IL CONCETTO DI MALATTIA

concetto di malattiaIn quanto concetto, la malattia ricorda pertanto di non essere, come lo notava Michel Bounan, la semplice esistenza di un fattore patogeno esterno: «tutte le osservazioni dagli ultimi decenni lo hanno confermato senza eccezioni: ovunque siano riconosciuti una causa e un meccanismo d’azione, quello che i burattinai chiamano lesione è una reazione contro questa causa»; e di non essere neppure la sconfitta di questo processo di reazione scatenato dal vivente, per mancanza di mezzi o ancora per il fatto di un’accumulazione intollerabile di fattori patogeni esterni; ma si può anche spiegare come reazione male informata, mal concepita, mal diretta del vivente nei confronti del suo stesso male. «Alla fine appartiene al regno umano, il cui sistema nervoso è il più complesso, la straordinaria funzione induttrice di inventare gli strumenti materiale e concettuali per trasformare il mondo, che lo modifica a sua volta. E’ quello attraverso cui l’universo ha una coscienza di sé e una storia». Ora il ritorno a sé pubblicizzato dal dominio sulla natura definisce la storia delle società in maniera perfettamente sinonima della dialettica delle forze e dei rapporti di produzione sviluppata da Marx, che è meno invecchiato di quanto non si creda. Occorre anche aggiungere, come faceva Marx, che i rapporti di produzione dominanti resistono all’aumento delle forze di produzione, li piegano cioè alle esigenze del loro mantenimento, e che numerose forme di società sono riuscite in modo durevole, se non definitivamente, a spezzare quello che poteva andare al di là di esse. Anche se «non è l’ambiente circostante a determinare la coscienza, ma l’attività vivente nel suo movimento per dominare questo ambiente», anche se «ogni vivente, nel suo principio e nella sua organizzazione, è soltanto una reazione al mondo, che ricrea incessantemente. Si trasforma così con l’ambiente modificato e, nella sua attività e nelle sue metamorfosi, costruisce altri strumenti per edificare sé stesso, per costruire nuovi strumenti», il comportamento del vivente che gli permette di trasformare il suo ambiente tende tuttavia a solidificarsi e a intralciare ogni modificazione di sé oltre i limiti che gli paiono tollerabili: il sistema formato dalle due trasformazioni deve restare un insieme coerente. Da parte sua, benché sia eccessivo assimilarla puramente e semplicemente a un organismo vivente, la società organizza anch’esso la sua informazione, quindi l’esistenza e l’orientamento delle reazioni contro i mali che incontra. Ma contrariamente al vivente in generale; questa società presenta la peculiarità di essere scissa, di contenere interessi opposti, e di vivere a partire da questa opposizione; e, allo stesso modo, si tratta meno per lei dei mali che incontra che di quelli che produce essa stessa per il fatto di questo divario. Se nei tempi precedenti l’avvento dell’economia capitalista il divario sociale si esprimeva attraverso una forte separazione dei gruppi sociali e una certa coerenza interna a ognuno di loro e anche fra loro (coerenza specifica che rimpiangono amaramente i conservatori e i fautori della “Tradizione”), il dominio del sistema mercantile concentrato ha sconvolto e annientato l’insieme dei salvagenti sottomettendolo ai suoi imperativi. Il sistema di produzione del valore e di scambio mercantile ha concentrato in sé tutti gli antichi divari sottraendoli oramai a uno sguardo, se così si può dire, “ingenuamente etnografico”. La malattia non consiste più nell’ineguaglianza e nell’essere-estraneo tra le vecchie sfere separate, ma nell’essere-estraneo universale e unificato che respinge il reale e il vivente ai confini dell’impero del valore. Il burattino disarticolato di cui parlava Bounan, prima di essere l’illusione dei medici, è innanzitutto il prodotto dell’economia mercantile: un puzzle che non è tenuto ad avere vita propria, ma a funzionare come semplice assemblaggio, più o meno vivibile, di pulsioni e facoltà sfruttabili in seno a una megamacchina a rendimento intensivo. (Renaud d’Anglade)

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Azione diretta, due parole!

bresci“Azione individuale o collettiva esercitata contro l’avversario sociale con i soli mezzi dell’individuo o del gruppo”(Enciclopedia Anarchica) – mentre l’azione parlamentare , o indiretta, ha luogo sul terreno detto legale tramite le formazioni politiche e i loro eletti. Un operaio, un sindacato, che rivendicano, discutono col padrone, fanno azione diretta. Questa può essere legale o illegale, difensiva o preventiva; senza escludere il ricorso alla violenza, non è necessariamente violenta. In periodo rivoluzionario, lo sciopero insurrezionale rappresenta la forma estrema dell’azione diretta, dato che il suo scopo è quello di permettere alla classe operaia di impadronirsi degli strumenti di produzione e di scambio. In questo caso, necessariamente violenta, diventa il primo atto politico del proletariato che instaura la proprietà collettiva.
Rivendicazioni, manifestazioni, scioperi, sabotaggi sono tutte forme dell’azione diretta che seguono la storia del movimento operaio. La storia del movimento anarchico, da parte sua, mette in rilievo atti individuali di azione diretta che, pur senza attaccare direttamente lo stesso regime, hanno posto in stato di insicurezza uno o l’altro dei rappresentanti dello Stato, del suo apparato giudiziario o poliziesco, e dell’ordine borghese.

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URLO (Howl) Diretto da Rob Epstein e Jeffrey Freidman

urlo«Ho visto le migliori menti della mia generazione distrutte da pazzia, morir di fame isteriche nude strascicarsi per strade negre all’alba in cerca di una pera di furia …»
Era il 13 ottobre 1955 quando un giovane poeta, gli occhi ardenti dietro le lenti da miope, la voce swingante, leggeva pubblicamente alla Six Gallery di San Francisco il testo che avrebbe rivoluzionato la poesia e acceso le giovani menti della seconda metà del Novecento. Il poeta era Allen Ginsberg, il poema, Howl (Urlo). Un pugno nello stomaco per la crudezza con cui ritraeva l’altra faccia del sogno americano: droga, morte, solitudine, follia. Ma anche incredibile energia vitale. La stessa, grazie alla quale Ginsberg e i suoi compagni d’avventura diedero vita a quella che fu poi battezzata beat generation: una corrente poetica che si fece pensiero filosofico e movimento di massa.
Il film ha tre piani narrativi che si intrecciano armoniosamente. C’è la vita giovanile di Ginsberg con i suoi amici Jack Kerouac, Lawrence Ferlinghetti, con i suoi amori (il primo, Neal Cassady, e quello della vita, Peter Orlowsky) e con le prime letture pubbliche del poema. C’è il processo creativo, straordinariamente raffigurato attraverso i disegni animati di Eric Drooker, che già aveva illustrato alcune poesie di Ginsberg, del quale era amico fin da ragazzino. E c’è il processo penale, rigorosamente ricostruito sulle trascrizioni degli atti, che nel 1957 vide imputato Ferlinghetti, editore di Howl, per linguaggio osceno.
Il consumo disinibito di droghe e omosessualità sfrenata esplode sulla pagina stampata e il dibattito su cosa abbia valore letterario e cosa ne sia totalmente sprovvisto apre una breccia nella critica accademica. L’accusa infierisce su forma e stile, estrapolando versi che, privi di contestualizzazione, divengono facili bersagli, mentre nel salotto di casa propria Allen Ginsberg riflette sulle scelte compiute conversando con un anonimo intervistatore. L’arringa finale dell’avvocato Ehrlich è un inno alla libertà di pensiero ed espressione, il tentativo di portare la luce in un universo, quello letterario, dominato da tradizionalismi e chiusure mentali. Liberare Urlo dal giogo censorio significa aprire uno spiraglio culturale alla modernità, al progresso, alla diversità, consacrando un poeta al successo della prova più difficile: quella del tempo.
Rob Epstein e Jeffrey Friedman sono una nota coppia di documentaristi statunitensi. I loro lavori hanno da sempre scavato in argomenti (problematiche o semplicemente cronache) legati al mondo dell’omosessualità. Epstein diresse nel 1984 “The Times of Harvey Milk”, documentario che ripercorre la vita e la carriera politica di Harvey Milk, consigliere gay eletto a San Francisco. Il film ispirò Gus Van Sant per il suo “Milk” e ottenne l’Oscar come miglior documentario.urlo 2

