Il ruolo di Potlatch

LettristePoltatch era il titolo di un bollettino di informazione dell’Internazionale Lettrista, di cui da Parigi furono diffusi 29 numeri, tra il giugno 1954 e il novembre 1957. Strumento di propaganda in un periodo di transizione tra i tentativi d’avanguardia insufficienti e mancati del dopoguerra e l’organizzazione della rivoluzione culturale che i situazionisti ora iniziano sistematicamente, Potlatch è stato indubbiamente nel suo tempo l’espressione più estremista, cioè più avanzata nella ricerca di una nuova cultura, e di una nuova vita.
Al di là delle mutevoli fortune che possono arridere alla nostra iniziativa, Potlatch è stato l’unico a colmare il vuoto delle idee culturali di un’epoca, il buco apparente nella metà degli anni ’50. È già sicuro di essere per la storia, non una testimonianza di fedeltà allo spirito moderno nel momento in cui regnava la sua parodia reazionaria, ma un documento su una ricerca sperimentale di cui l’avvenire farà il suo problema centrale. Ma questo avvenire è iniziato, è in gioco ognuna delle nostre vite. Il vero successo che si può attribuire a Potlatch è quello di essere servito all’unità del movimento situazioni sta, su un terreno più ampio e nuovo.
Si sa che Potlatch traeva il titolo dal nome, presso alcuni Indiani dell’America settentrionale, di una forma precommerciale di circolazione dei beni, fondata sulla reciprocità di doni suntuari. I beni non vendibili che un simile bollettino gratuito può distribuire, sono desideri e problemi inediti; e soltanto il loro approfondimento da parte di altri può costituire un dono di ritorno. Ciò che spiega il fatto che in Potlatch lo scambio di esperienze sia stato spesso sostituito da uno scambio di insulti, di quegli insulti dovuti alle persone che hanno della vita un’idea meno grande della nostra.

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L’Urbanistica per reprimere

Blanchard Les Grands Boulevards Parigi. Ben altri simboli meno inoffensivi e più organizzati dell’ingenua ostentazione della torre Eiffel aveva approntato pochi anni prima il barone Haussmann, prefetto di
Napoleone III.
Owen e Fourier, in linea con la nascente ideologia socialista, avevano inventato
proposte urbanistiche «dal volto umano» che tenessero conto delle esigenze della classe operaia.
Il «piccone risanatore» di Haussmann, con la scusa appunto del risanamento e dell’ adeguamento delle strutture urbane alle esigenze della popolazione accresciuta
(che di per sé sarebbe stato un moderno e indispensabile intervento di riordino dei servizi), opera in realtà per la repressione di qualunque rivoluzione e barricata popolare. Con la costruzione dei grandi boulevards la borghesia soddisfa le proprie ambizioni e rafforza i sistemi di difesa.
«Gli istituti del dominio mondano e spirituale della borghesia – scriveva Benjamin –
dovevano trovare la loro apoteosi nelle cornice delle grandi arterie stradali.
Certe arterie –erano ricoperte, prima della loro inaugurazione, da una tenda, e quindi
scoperte come monumenti».
Vivere in una bella cornice, lungo i viali, una bella infilata di case confortevoli e piacevoli da vedere, magari mentre si va a cavallo al Bois lungo i larghissimi marciapiedi costruiti apposta per questo uso. Non importa se il « didietro» delle case è poco curato e se alle spalle dei grandi tagli stradali rimangono quartieri non risanati, né se gli affitti aumentano e il proletariato viene progressivamente ricacciato nei sobborghi.
«l vicoli e i vicoletti più indecenti scompaiono tra le più alte congratulazioni reciproche dei borghesi di fronte ad un successo così fenomenale, per ricomparire subito dopo in qualche altro posto e spesso nelle immediate vicinanze» (Engels, La questione delle abitazioni).
Quanto alla funzione antibarricate e antirivoluzionaria,i risultati si toccarono con mano nel 1871, quando il «metodo Haussmann» diede una mano a schiacciare la Comune: più difficile erigere le barricate data la larghezza delle strade, facilissimo abbatterle con una coreografica carica di cavalleria, qualche scarica di fucileria o un colpo netto di cannone, sparato d’infilata dal fondo di un bel viale rettilineo.

