, esse recuperano memorie cruciali sepolte, chepossono favorire un processo di adattamento come pure suscitare ansie aggiuntive le cui radici restano sfuggenti.
Stati di allucinazione visiva, auditiva, tattile; del gusto e deIl’oIfatto; difficoltà a camminare, scrivere, leggere; distorsioni della percezione del tempo e dello spazio; sconvolgimenti dell’alimentazione, del sonno, della sessualità accompagnano chi vive quest’esperienza spesso anche per lunghi periodi dopo la sua fine.
Queste prime manipolazioni collocano a tutti gli effetti le torsioni relazionali esercitate dall’stituzione nell’ordine della tortura; traducono le pene reclusive inflitte dai giudici nei tribunali in manipolazioni dei sensi e della coscienza le cui implicazioni sono del tutto trascurate da chi le innesca. Come trascurate sono pure le reazioni. Prima fra tutte, la morte. Che è l’esito, talvolta immediato, di una dissociazione fallita; dell’incapacità o del rifiuto di elaborare, nel vortice della vertigine, un Senso qualsivoglia per la propria esistenza nella nuova condizione.
D’altra parte, l’elaborazione, sia pur embrionale, di un Senso, se per un verso mette al riparo dalla morte, per un altro spinge una parte di sé a vestire la divisa del carceriere e con ciò ad avviare una dinamica penosissima di dissociazione. (Renato Curcio Altrove 1998)

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Essere Proprietario

pugno di ferroEssere proprietario è arrogarsi un bene del godimento del quale si escludono gli altri; è, nello stesso tempo, riconoscere a ciascuno un diritto astratto di possesso. Escludendo dal diritto reale di proprietà, il possidente estende la sua proprietà sugli esclusi (assolutamente sui non-possidenti, relativamente sugli altri possidenti) senza i quali egli non è niente. Da parte loro, i non-possidenti non hanno scelta. Egli se ne appropria e li aliena come produttori della sua potenza mentre, per la necessità di assicurare la propria esistenza fisica, essi sono costretti a collaborare loro malgrado alla propria esclusione, a produrla e a sopravvivere nell’impossibilità di vivere. Esclusi, essi partecipano alla proprietà per il tramite del proprietario, partecipazione mistica perché, così, si organizzano all’origine tutti i rapporti di clan e tutti i rapporti sociali, che a poco a poco succedono al principio di coesione obbligata secondo il quale ciascun membro è funzione integrante del gruppo. La loro garanzia di sopravvivenza dipende dalla loro attività nel quadro dell’appropriazione privativa, essi rafforzano un diritto di proprietà da cui sono esclusi e, per questa ambiguità, ciascuno di essi si coglie come partecipante alla proprietà, come particella vivente del diritto di possedere, proprio mentre una tale credenza, nel momento in cui si rafforza, lo definisce ad un tempo come escluso e come posseduto. (Termine estremo di questa alienazione: lo schiavo fedele, il poliziotto, la guardia del corpo, il centurione che, per una sorta di unione con la propria morte, dà alla morte una potenza uguale alle forze di vita, e identifica in un’energia distruttrice il polo negativo dell’alienazione e il polo positivo, lo schiavo assolutamente sottomesso e il signore assoluto). Nell’interesse dello sfruttatore importa che l’apparenza si mantenga e si affini; la chiave non è in alcun machiavellismo ma in un semplice istinto di sopravvivenza. L’organizzazione dell’apparenza è legata alla sopravvivenza del proprietario, una sopravvivenza legata a quella dei suoi privilegi, ed essa passa per la sopravvivenza fisica del non proprietario, un modo di restar vivo nello sfruttamento e l’impossibilità di essere uomo. L’accaparramento e la dominazione ai fini privati sono così imposti e sentiti primitivamente come un diritto positivo, ma sotto la specie di un’universalità negativa. Valido per tutti, giustificato agli occhi di tutti per ragione divina o naturale, il diritto di appropriazione privativa si oggettiva in un’illusione generale, in una trascendenza universale, in una legge essenziale in cui ognuno, a titolo individuale, trova una giustificazione sufficiente per sopportare i limiti più o meno stretti assegnati al suo diritto di vivere e alle condizioni di vita in generale.