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La difesa del territorio contro l’ideologia del progresso

aereoOvunque nel mondo i territori tradizionali vengono invasi e saccheggiati da vere e proprie forze di occupazione, che non invocano nemmeno una pretesa utilità sociale per giustificare il peggio: sono addirittura gli svaghi imbecilli e degradanti dei più fortunati a ordinare la distruzione della vita. Così, nel 2009 dei Masai della regione di Loliondo, in Tanzania, sono stati cacciati e incarcerati per far posto a delle concessioni per safari ad alta redditività: diversi villaggi sono stati incendiati, lasciando migliaia di persone senza casa, senza cibo e senza acqua. Lo stesso anno la polizia antisommossa tanzaniana ha dato alle fiamme diverse proprietà e scorte di alimenti dei Masai per espellerli dalle loro terre ancestrali. Nel 2007, nella parte centrale del paese, la tribù di cacciatori-raccoglitori degli Hazda, il più antico popolo africano, ha evitato per un pelo di essere allontanata da una parte dei suoi territori per far posto alla creazione di una riserva di caccia. E si troveranno molti altri esempi del processo di liquidazione della vita umana in una recente dichiarazione del Congresso nazionale indigeno messicano (Comunicato del 30 agosto 2012), che rende l’idea degli innumerevoli espropri, violazioni e altre attività criminali compiute quotidianamente, in tutta impunità, contro una moltitudine di villaggi e di tribù indigene del Messico.
Dunque non possiamo cullarci nelle illusioni: in assenza di una reazione collettiva che possa innalzarsi al livello di minaccia, nei fatti è la totalità del pianeta che, sotto le forme le più diverse, ecologicamente insidiose oppure brutalmente militar-poliziesche, è chiamato a diventare presto o tardi una gigantesca concessione di caccia all’uomo, pure lui ridotto al rango di “concetto vecchiotto e privo di interesse”. A quel punto non resterà altro rifugio che credere in una “vita postuma”, ovvero nella sopravvivenza di un ricordo: quello della volontà di resistenza manifestata da qualcuno che, se non sprofonderà nell’oblio, forse verrà trasmessa ad altri.

(Tratto da: Prospettive Industriali: Il collettivo editoriale delle Éditions de La Roue)

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Razionalismo e misticismo nella controcultura americana degli anni ’60

controculturaNel 1962 il poeta beat Ed Sanders scrisse un virulento saggio intitolato An Essay against the Culture. Suo obiettivo principale erano i costituenti culturali dell’immaginario dell’Occidente capitalista e borghese, rinchiuso in una logica incentrata sui valori del profitto e del consumo. La stessa sinistra, secondo Sanders, sembrava incapace di superare questo orizzonte limitato e di porsi la questione della liberazione dell’uomo in termini che mettessero radicalmente in discussione i valori fondanti della società opulenta. Negli anni successivi la fortunata locuzione di Sanders divenne l’etichetta per indicare gli esperimenti di vita, le proposte intellettuali e le elaborazioni politiche della cultura giovanile, che culminarono in eventi-avvenimenti tanto differenti quanto la ribellione studentesca del ’68 e la protesta hippy. La cosiddetta «controcultura» era il prodotto di una critica dell’esistente che fondeva un momento etico e un momento epistemologico. Da un lato si proponeva la trasgressione programmatica dei valori morali correnti (la famiglia, le norme sessuali, l’etica del lavoro, i doveri sociali, eccetera), prospettando una diversa organizzazione della convivenza civile e delle relazioni umane, sia a livello macrosociale (comunismo, comunitarismo, socializzazione delle forme di produzione e distribuzione), sia a livello microsociale (contestazione del matrimonio, allargamento della famiglia mononucleare, adozione di princìpi comunitari, eccetera). Dall’altro si confutavano i modelli dominanti della tradizione scientifica occidentale (giudicati funzionali all’ideologia repressiva messa in atto dalle istituzioni controllate dalle classi egemoni), rivalutando forme di conoscenza meno compromesse con il razionalismo conservatore (per esempio paradigmi gnoseologici non strettamente basati sulla comunicazione intellettiva) e riferendosi spesso a tradizioni olistiche (le filosofie orientali, o magari la psichedelia di uno dei massimi «santoni» hippy, Timothy Leary).
Al centro di questo coacervo di esperienze politiche, sociali e intellettuali ritroviamo i costituenti della tradizione libertaria. La controcultura degli anni Sessanta si configura infatti come uno dei più complessi esperimenti di liberazione individuale e collettiva del secolo. Le trasgressioni dei beat, degli hippy, degli psichedelici, dei cultori del libero amore, eccetera, lungi dall’essere semplice ritualizzazione apolitica delle forme di opposizione al sistema, si proponevano invece come una soluzione epocale dei problemi tipici non solo della società tardocapitalistica, ma di quella Weltanschauung occidentale imperniata sull’autoritarismo della ragion strumentale, sulla strategica (e artificiosa) distinzione postcartesiana tra soggetto e oggetto (uomo / natura, mente / corpo, eccetera), e infine sulla gestione precipuamente politica dei modelli di interazione. In altri termini, non è impossibile interpretare la controcultura americana come uno dei momenti più alti di strutturazione degli elementi della cultura libertaria: come molti hanno riconosciuto all’epoca, alcune dottrine e alcuni atteggiamenti intellettuali tipici dello stesso anarchismo – autonomia del sociale, democratizzazione radicale delle istituzioni e loro totale decentralizzazione, preminenza dell’individuo eccetera – sono alla base delle elaborazioni dei più noti esponenti del movimento. La diffusione delle droghe psichedeliche diventa, nella prospettiva di un Timothy Leary, un metodo per liberare gli individui dalle catene create dalla società, dallo stato, dal partito. La democrazia dei consigli di Cohn-Bendit si configura come l’attuazione del sogno anarchico di una società fondata sulla libera associazione dei singoli. Lo svelamento delle funzioni repressive delle istituzioni consolidate si unisce, nell’analisi di Ivan Illich, alla riscoperta di forme alternative di interazione e socializzazione. Per Alan Watts «la via dello Zen» indica uno dei percorsi possibili per una nuova (de)valutazione dei valori dominanti del capitalismo, mentre per Carlos Castaneda le forme di conoscenza associate alla tradizione razionalistica occidentale non esauriscono certamente le possibilità dell’uomo, ma anzi ne limitano artificiosamente la portata.
Al di là delle elaborazioni dei «santoni» del movimento, nei tardi anni Sessanta gli «esperimenti pratici» si moltiplicarono, producendo una significativa costellazione dell’immaginario anarchico: comunitarismo, libero amore, decentralizzazione, ripudio dell’etica del lavoro, valorizzazione del principio del piacere…
Tuttavia, non sono certamente mancate ambiguità e contraddizioni, che hanno indubbiamente avuto un ruolo rilevante nella sconfitta della controcultura. Il riflusso nella politica è divenuto, sostanzialmente, subordinazione ai movimenti (studenteschi e non) di matrice marxista. Gli esponenti della controcultura non hanno mai saputo proporre un progetto realmente concreto, né si sono realmente confrontati con le questioni chiave (per esempio, l’organizzazione del lavoro in una società tardocapitalistica). Timothy Leary, per esempio, all’epoca non trovò di meglio che riproporre un ritorno alla società tribale, con tanto di famiglia patriarcale, sottomissione della donna, eliminazione dei «diversi» (con grande perplessità del suo amico Ginsberg, omosessuale dichiarato) e divisione del lavoro.

