Raoul Vaneigem – Efficacia e nocività del militantismo

Il peso dell’oppressione è tutto ciò che rimane al sistema che ci governa. Ha per sé la sua forza d’inerzia. Ciò che gioca a nostro favore è la potenza di una vita in continua rinascita. Essa potrebbe fornire di che rompere la macchinazione del profitto se non si piegasse anch’essa sotto il peso di un passato scombinato dall’espulsione della libertà, appesantito dall’amarezza ricorrente delle delusioni. Ogni sacrificio è un colpo inferto alla vita. Paga il prezzo della sua esuberanza. Ogni volta che il militantismo rinuncia al vivente con il pretesto di garantirne la difesa, si militarizza, restaura il principio gerarchico, traveste in Potere l’organizzazione dell’esperienza vissuta. L’autodifesa del vivente è una reazione spontanea manifestata da individui e comunità confrontate all’intrusione d’imprese devastatrici. Essa attiva delle reti immunitarie simili a quelle che il nostro organismo sollecita all’avvicinarsi di una malattia o di uno squilibrio. La coscienza umana risveglia il corpo a una realtà che è contemporaneamente personale e sociale. Fa delle collettività locali degli spazi dove il lasciare maturare la risposta alle aggressioni dà il tempo di sperimentare una lotta demilitarizzata, una sovversione la cui inventiva respinge l’aggressività e conduce, attraverso le molestie, la guerriglia di una vita che non uccide.

La radicalità elimina il radicalismo.

Anche nelle condizioni di estrema violenza che regnavano in Spagna nel 1936, Durruti rifiutava di dare priorità a una concezione militare del conflitto. Preferiva affidarsi a colonne di volontari armati che stabilissero ovunque l’autorganizzazione di città e villaggi, aprendo vasti e nuovi orizzonti oltre il conservatorismo e il progressismo. Assassinando Durruti, i partigiani della militarizzazione, sostenuta dal partito comunista, hanno offerto al franchismo una via d’accesso insperata. Con la scusa dell’attivismo, i militanti regrediscono a vecchie forme di lotta, del tutto inadeguate – come l’opposizione frontale alle milizie dell’ordine mercantile, come l’appello a una convergenza in cui l’anticapitalismo militante partorisce un nuovo partito. Abbiamo dimenticato la sollevazione degli Indignati diventati i pantofolai di un’organizzazione politica battezzata Podemos? La lotta della vita per la vita esclude il sacrificio. Non vogliamo né un destino da guerrieri né una vocazione da martiri.

Le peggiori dittature imposte al proletariato lo sono state in nome della sua emancipazione. Chi ha interesse a farlo dimenticare? Il gauchismo, la cui mancanza d’immaginazione sguazza nel pantano in cui i burocrati politici e sindacali hanno trascinato il movimento operaio! Schiacciando l’autogestione che muoveva i primi passi nel Movimento delle Occupazioni del maggio 68, l’influenza della sinistra riformista e burocraticamente rivoluzionaria ha gettato il proletariato nello sgomento. L’ha riportato, senza complimenti, nell’ovile delle rivendicazioni salariali e l’ha consegnato all’orco consumista, che ne ha fatto un sol boccone.

Abbiamo dimenticato che l’autogestione che stava timidamente prendendo forma nelle occupazioni delle fabbriche nel maggio 68 è stata aspramente combattuta dal sedicente partito comunista. L’insurrezione di maggio era nata da un rifiuto viscerale della “società del benessere”. Denunciava l’impostura di una felicità ridotta al suo spettacolo. L’ultima vittoria del Partito Comunista prima della sua scomparsa fu di porre fine al movimento puntando sul consumismo che avrebbe completato la demolizione della coscienza proletaria. L’officina operante sotto l’etichetta comunista, è scomparsa dallo schermo elettorale ma ha diffuso i suoi aborti ovunque il malcontento provocava disordini. Un gauchismo retro bolscevico si articola in comitati che strutturano le zone di autodifesa presidiandole con il loro autoritarismo. Questo gauchismo non scomparirà sotto il peso della sua stupidità militante, non ultima quella di stimare che, per garantire la felicità del popolo, sia sufficiente sostituire un potere con un altro. Marcirà per non aver dato all’umano una priorità assoluta (ci si accorgerà presto che senza di essa la lotta contro il populismo di stampo fascista è solo una scemenza).

Il fascismo è soprattutto pericoloso laddove gli individui non prendono coscienza né della mediocrità della loro esistenza quotidiana, né della possibilità di emanciparsene. Laddove manca l’intelligenza delle nuove condizioni, le vecchie riappaiono, favorendo la recrudescenza della peste emozionale. Se non opponiamo le risorse dell’aiuto reciproco e dell’inventiva individuale alla disumanizzazione e alla progressiva sterilizzazione del tessuto sociale, un conflitto assurdo e senza sbocco dissiperà la nostra energia vitale. Ci dissuaderà dal restaurare la gioia di vivere e, con una spinta, ci lascerà cascare nelle macabre celebrazioni dell’autodistruzione. L’antifascismo militante, anch’esso contaminato dalla peste emozionale, è solo un’impostura in più, esposta nel negozio delle rivoluzioni tradite.

 

Tratto da

Questa voce è stata pubblicata in '68 e dintorni, Critica Radicale, General, Raoul Vaneigem. Contrassegna il permalink.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *