La rivoluzione sociale che il grado di decomposizione della società capitalista richiede, è possibile solo con la ricostituzione di un tessuto sociale costruito attorno alla centralità di un femminile totalmente da reinventare poiché la meccanica folle dell’economicismo l’ha completamente rimosso.
Tra gli ultimi rantoli di una misoginia trionfante su cui è fondata la cultura patriarcale, il capitalismo chiude il ciclo delle civiltà dell’alienazione in quanto economia assoluta,
dominio della merce sull’umano proletarizzato in cui la donna (di casa, in carriera o femminista) resta sempre il proletario del maschio poiché l’elemento femminile di ciascuno rimane prigioniero della supremazia accordata al soggetto virile.
Anche di una donna che sa cavarsela si dice, del resto, che ha le palle, tesoro patetico messo fieramente in resta da chi porta i pantaloni e che consiste in una competitività senza limite e in un’ aggressività predatrice. Nel mondo gerarchico del dio denaro, un mitico fallo si erge sempre come lo scettro di un potere priapico orgasticamente impotente.
I’autocostruzione di se, del proprio territorio psicogeografico di vita sfociante in un nuovo mondo, è l’unico giardino che ha senso coltivare, l’unica casa che vale la pena costruire, insieme ma ognuno a suo modo, come un dono per se stessi e per tutti quelli che si amano.
Un uomo libero agisce per il piacere che attraverso la sua azione dona e riceve, incurante di ogni nuova morale che tenda a far rinascere le gerarchie sociali sulla base di un qualunque odioso senso di colpa, di una vergognosa debolezza, di un’int0llerabile inferiorità, di un dover essere interiorizzato.
Nella notte della laicità tutti i preti sono neri.
Basta con i signori dello sfruttamento economico ma basta anche con i signori della coscienza separata!
Basta con chi ti ruba la vita riducendola al ricatto della sopravvivenza; ma basta anche con chi vuole capitalizzare la rabbia che esplode e la coscienza che emerge per diventarne il capo e alleviare così le sue frustrazioni !
Oltre speranza e disperazione, carota e bastone dell’addomesticamento, la costruzione di un altro modo di vivere insieme, di un altro modo di produzione e di un’altra maniera di godere dell’esistenza, denuncia con la sua critica pratica il conformismo dei servitori volontari, ma anche ogni contestazione estremista, edipica o isterica, di un mondo che si odia rimanendone segretamente i figli insoddisfatti e frustrati; un mondo oltre il quale è difficile sognare o desiderare se non la purezza nichilista di un nulla rivoluzionario di cui ci si mmagina, ovviamente, essere gli ultimi protagonisti.
Citando un’ultima volta il buon Meslier con altrettanta ironia che convinzione, mi viene da pensare, in un sussulto di laicità, che l’umanità sarà felice quando avrà impiccato l’ultimo affarista con le trippe dellultimo guru; quando avrà mangiato l’ultima pecorella ignorante, ottimista e arrivista, condita nella salsa piccante dell’ultimo militante rivoluzionario, sprezzante, catastrofista e vendicatlvo.
Allora, finalmente, le ignoranze puntuali si abbevereranno dolcemente all’intelligenza sensibile di una coscienza non addomesticata mentre nel regno senza re di una utogestione generalizzata della vita quotidiana, degli uomini e delle donne faranno a gara amichevolmente, da liberi soggetti, per donare e in conseguenza ricevere il piacere di vivere. (Sergio Ghirardi. Note per l’esplorazione psicogeografica di un nuovo mondo – 2013)
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