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John Zerzan su Marco Camenisch

marco“Non ho mai incontrato Marco di persona, ma ho intrattenuto una corrispondenza con lui durante questi ultimi anni. Conosco la sua storia di guerriero per la Terra e per la vita e i principali aspetti della sua vita di prigioniero politico.
È stato un grande privilegio per me venire a contatto con il suo spirito e la sua energia formidabili – dall’altra parte del mondo! – e conoscere la profondità della sua visione e della sua critica.
Considerato il suo straordinario impegno nella lotta contro la Megamacchina, in realtà non sorprende che la prospettiva di Marco sia di mettere in discussione la civiltà tecnologica. Per anni ha partecipato di una visione di un mondo che non solo non ha bisogno di essere gestito da un gruppo, da un’élite o da una burocrazia massificata, ma che può tornare ad essere libero e sano.
Ciò a cui vengono attribuiti vari nomi – anarchismo ecologico, anticivilizzazione, primitivismo – trova la massima espressione in una vita come quella di Marco Camenisch.
La logica dell’addomesticamento o del dominio della natura è insita nella civilizzazione stessa e continua a manifestarsi. In tandem con una sempre maggiore divisione del lavoro e una rapida tecnicizzazione della vita su ogni piano, l’egemonizzazione sembra continuare a trovare nuovi terreni di applicazione.
Forme di vita geneticamente modificate, vegetali e animali, sono la nuova frontiera del nuovo millennio per approdare al Mondo Nuovo. Tutto nella vita non è altro che un ammasso di materia da progettare, programmare, clonare per mezzo di scienze che non sono mai state così totalmente asservite al paradigma dominante.
Questo modello contamina la nostra stessa percezione della realtà. Una società di consulenza New Age pubblicizza la sua competenza professionale proclamando: “L’amore non è un mistero: è una tecnologia”. Tutto è acqua da tirare al mulino del pensiero strumentale, nulla è al sicuro dall’avanzata della macchina, dall’analogia con la macchina.
La clonazione umana è ormai vicina e quali strumenti esistono per impedirla? La vita diventa sempre più sterile: riprogrammazione con antidepressivi, pianificazione del futuro attraverso l’analisi e la correzione genetica. La natura è ciò che la tecnologia e il capitale decidono che sia, ovvero la fine di qualsiasi sfera non addomesticata. Le foreste naturali diventano arboricolture; le nostre emozioni, agonizzanti sul suolo arido, hanno bisogno di una regolare manipolazione chimica.
Il nemico non sono solo le grandi imprese multinazionali. È l’addomesticamento stesso. Il disastro chiamato agricoltura diventa sempre più visibile e comprensibile ogni giorno che passa, con ogni nuovo livello di penetrazione e controllo. La salute e la libertà ne esigono la fine.
Marco ha lottato per porre fine all’incubo industriale da cui dipende la modernità stessa. Ecco perché può contare sull’affetto e il sostegno di così tante persone. Sono estremamente felice che gli ottimi compagni di Nautilus abbiano dato a noi tutti la possibilità di condividere parte della sua vita.”
(Tratto dall’introduzione di John Zerzan, A cura di Piero Tognoli: ACHTUNG BANDITEN! L’ecologismo radicale di Marco Camenisch).