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La rivoluzione è più facile della riforma

44905483-Ted-Kaczynski-Famous-PrisonersIl sistema non può essere riformato in modo tale da conciliare la libertà con la tecnologia. Il solo modo è di fare completamente a meno del sistema industriale tecnologico. Questo implica la rivoluzione, non necessariamente un’nsurrezione armata, ma certamente un cambiamento radicale e fondamentale nella natura della società.
La gente pensa che poiché la rivoluzione implica un cambiamento molto più radicale della riforma sia più difficile determinarla. In realtà, in certe circostanze, la rivoluzione è più facile che la riforma. La ragione è che un movimento rivoluzionario può ispirare un’intensità di impegno che un movimento di riforma non può ispirare. Un movimento di riforma offre solo la possibilità di risolvere un problema sociale particolare. Un movimento rivoluzionario offre la possibilità di risolvere tutti i problemi in un colpo solo e di creare un mondo interamente nuovo; fornisce il tipo di ideale per il quale la gente accetterà di accollarsi un rischio e di fare grandi sacrifici. Per queste ragioni sarebbe molto più facile rovesciare l’intero sistema tecnologico che imporre restrizioni e divieti permanenti allo sviluppo dell’applicazione di qualunque segmento della tecnologia, come l’ingegneria genetica. In condizioni opportune un grande numero di persone potrebbe dedicarsi con passione a una rivoluzione contro il sistema industrialotecnologico. I riformatori che cercano di limitare certi aspetti della tecnologia potrebbero impegnarsi per evitare un danno. Ma i rivoluzionari lavorano per ottenere una altissima ricompensa: la realizzazione della loro visione rivoluzionaria, e quindi lavorano più duramente e con più tenacia dei riformatori.
La riforma è sempre frenata dalla paura delle possibili conseuenze negative in caso di cambiamenti poco prevedibili. Ma, una volta che la febbre rivoluzionaria ha preso piede in una societa, la gente è disposta ad affrontare infinite avversità per il fine della rivoluzione. Questo fu dimostrato chiaramente nella rivoluzione francese e russa. Potrebbe essere accaduto, in quei casi, che solo una minoranza della popolazione fosse realmente impegnata riella rivoluzione, ma questa minoranza era sufficientemente ampia e attiva da divenire la forza dominante nella società. (Theodore J. Kaczynski, 1996)

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Huxley Aldous

aldous-huxleyMistico e visionario, si pone a un crocevia culturale importante: quello delle culture che si occupano dell’interiorità della vita spirituale e dell’esperienza psichedelica. Grande teorico dell’esperienza spirituale come dimensione sperimentabile in contrapposizione all’universo della fede dogmatica e indimostrabile.
Huxley aveva da sempre mostrato un vivo interesse per le sostanze in grado di plasmare la mente, e fin dagli anni Trenta tenne conferenze e scrisse articoli su di esse. Quando agli occhi di tutti le droghe erano solo o stimolanti (cocaina, caffè, tabacco ecc.) o narcotici (oppio, morfina ecc.), Huxley già parlava e scriveva di funghi allucinogeni e di sciamani siberiani. In uno dei suoi romanzi più famosi, Il Mondo nuovo, descrisse una potente droga futuristica il soma, dal nome del mitico enteogeno vedico.
Le porte della percezione (1954), libro nel quale descrive la sua esperienza con la mescalina, è diventato una sorta di “bibbia” del movimento psichedelico, probabilmente il miglior saggio che sia mai stato scritto sul rapporto fra esperienza psichedelica e esperienza artistica.gatto
Attraverso le sue intuizioni letterarie e le sue riflessioni filosofiche, politiche e psicologiche, molte delle quali conservano la loro attualità a quasi mezzo secolo di distanza, Huxley può a ragione essere considerato un pioniere nella ricerca sulle dimensioni della coscienza.
Morì il 22 novembre 1963, scegliendo un modo coerente con tutta la sua vita: sentendo che il cancro che lo divorava ormai da anni stava per mettere fine alla sua vita, chiese alla moglie di somministrargli come estrema unzione 100 mcg di LSD intramuscolo. Lo scrisse su un foglietto, con mano tremante, perché non era più in grado di parlare. Se ne andò perfettamente cosciente verso l’Altro Mondo, in serenità e senza le terribili sofferenze che i medici avevano previsto.

 

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I Ribelli dell’Hascisc

germania movimento 1È ORA DI DISTRUGGERE!
Da qualche tempo si è costituito a Berlino il CONSIGLIO CENTRALE DEI RIBELLI DELL’HASCISC ERRANTI. I Ribelli dell’hascisc hanno dichiarato guerra al terrore poliziesco e della squadra narcotici. Essi hanno organizzato smoke-in pubblici e manifestazioni davanti ai centri di disintossicazione, decisi ad attuare rappresaglie contro la polizia, assistenza legale a favore dei fumatori e un equipe di medici per i flippati. I Ribelli dell’hascisc sono il nucleo militante della controcultura berlinese. Lottano contro il sistema schiavista del capitalismo maturo. Lottano per la libertà di disporre del proprio corpo e della propria vita.
UNITEVI A QUESTA LOTTA!
Formate quadri militanti nelle campagne e nelle metropoli. Mettetevi in contatto con gruppi analoghi. Cagate su questa società della vecchiaia e del tabù.
Siate pazzi e fate cose belle. Have a Joint. Godetevela. Tutto ciò che vedete e che non vi piace, distruggetelo!
Osate lottare, osate vincere
Saluti anarchici
Il Consiglio centrale dei Ribelli dell’hascisc erranti (1970)

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Cannabar: il cannabis club autogestito.

