Qualche ora dopo mi isolai per riflettere su quello che mi stava accadendo. Una calma profonda pervadeva il mio essere. Il tappeto stava strisciando e i quadri mi sorridevano, ero deliziato. Improvvisamente mi si parò davanti una figura ad un paio di metri di distanza, stava lì dove ero sicuro un momento prima non c’era nessuno. L’osservai attentamente nella penombra e vi riconobbi me stesso che indossavo il cappellino e la toga da professore universitario. Era come se una parte di me, il professore di Harvard, si fosse separata o dissociata da me.
Pensai: Guarda un po’, un’allucinazione esterna… tutto questo è interessante. Ho fatto tanto per diventare qualcuno, ma è stato tutto inutile, non ne avevo alcun bisogno”. Mi ero seduto su una poltrona, finalmente separato dal mio essere professore, quando la figura cambiò aspetto. Mi piegai ad osservarla bene. Ero ancora io, nei panni di uomo di mondo. “OK, liberiamoci anche di questo!”, pensai. Le figure continuavano a cambiare rivelando altri aspetti della mia personalità…(…) Ad ogni mia nuova rappresentazione mi rassicuravo del fatto che nessuna di queste personalità mi era necessaria.
Ad un certo punto mi apparve il mio aspetto di Eìchard Alpertaggine, la mia identità di base, il vecchio Richard di sempre. (…) Era attraverso quel nome che avevo sviluppato tutti gli aspetti del sé.
Cominciai a sudare. Non ero molto convinto che avrei potuto farcela senza essere Richard Alpert. Stavo soffrendo di amnesia? Era questo l’effetto della droga? Sarebbe durato per sempre? Avrei dovuto chiamare Tim? Ma che diavolo… mi decisi di mollare anche Richard Alpert. Avrei sempre potuto assumere una nuova identità. Perlomeno mi era rimasto il corpo… Ma avevo parlato troppo presto.
Mentre gettavo un sguardo alle mie gambe per riassicurarmi, l’unica cosa che riuscivo a vedere erano le ginocchiere ,poi lentamente con orrore vidi scomparire a poco a poco le membra e poi il torso, sinché tutto ciò che riuscivo a vedere con i miei occhi aperti era la poltrona su cui stavo seduto. Sentii un urlo formarsi nella mia gola. Sentivo che stavo per morire perché non c’era nulla nel mio universo che potesse indurmi a credere che, dopo aver abbandonato il corpo, potesse esserci ancora vita.
Potevo farcela senza essere un professore un amante e persino senza essere Richard Alpert, ma avevo bisogno di un corpo.
Il panico aumentava, il mio sistema nervoso era ingolfato di adrenalina, avevo la bocca secca, ma oltre a queste sensazioni iniziavo a percepirne un’altra, c’era una voce dentro (dentro a che cosa non saprei), una voce molto intima che mi stava chiedendo con molta tranquillità, con un tono che mi sembrava quasi scherzoso, considerando il mio stato di follia…: “Ehi, chi è rimasto a badare al negozio?”. Richard Alpert
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