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Le pomate del Sabba

sabba 2Una delle piante più adoperate, presente in una moltitudine di pozioni e quasi sempre nella famosa pomata del sabba, era la belladonna, che contiene svariati alcaloidi, soprattutto l’iosciamina, atropina e scopolamina. I suoi effetti sul sistema nervoso centrale sono molto rapidi. Anche il giusquiamo contiene la scopolamina, che ‘ un forte narcotico. I suoi principi attivi agiscono soprattutto sul sistema nervoso simpatico: caratteristica la sensazione di assenza di peso, paragonabile a quella del volo. Altro elemento l’oppio che veniva assunto sotto forma di nepente, cioè cloridrato di morfina e acido citrico (succo di limone) sciolto in marsala, e si diceva che allontanasse il dolore. Per finire la canapa e il papavero da oppio.
Debitamente cotti, tritati o ridotti in polvere, questi potenti vegetali venivano mescolati con altri ingredienti. Alcuni funzionavano come mediatori chimici dell’azione degli alcaloidi vegetali; altri erano destinati alla suggestione psicologica, sia perché difficili da reperire, sia per pura affinità simbolica. Vedi le ali di pipistrello. Tutte queste sostanze venivano poi unite a un eccipiente grasso 8preferibilmente, secondo le accuse degli inquisitori, ricavato dai bambini, meglio se non battezzati). Si otteneva una pasta facile da spalmare, perché le sostanze attive potessero essere assorbite per via cutanea. La pomata veniva applicata nelle zone dove l’epidermide era molto sottile e densamente vascolarizzata, di preferenza sulle mucose: alcune testimonianze parlano dell’uso di spalmare la scopa con l’unguento, che passava così direttamente alle mucose vaginali. Altri luoghi in cui strofinarsi erano la parte interna delle cosce, le ascelle, i lati del collo: attraverso la fitta rete di capillari superficiali, i principi attivi attraversavano velocemente la pelle e penetravano nella circolazione sanguigna, entrando in circolo fino a raggiungere le sinapsi cerebrali. L’effetto della crema veniva accresciuto ricorrendo ad alcuni accorgimenti che possiamo ritrovare presso gli sciamani amazzonici: in primo luogo, il digiuno, non si sa quanto e fino a che punto volontario. Poi, la musica: il sabba veniva accompagnato da suoni indiavolati prodotti da strumenti maledetti, che potrebbero assomigliare molto ai ritmi tribali delle percussioni suonate per ore senza interruzioni durante i riti sciamanici.