e18Immaginate questa situazione: un bel locale, accogliente, con un bar che non serve superalcolici, dei tavoli, divani e poltrone, buona musica, giornali e libri che informano di droghe in libera lettura, una libreria ben fornita, un posto adatto per passare qualche ora piacevolmente rilassati, per guardare video, per seguire conferenze o quant’altro può sembrare opportuno fare per gestire questo posto e goderne. In Francia lo chiamerebbero cannibistrot, in Italia potrebbe essere chiamato cannabar, canapub, cannabis club o in qualunque altro modo venga in mente definire un luogo dove i cannabinofili possono intrattenersi, scambiare, comperare e fumare cannabis. Apparentemente un coffee shop, in realtà abbastanza differente dal suo cugino olandese. Immaginate poi che produttori e consumatori – i soli a rigor di logica ad avere diritto di parola e d’azione perché gli unici reciprocamente indispensabili – si organizzino in un consorzio e gestiscano direttamente tutte le questioni inerenti la cannabis da resina. Dalla produzione, ai controlli della qualità, dalla distribuzione e vendita nei cannabar all’informazione e ricerca su questa sostanza psicoattiva. Cannabis-Social-Club_28_550x367Un luogo dove i sia possibile acquistare erba e derivati provenienti direttamente dal produttore, senza l’intermediazione di qualche personaggio mangiasoldi, senza prezzi gonfiati, sicuri di usare prodotti di qualità, perché controllati dai consumatori, gli unici che hanno interesse a fumare bene e sano. Uno scenario irrealistico? No, a pensarci è l’unico auspicabile, il solo che potrebbe soddisfare gli interessi di chi produce e chi usa la cannabis; senza trafficanti, funzionari corrotti, spacciatori, istituzioni e burocrazie statali, regionali o comunali di mezzo. Uno scenario in cui si cerca di valorizzare la cannabis non più come merce, puntando decisamente sulla coltivazione personale non a scopo di lucro, per il piacere di autoprodursi la propria erba, per scambiarla e regalarla. Uno scenario in cui siano garantiti e valorizzati soprattutto gli interessi di chi usa la cannabis e quindi un’organizzazione della distribuzione e della vendita che veda, nella gestione, i consumatori a fianco ai produttori. La questione cannabis investe direttamente i differenti modi con cui la società potrà rapportarsi in futuro con tutte le droghe; il ventaglio delle posizioni riguardanti le possibili soluzioni è ampio. Va da quello liberista – che auspica per le droghe le stesse leggi di mercato di qualunque altra merce -, alla posizione che vorrebbe le droghe, e chi le usa, sotto stretto controllo e molto limitati nelle proprie scelte. La canapa in un regime liberista rischia inesorabilmente di diventare una merce banale, di perdere la sua ricchezza culturale e la sua convivialità, di smettere di “funzionare”. Come il tabacco: trasformato da potente allucinogeno qual’ era quello originale, in ridicoli tubetti bianchi, portatori dei più svariati malanni. I consumatori (e qui più che mai il termine si adatta) vedranno passare il loro denaro da quello delle mafie a quelle della Philips Morris o a quella di qualche industria farmaceutica. Con ogni probabilità l’informazione si trasformerebbe in pubblicità e la ricerca in propaganda, in istigazione al consumo. L’altro modello, lo statalista, è quello in cui lo Stato si prende il diritto di ragionare al posto delle persone, prescrivendo e dosando e che considera chi fa uso di cannabis un soggetto deviato. Nel modello statalista si considera la legalizzazione una concessione, non un riconoscimento di un diritto; si rischia di limitare la produzione individuale e privilegiare i grandi produttori che metteranno in commercio prodotti standardizzati, venduti in luoghi anonimi – tipo tabaccherie – che non permettono una reale informazione. La produzione a fini personali, quella che resta limitata ad un uso privato, per sé e per gli amici dovrebbe essere considerata dalla legislazione, alla stregua della coltivazione dei pomodori nell’orto o dei gerani sul balcone. E’ solo quando la cannabis diventa merce che si rende necessario un intervento per garantire ai consumatori la qualità e il giusto prezzo dei prodotti. I presupposti da cui nasce il consorzio sono il completo sganciamento dalla “tutela” delle istituzioni, la valorizzazione della produzione individuale e la massima garanzia per i consumatori che devono acquistare la cannabis. La partecipazione dei consumatori al consorzio è organizzata all’interno dei cannabar che diventano strutture modellate secondo i criteri che emergono dagli interessi e dall’agire concordato di produttori e utilizzatori. Produzione, controllo, informazione, distribuzione, vendita possono essere gestite senza alcun intervento statale e nello stesso tempo regolate su criteri moderatamente commerciali. Si tratta di una struttura che vede male sia l’ingerenza dello Stato controllore e tassatore che lo strapotere del mercato, che non considera la cannabis come qualunque altra merce, che non la vede come un problema di distribuzione, sanitario o di ordine pubblico; che ne organizza la libertà d’uso senza promuoverne la vendita, che ne valorizza l’uso psicoattivo, ludico, conviviale e curativo, che informa chi la usa dei rischi dell’abuso. E’ un modello che può iniziare senza interventi particolari che ha la possibilità di partire da subito. Non mancano certo persone desiderose di coltivare o di gestire un cannabar , né le risorse culturali e ideali per sostenere la legittimità e le ragioni pratiche di questa scelta. (Da Cannabis N°1 1997)

