Non ripeteremo mai abbastanza che le attuali rivendicazioni del sindacalismo sono condannate alla sconfitta; più dalla povertà dei programmi che dalla divisione e dalla dipendenza dei suoi organismi riconosciuti. Non diremo mai abbastanza ai lavoratori sfruttati che si tratta delle loro vite insostituibili dove tutto potrebbe essere realizzato; che si tratta dei loro anni più belli che stanno passando senza nessuna gioia che valga la pena, senza neanche aver preso le armi.
Non dobbiamo chiedere che ci venga garantito o aumentato il minimo virtuale, ma che si finisca di mantenere la gente al minimo della vita. Non dobbiamo domandare soltanto pane, ma giochi.
La vita è da guadagnare oltre.
Non è la questione dell’aumento dei salari che va posta, ma quella della condizione imposta al popolo in Occidente.
Bisogna rifiutare di lottare all’interno del sistema per ottenere piccole concessioni subito rimesse in causa o recuperate in altri campi dal capitalismo. Quella che deve essere posta radicalmente è la questione della sopravvivenza o della distruzione di questo sistema. Non si deve parlare di intese possibili, ma di realtà inaccettabili. La lotta sociale non deve essere burocratica, ma appassionata.
Bisogna, prendere coscienza di alcuni elementi che potrebbero rendere appassionante il dibattito: il fatto per esempio che in tutto il mondo esistono nostri amici, e che ci riconosciamo nella loro lotta. Anche il fatto che la vita passa, e che noi non aspettiamo compensazioni tranne quella che dobbiamo inventare e costruire noi stessi.
Non è che un problema di coraggio. (Potlatch N°4 13 luglio 1954)
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