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SUCK: l’unico giornale underground erotico

suck1“Trasforma le parole in carne e la carne in parole”. II primo e unico giornale underground erotico (sett/69- giugno 74). Fondato a Londra da Jim Haynes (vecchia volpe de|’underground, Arts Lab, ET, UFO club) con Germaine Greer (“L’Eunuco Femmina”), William Levy (IT), Heatcote Williams (autore teatrale ”…con ancora il cazzo bagnato e gocciolante, nudo sotto un soprabito di pelle, reduce da una scopata con Jean Shrimpton…”) e soprattutto con i soldi messi da un miliardario parigino maoista. Data la pruriginosa attitudine inglese nei confronti del sesso sin dai tempi di Oscar Wilde, i nostri cospiratori stamparono il primo numero ad Amsterdam (con l’aiuto di Willem dc. Kidder direttore del giornale u.g. “Aloha” e del mitico disegnatore provo Willem). II primo numero fece furore, Scotland Yard chiuse l’indirizzo postale, perquisì le case dei redattori, mandò ad investigare i suoi uomini in Olanda. Nonostante i controlli 1000 copie di Suck vennero contrabbandate e regalate nel corso di una manifestazione in favore del Living Theatre alla Roundhouse. Willem venne espulso dal paese, Jim Haynes lascio Londra per Parigi.
Glissando Ia censura Suck viene prodotto a L.A. e a Francoforte. La grande gioiosa utopia della rivoluzione sessuale viene vissuta caoticamente, con graffi e carezze da un comitato di redazione arrapato e radicale. Una delle loro operazioni più felici fu il “Wet Dreams Festival”, rassegna di cinema erotico e di congressi carnali su barconi lungo i canali di Amsterdam. “Come utilizzate Ia possibilità del vostro organismo di avere 4000 orgasmi nel corso della vostra vita? (questo numero é esatto se siete pigri o se morite giovani, 10.000 orgasmi secondo i nostri calcoli dovrebbe essere la cifra reale)” Questa frase dimostra chiaramente la preoccupazione sociale della redazione di Suck, che riusc’ a trattare Ia libido senza squallore e con una salutare dose di autoironia per poi chiudere nel ’74: ”La vecchia bestia deve riposarsi, ci sono altre cose da fare.” Femminismo, gelosia, diversità d’intenti…gli amanti esausti sciolsero l’abbraccio. Di Jim Haynes, sempre super attivo nel campo della liberazione sessuale, ricordiamo l’autobiografia uscita nel|’84 “Thanks For Coming” (in tutti i sensi). Matteo Guarnaccia 

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WHITE RABBIT The Jefferson Airplane

jeffersonairplaneNel dicembre di quel fatidico 1966, gli studi della RCA Victor di Hollywood raccolgono i suoni di Surrealistic pillow, secondo episodio del racconto Jeffersoniano. Il Cuscino surrealistico è il primo, grande, esplicito omaggio all’uso delle droghe, al suono liberato, alla musica priva di camuffamenti e di energie soffocate, al rock come pratica di conoscenza e quindi di cultura. All’interno dell’album troviamo White rabbit (Coniglio bianco) con la sua esplosiva carica sovversiva, concentrata in meno di tre minuti nel suo inneggiare al LSD attraverso l’evidente riferimento ad Alice nel paese delle meraviglie.

“Una pillola ti fa più largo
e una ti fa più piccolo,
e quella che ti dà tua
madre
non ti fanno proprio nulla.
Vai a domandarlo ad Alice
quando è alta dieci piedi.

E se vai a caccia di conigli
e sai che stai per cadere,
di loro che un bruco che
fumava il narghilè
ti ha chiamato.
Chiama Alice
quando era proprio piccola.

Quando gli uomini sulla
scacchiera
si alzano e ti dicono dove
andare
e tu hai appena preso
qualche specie di funghi
e la tua mente si muove
con lentezza.
Vai a domandarlo ad Alice
penso che lo sappia.

Quando la logica e la
proporzione
sono cadute fradice e morte,
e il cavaliere Bianco sta
parlando alla rovescia
e la Regina Rossa ha perso
la sua testa

Ricorda cosa disse il ghiro
Nutri la tua testa
Nutri la tua testa.”

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BLUEBERRY di Jan Kounen

blueberry 1l film racconta la storia di Mike Blueberry, un uomo senza passato che, ritrovato in fin di vita dagli indiani Chiricahua, viene da loro curato ed anche iniziato a misteriose pratiche sciamaniche. In bilico tra due civiltà, quella indiana e quella dei bianchi, Blueberry diventa l’aiutante dell’anziano sceriffo della piccola cittadina di Palomito, ricorrendo di volta in volta sia al buon senso, sia alla sua abilità nell’uso della pistola, sia anche alle sue pratiche magiche per mantenere l’ordine nel paese ed evitare scontri e tensioni tra i cittadini ed i nativi americani. La situazione precipiterà quando arriverà in paese il pistolero Wally Blunt che, alla ricerca di un antico tesoro indiano, metterà a ferro e fuoco la città scontrandosi con Blueberry, il quale avrà modo di fare luce sul proprio passato scoprendo di conoscere Blunt ed avere un conto aperto con lui.
Allucinato viaggio nei fantasmi della mente, Blueberry è un film che prende a pretesto la cornice western per introdurci, senza farne troppo mistero, in uno psichedelico trip mentale.
Il personaggio di Blueberry apparve la prima volta con la rivista settimanale francese Pilote nel 1963, disegnato di uno dei più grandi autori di fumetto di tutti i tempi: Jean Giraud in arte Moebius.
Il regista Jan Kounen, documentatosi in Messico e in Amazzonia sullo sciamanesimo, sceglie di parlare dell’ascetismo e dei riti delle tribù degli indiani pellerossa, usando a pretesto la storia dello sceriffo loro paladino. Col risultato di una maggiore attenzione alle deliranti visioni dall’uso delle sostanze allucinogene oltre agli aspetti misteriosi e affascinanti di questa cultura. La seconda parte del film è tutta incentrata su tecniche e rimedi “magici” degli sciamani, adottati nello specifico, nel combattimento “psichedelico” tra Blueberry e l’antagonista Wally: enorme impiego di effetti speciali di sicura presa, costituite da immagini geometriche dai mille colori che si trasformano in altre immagini simili ad una velocità vertiginosa. Immagini che non sono mai ferme ed è difficile descriverle adeguatamente perché di solito non hanno alcun riscontro con alcunché di reale e di definito (immagini caleidoscopiche). blueberry 3
Intervistato sul film il regista dichiara: “Tuttavia, affrontando lo sciamanesimo ho avuto un problema: era un tematica di cui non sapevo molto. Ho realizzato che, a dispetto di tutto ciò che avevo letto a proposito, non avevo una conoscenza abbastanza accurata di cosa uno sciamano fosse in termini quotidiani. Avevo bisogno di documentarmi. Sono andato in Messico e in Perù per incontrare gli sciamani. Durante ognuno di questi viaggi ho scoperto nuove realtà che hanno trasformato la mia percezione delle cose e mi hanno aiutato a nutrire lo script.
Visto che nel mondo in cui viviamo tendiamo a sostenere l’esistenza di una sola realtà. Volevo combattere quest’idea preconcetta mostrando un’altra realtà, quella esplorata dagli indiani. La nostra cultura domina la dimensione materiale molto bene ma non è così per la dimensione spirituale. Per gli indiani è quasi l’opposto; la loro cultura affronta questioni fondamentali come la natura, la realtà o la coscienza in un modo talmente raffinato da farci apparire, in confronto, dei primitivi! L’ordine del mondo riposa su un fragile equilibrio tra le diverse forze vitali. Lo sciamano “restaura il disordine” quando qualcosa rompe il circuito degli scambi. È un viaggiatore tra i mondi, visibili ed invisibili. Lo sciamanesimo è una scienza dello spirito. Gli Indiani dell’Amazzonia e del Messico mettono questa tecnologia in pratica usando dei potenziatori esterni come le piante. Sono potenziatori distruttivi, letteralmente, perché fanno si che si possa penetrare un livello di realtà molto più ampio e affrontare la coscienza in modo diverso. Questa è la realtà sciamanica. Mentre il mondo occidentale sta soffrendo di una reale perdita di direzione e si è inchinato alla disgregazione, noi dobbiamo, come Blueberry, imparare molto dal mondo indiano che invece prova a preservare le proprie tradizioni ancestrali, la sua eredità storica e culturale.”