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PAURA E DELIRIO A LAS VEGAS

paura e delirio.jpgNel 1971 dalla California partono su una Chevrolet Raoul Duke, giornalista, e il suo avvocato obeso, dr.Gonzo. La direzione è Las Vegas, dove Duke deve realizzare un servizio sulla leggendaria corsa di moto Mint 400. In macchina si portano una scorta illimitata di mescalina, erba, allucinogeni e droghe di varia qualità, di cui fanno abbondante uso. Attraversano il deserto del Nevada e visioni terribili li accompagnano: l’attacco di uno stormo di pipistrelli, gruppi di lucertoloni che organizzano festini in albergo, il pavimento che si squaglia sotto i piedi. Fanno poi strani (tragici e divertenti) incontri: un poliziotto tanto severo quanto solo, che insidia Duke; una giornalista televisiva che si serve della follia amorosa di Gonzo; una ragazzina maniaca mistica che si è sistemata nella loro stanza e potrebbe portare a qualche guaio con la giustizia. Tra un incontro e l’altro, Duke e Gonzo continuano ad ingerire droghe, e vomitano e vedono liquami in ogni angolo. Talvolta Duke si mette alla macchina da scrivere e butta giù riflessioni sulla situazione, di loro in particolare e dell’America in generale. Quindi Duke decide di cambiare macchina, e percepisce che un cambiamento è ormai impossibile. I due allora separano i propri destini.
Il film è tratto dal romanzo Paura e disgusto da Las Vegas di Hunter S. Thompson, sceneggiato da Gilliam con Tony Grisoni, Tod Davies, Alex Co e diretto da Terry Gilliam.
Le deliranti ma, al tempo stesso, lucidissime pagine scritte da Thompson trovano una perfetta rappresentazione cinematografica nella sfrenata visionarietà del grande cineasta britannico, il quale mette in scena gli incubi e le allucinazioni dei protagonisti scatenando il proprio talento creativo, ma senza sottrarre né aggiungere nulla agli eventi narrati nel romanzo, di cui sono riportati, parola per parola, anche molti dialoghi. Terry Gilliam realizza un gigantesco, e a tratti disturbante, trip psichedelico, in cui la città del gioco, con i suoi colori scintillanti e le sue attrazioni dal gusto terribilmente kitsch, fa da teatro a momenti di grottesca spensieratezza che si alternano ad altri decisamente più crudi e realistici.paura e delirio 1
Il film parla del Sogno americano e la distruzione dello stesso, un trionfo di luci, suoni, colori che si sprecano per riempire quel gigantesco Nulla su cui si regge Las Vegas.
Il film parla di droga e ci spiega come la droga, negli anni 70, si affiancò ad una generazione con un’apertura mentale di quelle che non si vedevano da secoli. Ci fu un’apertura mentale, che consentì di cambiare il mondo. E la droga se non ne era parte integrante, comunque ne era stimolo e aiuto. Poi quella nuova idea di società si perse per strada, ed ora che è rimasta la vecchia società, coi suoi deliri e le sue paure, la droga non ha potuto far a meno di adeguarsi. Ora la droga non aiuta più l’apertura mentale, ora la droga è parte del sistema. Lo sballo è istituzionalizzato, fa parte del meccanismo.
E da qui il senso del film: i meccanismi della droga sono gli stessi della società. Il delirio e la paura sono meccanismi tipici del trip acido. Il Delirio, la felicità smodata, insensata, ogni percezione è al massimo. C’è nella droga come nella società, ad esempio la felicità di una nuova macchina, o un passaggio di grado nel lavoro. E la Paura, anche c’è sia nella società, che nella droga. Lo stato acido va controllato, se si esagera la paura non la si può più controllare. Questa paura diventa incontrollabile, come è incontrollabile il sentore di non farcela, di impotenza davanti alle difficoltà della vita comune.

 

 

 

 

 

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Fourier. Il furto come diritto II

plan_1Ed esaminiamo ora quali sono le contropartite che lo distrarranno del tutto dalla voglia di rubare.

