Molti esperimenti in cui si tenti di svincolarsi, che rivendichino o meno la decrescita, sono encomiabili perché in tempi oscuri hanno la forza dell’esempio a condizione, questo sì, di presentarsi per quel che sono, modi di sopravvivenza più tollerabili, per riuscire a riprendere fiato se possibile, ma niente affatto panacee. Sono un inizio, dato che oggi la secessione è la condizione necessaria della libertà. Tuttavia, questa non ha valore se non come frutto di un conflitto, cioè unita al sovvertimento dei rapporti sociali dominanti. Costituendo una specie di guerriglia autonoma. Il rapporto con le lotte sociali e la pratica dell’azione diretta è quel che conferisce il carattere autonomo allo spazio, non la sua esistenza in sé. L’occupazione pacifica di fabbriche e territori abbandonati dal capitale talvolta potrà essere lodevole, però non fonda una nuova società. Gli spazi di libertà isolati, per quanto paiano molto meritori, non sono barriere che impediscono la schiavitù. Non sono fini a sé stessi, come non lo erano i sindacati in altri periodi storici, e difficilmente possono essere strumenti per la riorganizzazione della società emancipata. Durante gli anni trenta venne messo in discussione questo ruolo, attribuito allora ai sindacati unici, perché si supponeva fosse riservato alla collettività e ai municipi liberi. Il dibattito è degno di essere ricordato, senza dimenticare che nell’ora della verità l’autonomia di ciascuna istituzione rivoluzionaria, sindacati compresi, fu assicurata dalle milizie e dai gruppi di difesa. Oggi però le cose sono diverse: l’emancipazione non nascerà dall’appropriazione dei mezzi di produzione ma dal loro smantellamento. Le zone relativamente segregate oggigiorno esistono proprio perché sono fragili, perché non costituiscono una minaccia, non perché sono una forza. E soprattutto perché non oltrepassano i limiti dell’ordine: in Francia, il contributo principale del milione di neo-rurali non è stato altro che «votare a sinistra». In fin dei conti anche loro sono contribuenti. Gli isolotti auto-amministrati non trasformano il mondo. La lotta sì. Non siamo all’epoca dei falansteri o delle Icaria. La democrazia diretta e l’autogoverno devono essere risposte sociali, opera di un movimento nato dalla frattura, dall’esacerbarsi degli antagonismi sociali, non dal volontarismo campagnolo, e non devono prodursi alla periferia della società, lontano dal chiasso mondano, ma al suo centro. Lo spazio sarà effettivamente liberato quando un movimento sociale cosciente lo strapperà al potere del mercato e dello Stato, creando al suo interno delle contro-istituzioni. L’uscita dal capitalismo sarà opera di un’offensiva di massa o non sarà. Il nuovo ordine sociale giusto ed egualitario nascerà dalle rovine di quello vecchio, dato che non si può cambiare un sistema senza prima averlo distrutto. Miguel Amoros Documento completo
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