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La Lega dei Furiosi

la lega dei furiosi

“Per il mercante anche l’onestà è una speculazione”
Baudelaire

“Come una croce per lungo per largo
si stende quel che è accettato
dagli il fuoco del tuo odio”
Paul Eluard

Come sfondo un’esigenza di comunicazione più ampia alla cui base ci sono le autoproduzioni di media.
Il principio informatore è l’autogestione e lo spirito, la solidarietà. Oggetto: il libero sviluppo della creatività, fuori e oltre il mercato, avendo come fine la dilatazione delle idee di libertà, di rivolta sociale e delle pratiche Iiberatrici.
L’organizzazione: un coordinamento di quanti credono a tutto ciò e si impegnano a renderlo concreto.
Nel 1989, quando e nata, la Lega dei Furiosi si è concepita così. Si trattava di dare una risposta pratica ad una domanda fondamentale del circuito delle autoproduzionl rinato, negli anni ’80, all’interno del movimento delle occupazioni di spazi vuoti e dei centri sociali autogestiti. Come produrre e far circolare fanzine, dischi, libri, riviste, ecc… – i supporti grafici e sonori attraverso i quali si esprimono parte delle nostre idee – sganciandosi dall’apparato produttivo e di distribuzione che, né vogliamo alimentare, né contribuire a far crescere?
Molti sono stati e sono i tentativi per dare risposta al problema, le prove ed i successi, ma altrettanti gli scivoloni, e sempre attuale il rischio e la realà della cooptazione nel mercato. Per alcuni, la scelta di adattarsi alla merce è un’attività praticata in buona fede convinti che il “contenuto” si può far strada indipendentemente dai mezzi e dal metodo con cui le idee vengono diffuse, per altri un arrendersi alle difficoltà oggettive, per altri ancora un vero e proprio sfruttamento della creatività vitale del movimento, delle sue idee, dei suoi spazi, dei suoi circuiti, alla ricerca del denaro o più spesso di uno status sociale particolare: duello dell’artista, del musicista, del tipo di creatore di comunicazione che la società spettacolare definisce underground o d’avanguardia e che coccola e vezzeggia ben consapevole della sua funzione anestetizzante e sterilizzatrice.
Il coordinamento dei furiosi è nato ed agisce in questa situazione, all’interno dei problemi di diffusione dei materiali autoprodotti e delle contraddizioni che in questo settore il movimento esprime. I risultati non sono mancati Il nostro non è, ne vuole essere, un gruppo chiuso e insiste – molto piacevolmente a dire il vero – nel ricercare, con le vecchie e nuove realtà con cui viene in contatto, la base dell’agire comune su un’ affinità di metodo e di fine condiviso, su una solidarietà umana e pratica che ci ha permesso, dopo le inevitabili discussioni e defezioni di proseguire abbastanza spediti.
La distribuzione, almeno nelle zone dove ifuriosi agiscono e migliorata; abbiamo diffuso in migliaia di copie un catalogo collettivo; siamo stati presenti a Torino, Napoli, Roma, Perugia, Milano, Rovereto, Piacenza, Imperia, Firenze etc, in tempi, modi ed esiti diversi; in primavera a Roma é in programma un meeting internazionale delle autoproduzioni, il 1° numero della nostra videozine é pronto; all’interno della Lega si é sviluppata e portata a concretezza l’uscita del 33 giri ‘Senza Riserve’ e dell’Agenda ‘93.
Forse già abbastanza per l’esiguo numero di situazioni coordinate, pochissimo per fare la nostra parte, per contribuire a dare maggior forza e gambe al Movimento in un periodo che assiste (in una situazione fortemente dinamicizzata) ad un rifiorire notevole di iniziative.
La repressione falcidia i centri sociali occupati, ma nascono altri gruppi e collettivi, una nuova generazione, con istanze diverse, si affianca a quella degli anni ’80. Radio e reti di collegamento si diffondono, il computer continua nel bene e nel male la sua marcia, i fax “ronzano” sempre più. Nella comunicazione purtroppo diminuiscono le fanzine, ma nascono riviste; le iniziative editoriali esistenti crescono, altre, nuove, incominciano a svilupparsi, una diversa creatività si fa strada. Noi vogliamo che sia piena e totale espressione di contrapposizione alle regole imposte nei contenuti e nei metodi; e diffusa, fatta circolare.
Per questo vogliamo collegarci con tutti coloro che si sentono disponibili a praticare una distribuzione e una produzione il più possibile sganciati dal business librario e discografico, Vogliamo estendere la diffusione ovunque, essere maggiormente capillari e puntuali; vogliamo crescere, organizzarci meglio, fare insieme — perché é più facile — altridischi, libri e organizzare quant’altro ci venga in mente, sicuri della solidarietà fattiva degli altri furiosi.
Siamo nella piena convinzione che non basta avere delle idee ma che é necessario farle conoscere e circolare utilizzando criteri affini ai contenuti e che perfar questo e necessario attrezzarsi un minimo. Un coordinamento, La Lega dei Furiosi, che sempre più perfeziona i suoi strumenti, che é sempre più consapevole di ciò che vuole e del ruolo che può svolgere.
Nessuna velleità di grandezza, ma nemmeno propugnatori del ‘piccolo e bello’; nessuna voglia di considerarsi l’unico strumento ma semplicemente uno tra gli altri.
Di una cosa siamo sicuri; di non voler entrare in alcun modo nel mondo della comunicazione spettacolo. I Furiosi…. (Agenda Furiosa 1993)