In primo luogo egli non potrà prendere nulla senza che l’atto del sottrarre non diventi noto a tutti, dal momento che le relazioni d’Armonia sono disposte in maniera tale che un qualsiasi furtarello, a parte quello di denaro, non può rimanere a lungo ignorato, a meno che il ladro non seppellisca l’oggetto rubato, cosa che, in tal caso, glielo renderebbe inutilizzabile. Egli sa, inoltre, che se c’è il diritto di prendere, c’è anche il diritto di riprendergli l’oggetto sottratto. E fin qui, in luogo di un profitto, ci sarebbe per lui soltanto un disonore estremamente dannoso peril fatto che tutti i gruppi che frequenta comincerebbero a guardarlo con sospetto disprezzandolo: affronto questo che un Armoniano rifiuta anche più della morte stessa. La passione per il furto, così indomabile al giorno d’oggi in Civiltà, non esisterebbe già più solo se tutti i civilizzati godessero di un Minimo garantito. Un Armoniano, in effetti, anche presupponendolo del tutto privo di mezzi di fortuna, usufruisce di un minimo garantito, cosa che gli consente di godere di ciò che, ancora una volta, desidero qui elencare in modo schematico:
-cinque pasti al giorno al livello di terza classe — che è trattamento di gran lunga superiore ai nostri pasti principali nei quali nulla è mai servito per serie opzionali sulla base della varietà e gradualità della qualità dei cibi;
-alloggio e vestiario sufficiente con abiti adatti per tutte le stagioni;
-spettacoli e divertimenti di ogni specie;
-vetture e cavalli da monta, forniti gratuitamente.

Voglio sottolineare, invece, la mancanza assoluta di giochi rischiosi e di spese folli che producono soltanto bisogni apparenti. È evidente che un truffatore ladro, in un simile stato di cose, finisca per perdere la voglia di rubare, perfino a volerlo supporre del tutto privo di senso del rispetto delle cose altrui; a che pro dovrebbe farlo quando l’Armonia lo avrà educato e completamente assuefatto a questo nobile sentimento?

[…] In Armonia, si potrà dunque, senza rischio alcuno, restituire a tutti la pratica di questo quinto diritto naturale, ossia il Diritto al furto necessario. Non vi pare esserci più saggezza nel tollerare il furto in un ordine sociale che mita a prevenirne la tentazione, piuttosto che in quello cosiddetto “civilizzato” che, nel mentre lo vieta, spinge alla voglia di rubare 99 cittadini su 100?
In quanto al furto di denaro contante, che si potrebbe sia nascondere che usare senza alcun rischio d’essere smascherati, non gli si presenterà mai occasione alcuna per impossessarsene, dal momento che nessuno in Armonia porta del denaro con sé, avendo tutti un credito personale presso l’Amministrazione della propria Falange oppure negli Uffici contabili dei magazzini di deposito. È infatti abbastanza raro che si abbia del denaro con se’, dal momento che, anche quel poco che si potrebbe averne in più, lo si deposita a interesse presso l’Ufficio Contabile dell’Amministrazione. Non si è obbligati ad avere, come in Civiltà, sempre e in ogni caso della moneta contante a portata di mano. (Charles Fourier, 1829)

 

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La città carcere

punkNon si vive né dentro né fuori quando ti accorgi che tutta la tua libertà si riduce a poter fare solo quello che ti lasciano fare! Ma quale libertà c’è in 8 ore di lavoro, in una famiglia, nel passare le serate davanti alla TV, o davanti ad una siringa; nel dover rendere sempre conto di quello che fai a tuo padre, al caporeparto, al professore, al vigile, alle lancette del tuo orologio. Allora ti rendi conto che c’è ben poca differenza tra vivere chiusi in una città e vivere chiusi in un carcere, se non che in galera non puoi fare a meno di accorgerti di quello che ti stanno facendo, perché il carcere è la massima esasperazione dell’annientamento quotidiano. Perché una cella di tre metri per due non è che l’esaperazione di un appartamento alveare; perché le telecamere che controllano i prigionieri 24 ore al giorno, non sono che l’esasperazione del controllo sul territorio, dei posti di blocco che incontriamo sempre più spesso; perché l’annientamento psico-fisico, le torture e l’isolamento; non sono che l’esasperazione della violenza, della disperazione e della solitudine che hanno costruito per noi insieme ai ghetti di questa città! E non è un caso che in un ghetto di Torino “Le Vallette” ci abbiano costruito uno dei supercarceri più “moderni e funzionali”.
Un ghetto nel ghetto, una prigione nella città prigione… cosa c’è di meglio!
Militarizzazione di tutte le strade, di tutti gli incroci, per un raggio di 2 kilometri!
PRESIDIARE IL CARCERE PER MILITARIZZARE IL TERRITORIO, PER CONTROLLARE LA CITTÀ
..… e allora che differenza c’è tra te e un prigioniero?
….. CHE LUI ALMENO HA LA COSCIENZA DI ESSERLO: TU NO!!!