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camilla

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I LOVE RADIO ROCK di Richard Curtis

i loveInghilterra 1966: mentre impazzano Beatles e Rolling Stones, il governo vieta alle radio di Stato di trasmettere musica rock e pop. Un gruppo di dissidenti fonda una emittente pirata a bordo di una nave ancorata appena al di fuori delle acque territoriali inglesi per trasmettere la musica proibita. Mentre il Ministro Dormandy tenta con ogni mezzo di fermare i ribelli, il giovane Carl, appena espulso da scuola, raggiunge a bordo il carismatico padre dj Quentin e i suoi colleghi. Che gli faranno scoprire i valori rivoluzionari propugnati dalla musica.
Sesso, droga, rock ‘ n roll e un poco di Titanic in questa commedia intelligente, divertente, ben scritta e diretta da Richard Curtis. La storia è di base vera e si ispira all’ odio profondo che nel 1966 l’establishment inglese (e non solo) provava per la nuova musica rock: la BBC fedele agli ordini ne trasmetteva solo 40 minuti a settimana. Ecco che allora un gruppo di rockettari si organizza con una radio rock no stop, su una barca che è la emittente clandestina di questo nuovo stile che fa infuriare ministri e reali.
La differenza tra terra ferma e barca, tra legge e libertà, tra ordine costituito e rock ‘n roll è dipinta simpaticamente attraverso il montaggio incrociato delle due feste di Natale, quella esuberante su Radio Rock e mestamente borghese in casa del ministro.
Il rock ‘n roll, la nuova musica che avanza, viene presentato come il linguaggio dei giovani, dell’innovazione, il linguaggio dell’emancipazione dei gusti musicali, estetici, sessuali, insomma del sovvertimento dell’ordine costituito.i-love-radio-rock-logo
Le mitiche stazioni radio libere che hanno fatto conoscere a un pubblico entusiasta artisti del calibro di Rolling Stones, Jimi Hendrix, Dusty Springfield, Who, Procol Harum, Kinks, Cream, Beach Boy, e Otis Redding, testimoniando in che modo quella che, definita in maniera fastidiosamente perbenista “pornografia musicale”, era (ed è) in realtà una forma culturale capace di accomunare e tenere uniti agglomerati di terrestri appartenenti a differenti razze e ceti sociali; ad esclusione, probabilmente, di coloro che risiedono (e risiedevano) nei freddi ed anti-emozionali corridoi del potere, al cui interno non sembra esservi spazio per i sogni ad occhi aperti.
I meno giovani ricorderanno quando per sfuggire alle canzoni di Sanremo e ascoltare qualche decente pezzo di musica rock bisognava sintonizzarsi sulle onde medie e cercare Radio Luxembourg. Per gli inglesi le frequenze di riferimento erano quelle di Radio Caroline, che trasmetteva da una nave al largo delle coste, nel Mare del Nord. Ambientato negli anni ’60, I love Radio Rock di Richard Curtis vuole rendere omaggio a quel periodo creativo e ribelle, nel quale la musica inglese cominciò a dettar legge in tutto il mondo.

ILoveRadioRock

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Contro l’assoggettamento della non vita

COPPODisgustati dalla degenerazione della critica e dalla strumentalizzazione del pensiero logico, divenuto Ragione di Stato, molti hanno messo a morte la ragione, anche nel suo reale valore d’uso di intelligenza del reale: ma, come si sa, il sonno di questa ragione genera mostri. L’ideologia della spontaneità è stata per qualche tempo il cardine di questa ulteriore mistificazione rassicurante. Quale spontaneità? Quale l’autenticità, la reale autonomia da tutto ciò che ci ha prodotti? La natura umana è da costruire: nulla di ciò che è dato sfugge alla legge della composizione mista; e la spontaneità di cui tanto si parla è un insieme di risposte obbligate, di condizionamenti appresi, di linguaggi imposti, di logiche date; e di desiderio che si cerca. Ognuno è la sintesi della storia che lo ha preceduto e la sua vita va al di là di ciò che è esistiti del passo che rilancia l’antitesi; in ognuno sono racchiuse tutte le possibilità immaginabili e tutte quelle che non riusciamo a immaginare: ed è iscritta, a saper vedere, tutta la peripezia della vita nelle sue varie forme e nella sua complessità crescente. Non importa in che mondo un uomo realizza la propria vita, purché segua una strada che la sua passione riconosce. Tutto è possibile. Non abbiamo altro da perdere che le nostre catene. (Piero Coppo)

Se vuoi approfondire:

copercoppo2ediok.pdf

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LA FINESTRA

poesia-eroticaPiccolo uccello
mille colori
una morte colma il cielo

un corvo piatto
gli occhi morti
il vento strappa il cielo.

Massa di terra nel cielo
silenzio indizio di nulla
montagna erbosa sonnolenta ingiallita
caduta dell’essere nella notte

mi nascondo nelle tue ombre
e mangio al tuo sole
il mio scheletro traspare
nella luce del giorno

un sentimento di terrore
stringe dolcemente la gola
gela lentamente il cuore.

poesie-erotiche

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