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I Pedoni Investitori di Alfred Jarry

jarryL’opinione pubblica si è commossa in occasione della corsa automobilistica Parigi-Berlino, per l’incidente che segue: in una delle città neutralizzate, un bambino di dieci anni ha inteso attraversare la strada al sopraggiungere di un veicolo che procedeva alla velocità piuttosto moderata di dodici chilometri all’ora, rimanendo ucciso sul colpo.
Quindi fino al giorno in cui la follia che consiste nel lasciar circolare la gente a piedi senza autorizzazione, targa, freno, campanello, tromba e fanale non sarà finita, dovremo sconfiggere questo pericolo pubblico: il Pedone investitore.
Per prevenire temporaneamente il problema è stato elaborato un regolamento provvisorio in quattro articoli.
Articolo primo
Il permesso di circolazione del pedone potrà essere richiesto esclusivamente dai minori: bambini, donne e uomini che non abbiano ancora svolto il servizio militare.
È noto che quest’ultimo sia stato istituito principalmente per inculcare nell’uomo i primi rudimenti dell’andare a piedi.
Articolo secondo
Il pedone che abbia l’età richiesta o sia munito di regolare autorizzazione, provvisto dei regolamentari apparecchi di segnalazione sarà (ispirandosi alla legge che in Inghilterra regola la circolazione delle vetture prive di cavalli) preceduto, alla distanza di cinquanta passi, da un agente del Genio Civile, giurato, che agiterà una bandiera o un fanale rosso, e seguito, alla stessa distanza, da un agente di ronda che agiterà a sua volta freneticamente una bandiera o un fanale verde.
Articolo terzo
Il pedone in tenera età, per via del legittimo sospetto che sia propenso a velocità esagerate, sarà ammesso sulle strade, stanti le condizioni suddette, soltanto se tenuto al guinzaglio.
Articolo quarto
Una sola bandiera collettiva sarà sufficiente per i pedoni intruppati, tuttavia, poiché è necessario che la pubblica sicurezza non sia compromessa da una tolleranza tanto ampia, la truppa in questione dovrà essere preceduta da una musica rumorosa a sufficienza da essere udibile alla distanza di cinquecento metri: ciascun individuo, inoltre, dovrà essere munito di un segnalatore a detonazione.

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Cesarano-Collu: le insurrezioni vitali

500px-Uomo_armato_e_con_passamontagna_negli_anni_di_piombo_Il processo rivoluzionario non potrà avere mai più i tratti esclusivi della guerra civile, i tratti della Comune di Parigi o della Mackhnovicina. Ma è sempre più probabile che la produzione «in vitro» della guerra civile, lo spettacolo speciale pirotecnico e sensazionale del terrorismo teleguidato, ottenga un relativo successo, e di conseguenza un relativo coinvolgimento di una parte del proletariato rivoluzionario nella sua pratica alienata. E proprio attraverso l’esperienza vissuta di questa alienazione, apparirà sempre più chiaro il necessario passaggio alla fase ultimativa del processo: la disgregazione attivamente perseguita, la liquidazione «armata (con tutte le anni necessarie) dell’universo concreto in cui il capitale assolutamente dominante realizza la propria valorizzazione. La vera guerra civile si scatena a partire dall’interno di ogni essere: nella maturazione accelerata «di una consapevolezza che strappa l’essere al sembrare, il vero all’apparente, la realtà in processo alla rappresentazione in dissolvimento, una consapevolezza che rifiutando insieme l’essenza selvaggia della guerra e l’essenza mortifera della «civiltà» superi entrambe nell’affermazione «incivile» della propria assoluta estraneità al mondo delle apparenze, e che lo combatte per liquidarlo concretamente una volta per sempre. La lotta sarà armata, perché si seppelliscano per sempre gli strumenti di morte. Distinguere i rivoluzionari armati dai sicari della falsa guerra sembrerà talvolta difficile, ma lo sembrerà soltanto, e non alla dialettica radicale: il corpo proletario della specie si è riconosciuto istantaneamente nei fatti di Detroit, di Danzica, di Stettino, e altrettanto istantaneamente si riconoscerà nei tratti inconfondibili delle insunrezioni vitali. (Cesarano-Collu: Apocalisse e rivoluzione 1973)