(Tratto da Franti/Contrazione LP, 1984)

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Raoul Vaneigem. Rovesciare la prospettiva

1287178801_351121e348_oIl condizionamento ha la funzione di collocare e di spostare ciascuno lungo la scala gerarchica. Il rovesciamento di prospettiva implica una sorta di anti-condizionamento, non un condizionamento di tipo nuovo, ma una tattica ludica: il detumamento.
Il rovesciamento di prospettiva sostituisce la conoscenza con la prassi, la speranza con la libertà, la mediazione con la volontà dell’ìmmediato. Esso consacra il trionfo di un insieme di rapporti umani fondati su tre poli inseparabili: la partecipazione, la comunicazione, la realizzazione.

Rovesciare la prospettiva vuol dire cessare di vedere con gli occhi della comunità, dell’ideologia, della famiglia, degli altri. È impadronirsi saldamente di se stessi, scegliersi come punto di partenza e come centro. Fondare tutto sulla soggettività e seguire la propria volontà soggettiva di essere tutto. Sulla linea di mira del mio insaziabile desiderio di vivere, la totalità del potere non è che un bersaglio particolare in un orizzonte più vasto. Il suo spiegamento di forze non mi ostruisce la vista, io lo individuo, ne valuto il pericolo, studio le risposte. Per povera che sia, la mia creatività è per me una guida più sicura di tutte le conoscenze acquisite per costrizione. Nella notte del potere, il suo piccolo chiarore tiene lontane le forze ostili: condizionamento culturale, specializzazioni d’ogni genere, Weltanschauungen inevitabilmente totalitarie. Ciascuno è in tal modo detentore dell’arma assoluta. Bisogna, tuttavia, come succede per certe forme di fascino, sapersene servire. Se si entra in contatto con la creatività per la via traversa della menzogna e dell’oppressione, a ritroso, essa si riduce a una pietosa buffonata: una consacrazione artistica. I gesti che distruggono il potere e quelli che costruiscono la libera volontà individuale sono gli stessi ma la loro portata è differente. Come in strategia, la preparazione di un’azione difensiva differisce evidentemente dalla preparazione dell’offensiva.
Non abbiamo scelto il rovesciamento di prospettiva per chissà quale volontarismo, è il rovesciamento di prospettiva che ha scelto noi. Coinvolti come siamo nella fase storica del NULLA, il passo successivo non può essere altro che un cambiamento del TUTTO. La coscienza di una rivoluzione totale, della sua necessità, e il nostro ultimo modo di essere storico, la nostra ultima possibilità di disfare la storia in certe condizioni. Il gioco in cui entriamo è il gioco della nostra creatività. Le sue regole sono radicalmente opposte alle regole e alle leggi che reggono la nostra società. E un gioco a chi-perde-vince: quel che e taciuto e più importante di quel che e detto, ciò che è vissuto è più importante di quel che è rappresentato sul piano delle apparenze. Questo gioco bisogna giocarlo fino in fondo.
Come potrebbe colui che ha sentito l’oppressione al punto che le sue ossa non la sopportano più, non gettarsi verso la volontà di vivere senza riserve, come verso il suo ultimo appiglio? Sventura a colui che abbandona per strada la propria violenza e le proprie esigenze radicali. Le verità uccise diventano velenose, ha detto Nietzsche. Se non rovesciamo la prospettiva, è la prospettiva del potere che completerà l’opera di rivolgerci definitivamente contro noi stessi. Il fascismo tedesco è nato nel sangue di Spartaco. In ogni rinuncia quotidiana, la reazione non prepara nient’altro che la nostra morte totale. (Raoul Vaneigem)

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