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Nanotecnologia come ordine dominante

robot 2Nello sforzo di ottenere il controllo totale d’ogni aspetto dell’esistenza, l’ordine dominante ha iniziato ad accelerare lo sviluppo di tecnologie che manipolano la materia su scala nanometrica. Si tratta di milionesimi di millimetro. A questo livello, quello degli atomi e delle molecole, delle proteine, dei composti di carbonio, del DNA e simili, la differenza tra vivente e non vivente può iniziare a farsi confusa e molte proposte riguardanti questa tecnologia si basano su questa confusione. La nanotecnologia crea nuovi prodotti con la manipolazione di molecole, atomi e particelle subatomiche. Mentre la biotecnologia manipola la struttura del DNA per creare nuovi organismi attraverso la ricombinazione dei geni, la nanotecnologia va oltre spezzando la materia in atomi che poi possono essere ricombinati per creare nuovi materiali che sono, nel vero senso della parola, creati atomo per atomo. Al momento si stanno concentrando sull’atomo del carbonio, ma gli scienziati vorrebbero avere sotto controllo ogni singolo elemento della Tavola Periodica, per disporne a piacimento. Questo permetterebbe loro di combinare le caratteristiche (colore, resistenza, punto di fusione, ecc.) in modi sinora sconosciuti.
La nanotecnologia crea le più minuscole mostruosità capaci degli orrori più grandi, poiché sono capaci di portare il sistema del controllo sociale direttamente nei nostri corpi. In alcuni luoghi le mostruosità prodotte da queste tecnologie saranno forse provviste di un’etichetta, affinché ci sia sempre la possibilità di scelta. Non possiamo far finta che ci sia uno spazio per un dialogo. Questa è la dimostrazione evidente da parte dei padroni del mondo del fatto che il mantenimento della pace sociale è un atto di guerra contro ogni essere sfruttato e spossessato. Per quelli tra noi che desiderano creare la propria vita secondo i propri modi di vedere, per chi desidera rimanere un individuo umano capace di ogni sorta di azione autonoma, è necessario agire in modo distruttivo contro l’intero sistema del controllo sociale, contro la totalità di questa civilizzazione nella quale le macchine cavalcano le persone e le persone si trasformano lentamente in macchine.
Noi dobbiamo riconoscere questi sviluppi per quello che sono, un’altra rapina delle nostre vite, un attacco ad ogni nostra residua capacità d’autodeterminazione.

Per saperne di più:

nanotecnologia

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Debord, Jorn e Albissola

36999281Si sa che i situazionisti, per cominciare, volevano almeno costruire delle città, l’ambiente favorevole all’illimitato dispiegarsi di nuove passioni. Ma naturalmente non era facile; così che ci siamo trovati obbligati a fare molto di più. E, lungo questo cammino, parecchi progetti parziali hanno dovuto essere abbandonati; un buon numero delle nostre eccellenti capacità non sono state adoperate, come accade – e quanto più assolutamente e tristemente – a centinaia di milioni di nostri contemporanei. Asger Jorn, su una collina della costa ligure, adesso ha un po’ modificato alcune vecchie case ed ha costruito un giardino che le raccoglie. Quale commento farne che sia maggiormente pacifico? Siamo divenuti celebri, ci dicono. Ma l’epoca, che non conosce ancora tutti i suoi mezzi, è altrettanto lontana dall’aver riconosciuto tutti i nostri. Asger Jorn ne ha fatte tante, un po’ dappertutto, che molti non sanno che egli è stato situazionista più di chiunque altro, lui, l’eretico permanente di un movimento che non può ammettere ortodossia. Nessuno ha contribuito come Jorn all’origine di questa avventura: attraverso l’Europa egli trovava delle persone e tante idee, e perfino, nella più gaia miseria, trovava spesso di che saldare i debiti più vistosi che accumulavamo nelle tipografie.
I quindici anni trascorsi dall’incontro di Cosio d’ Arroscia hanno sì cominciato a cambiare il mondo, ma non le nostre intenzioni.
Jorn è una di quelle persone che il successo non trasforma, ma che continuamente trasformano il successo in altre scommesse. Al contrario di tutti coloro che una volta fondavano il loro carrierismo sulla ripetizione di una sola, esausta, gag artistica, e al contrario di tutti coloro che, in tempi più recenti, hanno preteso di basare la loro qualità generale immaginaria sulla sola affermazione di un rivoluzionarismo totale e totalmente inutilizzato, Asger Jorn non ha mai mancato di intervenire, anche su scala la più ridotta, in ogni campo a lui accessibile. Un tempo è stato uno dei primi ad intraprendere una critica moderna dell’ultima forma d’architettura repressiva, quella che attualmente si spande a macchia di petrolio sulle “acque gelide del calcolo egoista” e le cui particolarità possono essere dappertutto giudicate sul campo. E, in questa abitazione italiana, mettendosi all’opera una volta di più, Jorn mostra come, anche su questa questione concreta della nostra appropriazione dello spazio, ciascuno potrà intraprendere la ricostruzione della Terra attorno a sé, Terra che ne ha tanto bisogno. Ciò che è dipinto e ciò che e scolpito, le scalinate mai uniformi trai dislivelli del suolo, gli  alberi, gli elementi aggiunti, una cisterna, un po’ di vigna, i più diversi tipi di scarti sempre benvenuti, buttati là in un disordine perfetto, compongono uno dei passaggi più complicati che si possano percorrere in una frazione di ettaro e, in definitiva, uno dei meglio unificati. Ogni cosa vi trova il proprio posto senza fatica.
A chi non dimentica i rapporti conflittuali ed appassionati, e per forza di cose rimasti assai a distanza, trai situazionisti e l’architettura, questa deve apparire come una specie di Pompei alla rovescia: i rilievi di una città che non è stata edificata. La collaborazione di Umberto Gambetta a tutti gli aspetti dell’opera poi, vi arreca, se non quel gioco collettivo di cui Jorn ha esposto le prospettive per il superamento della cultura e della vita quotidiana separate, almeno il suo minimo indispensabile. Il Postino Cheval, più da artista, aveva costruito da solo un’architettura monumentale; e il re di Baviera aveva mezzi più cospicui; Jorn ha abbozzato, tra le altre cose e di passata, questa specie di villaggio, limitato purtroppo alla superficie di una “proprieta privata” così piccola, testimonianza i cio c e si può cominciare a fare – come diceva un altro di coloro che posero le basi del movimento situazionista, Ivan Chetcheglov “con un po’ di tempo, di fortuna, di salute, di denaro, di riflessione, (e anche) di buon umore…”.
Il buon umore comunque non è mai mancato nello scandalo situazionista, al centro stesso di tante rotture e violenze, di rivendicazioni incredibili e di imparabili strategie. Quelli che amano interrogarsi invano su ciò che la storia avrebbe potuto non essere – del genere: “sarebbe stato meglio per l’umanità che queste persone non fossero mai esistite” – si porranno assai a lungo un divertente problema: non si sarebbe potuto acquietare i situazionisti, verso il 1960, con qualche riformismo lucidamente recuperatore, dando loro due o tre città da costruire, invece di spingerli agli estremi, costringendoli a scatenare nel mondo la più pericolosa sovversione che si sia mai vista?
Ma altri ribatteranno di certo che le conseguenze sarebbero state le stesse e che, cedendo un po’ ai situazionisti, che già non intendevano accontentarsi di poco, non si sarebbe fatto altro che aumentare le loro pretese e le loro esigenze, e si sarebbe soltanto giunti più rapidamente allo stesso risultato. (Guy Debord – Albisola, settembre 1972)

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